C’è un indirizzo diventato meta dei gourmet di tutto il mondo: è quello di Vun Andrea Aprea, che ha appena conquistato le due stelle Michelin, dove la tradizione tricolore ha trovato un interprete capace di comunicarla al meglio all’interno di uno degli hotel più fascinosi di Milano: il Park Hyatt. Merito di uno chef che unisce alle origini partenopee un’esperienza inglese, che gli ha regalato una visione profonda e affascinante della cucina italiana di oggi e gli permette persino di intravederne il futuro…
Da campano a milanese d’adozione, qual è il suo rapporto con la cucina di questa città?Mi sono trovato benissimo a Milano, una città mitteleuropea ma senza perdere il senso della dimensione umana. Nel nostro ristorante la tradizione italiana, campana e milanese sono intrecciate a più livelli. Il Vun è diventato Vun Andrea Aprea proprio per far capire che qui mi occupo di cucina italiana contemporanea con una commistione di ricette e ingredienti che spaziano da Nord a Sud. Se penso agli ingredienti classici di questa città, sono rimasto stregato dallo zafferano, il principe del risotto alla milanese, che ho usato con soddisfazione nella Calamarata con coda alla vaccinara, zafferano e provolone del Monaco, un piatto dove cerco di unire l’Italia delle varie latitudini.
La sua frase di benvenuto al Vun è «La mia cucina contemporanea guarda al futuro senza mai dimenticare le sue origini». Cosa vede nel futuro della cucina italiana?Noi italiani non dobbiamo mettere in discussione la nostra tradizione e il nostro modo di cucinare. Abbiamo mille anni di storia nelle cucine regionali e siamo chiamati a smettere di far maltrattare la nostra tradizione. Per fortuna c’è un gruppo di cuochi che sta portando avanti la cucina italiana del futuro, che ha voglia di innovare la tradizione senza mai tradirla.
Caprese dolce, salato è il suo più famoso signature dish: com’è nata l’idea di una mozzarella di bufala sifonata in una finta mozzarella di meringa e un tocco salato di capperi e acciughe?A leggerlo così sembra affascinante e modaiolo, in realtà è un concetto tradizionalissimo. La difficoltà sta proprio nel giocare nello spazio limitato della tradizione della cucina italiana, che non è uno spazio open mondiale dove puoi fare tutto. Corri sempre il rischio che ti crocifiggano. Serviamo spesso la caprese come apertura nei nostri menu e serve a chiarire meglio di tante parole il concetto su cui si basa la mia cucina.
Al Park Hyatt la carta dei vini è interessante e ricca, ci racconta alcuni abbinamenti?Su questo fronte c’è totale sinergia creativa e collaborazione con assaggi continui, soprattutto sul percorso degustazioni. A seconda del menu scelto dal cliente, si può andare su piatti della tradizione italiana o partenopea, dopodiché i vini vengono abbinati secondo il criterio campano locale, seguendo il percorso italiano Nord-Sud oppure secondo l’estro del sommelier. Per esempio, con la caprese passiamo dal Fiano irpino di Ciro Picariello o di Joaquin Fiano della Stella al Riesling Dr Fischer Kabinett della Mosel (Germania) fino a grandi bollicine come il Greco spumantizzato metodo classico Dubl di Feudi San Gregorio. Sulle carni e sul “famoso” Maialino 100 ore possiamo servire il rosso campano Montevetrano di Silvia Imparato ma anche il Barolo di Giovanni Rosso, il cru Serra. Tra i rossi forestieri, il Borgogna Nuits St Georges di Gerard Julien si è rivelato formidabile sul Baccalà alla pizzaiola, un piatto che sta riscuotendo un grande successo.
E per i dessert?Andiamo sul Passito Secco dell’Isola di Ischia Giardini Arimei di Muratori, il vino principe sulla pastiera ma anche sul Rococò, un biscotto napoletano tradizionale impastato con noci, arance, limone e miele: il suo gusto di candito rimane ed esalta alla grande il vino.
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