Il segreto del successo del Muse di Trento

Giocando s'impara. Potrebbe essere lo slogan del Museo delle scienze di Trento, che ha “rubato” agli enti stranieri un approccio davvero poco tradizionale al mondo della conoscenza. Che paga in termini di visitatori e, non meno importante, di incassi

In un panorama in difficoltà, com’è quello museale italiano alle pre­se con continui tagli di budget, le belle novità si contano sulle dita di una mano e, tra queste, le nuo­ve aperture sono ancora meno. Per que­sto non si può che considerare un gran­de evento il debutto, nel luglio 2013, del nuovo Museo delle scienze di Trento e, soprattutto, il successo oltre le aspetta­tive che il Muse, come viene chiama­to, ha riscosso nei suoi due anni e mez­zo di vita. Merito di un modo innovativo per la nostra Penisola – più comune al di fuori dei confini nazionali – di confron­tarsi con il pubblico, dove exhibit mul­timediali, giochi interattivi, sperimenta­zione in prima persona e intreccio pra­tico della cultura con il “fare” sono gli strumenti di apprendimento informale con cui intervenire nel dibattito scientifi­co sui grandi temi locali e planetari. Chi ha detto che un museo, per essere tale, debba constare di un susseguirsi di galle­rie dove sono esposte opere antiche e in­toccabili e offrire un’esperienza di visita tendenzialmente noiosa? Sulle Dolomiti vige un’idea del tutto opposta, che mira a rendere una giornata al museo altrettanto divertente di una gita in un parco tema­tico. Senza montagne russe ovviamente, ma con l’aggiunta del piacere della sco­perta. L’approccio, lo abbiamo già detto, funziona eccome. Già nel 2014, il primo anno solare completo vissuto dal Muse, l’afflusso ha superato i 550 mila visitato­ri, ponendo la nuova realtà trentina al­l’ottavo posto nella graduatoria italia­na stilata da Il giornale dell’arte, davan­ti a potenze turistiche del calibro del Castello Sforzesco di Milano o della Galle­ria Borghese a Roma. Senza dimenticare il fattore economico. Non solo l’ente ha raggiunto una capacità di autofinanzia­mento del 40% – percentuale unica sul territorio nazionale e rilevantissima an­che a livello internazionale – ma è sta­to calcolato che abbia avuto un impatto economico di oltre 50 milioni di euro sul territorio: 10,8 milioni in termini di ap­palti, forniture, servizi, netti in busta paga a dipendenti e collaboratori; quasi 8 mi­lioni di impatto fiscale diretto e indiret­to; più altri 32 milioni di indotto sul siste­ma economico provinciale. Una sonora smentita ai soloni secondo i quali “con la cultura non si mangia”.

ATTRAZIONE NELL’ATTRAZIONECerto, quando si parla del Muse, prima ancora di decantare le lodi delle sue col­lezioni, delle mostre, degli eventi orga­nizzati o quant’altro, non si può fare a meno di ammirarne l’avveniristica sede, progettata e realizzata dall’archistar Ren­zo Piano. Parole d’ordine all’origine del­la struttura sono leggerezza, dialogo con l’ambiente circostante ed ecosostenibili­tà. Il suo profilo richiama, infatti, le mon­tagne che la circondano e la stessa orga­nizzazione su più piani del percorso di visita è una sorta di metafora dell’am­biente montano. Una successione di spa­zi e di volumi, di pieni e di vuoti, adagiata su un grande specchio d’acqua sul quale sembra galleggiare, moltiplicando gli ef­fetti e le vibrazioni di luci e ombre. Infi­ne, le tecniche di costruzione hanno fat­to ampio ricorso a fonti rinnovabili e si­stemi ad alta efficienza. Un edificio nato appositamente per rispondere alle esi­genze del nuovo ente che, benché inau­gurato solo nel 2013, affonda le sue ra­dici nel ben più antico Museo tridentino di scienze naturali, istituito verso la metà del 1800. Un luogo che ha subito un im­portante sviluppo nel corso degli anni, finché, all’inizio del nuovo millennio, la Provincia di Trento non ha individuato in questa istituzione la realtà in grado di ar­ricchire culturalmente il progetto di rigenerazione della dismessa area industria­le Michelin (in pieno centro città), dando il via agli studi necessari per la realizza­zione del nuovo Muse. Istituzione rappre­sentata non solo dalla sua rinomata sede centrale, ma che si inserisce in una rete di musei scientifici sparsi sul territorio, di cui Trento è il nodo gestionale.

PAROLA AL DIRETTORE DEL MUSEO MICHELE LANZINGER

ALL’ESTERO

UNA GRANDE AVVENTURA PER LA MENTE (E IL CORPO)È difficile descrivere con precisione l’ampio e vario percorso di visita in poche righe, ma possiamo senz’al­tro provare a darne un’idea. A rendere particolarmente suggestivo l’allestimento è di certo il “Big Void”, un ampio spa­zio che unisce i sei piani espositivi, con­nettendo il lucernario al piano interrato. Al suo interno, di grande impatto visivo è la presenza di animali tassidermizza­ti che fluttuano su pedane sospese, con il grande spazio centrale vuoto popolato da una spirale ascendente di esseri ala­ti, dai rettili volanti fino agli uccelli del­le alte quote. E la collocazione delle di­verse specie esemplifica la loro distri­buzione altitudinale sulle Alpi e termi­na con le specie domestiche. A rende­re unico l’impatto visivo e scenografico, una serie di schermi verticali che crea­no una narrazione dinamica e mutevole di storie legate alla montagna, arricchi­ta da suggestioni sonore. Così, una vol­ta oltrepassato l’ingresso, ci si immer­ge in un viaggio sensoriale a 360 gra­di, che va dall’alto verso il basso. Dopo la visione del panorama dolomitico dal­la terrazza al quinto piano, si scende, si fa per dire, nell’area dedicata alle alte vette, dove si trova l’imperdibile tunnel “Esperienza glaciale”, uno spazio mul­tivisione lungo 10 metri all’interno del quale ammirare le Alpi dall’alto, come sulle ali di un’aquila, vivere la terribi­le esperienza di una valanga e molto al­tro. Su questo piano si può anche toc­care con mano un fronte glaciale, rico­struito con rocce, vegetazione e ghiac­cio veri, e scoprire il clima del passato attraverso la lettura dei vari strati di una carota di ghiaccio prelevata direttamen­te dall’Antartide.

Si trova invece al terzo piano, quello ri­servato alla natura alpina, il “Labirinto della biodiversità”, uno spazio dove per­correre i diversi piani altitudinali, dalle praterie alpine ai più bassi boschi mi­sti. Sempre qui si trova anche il “Gioco della migrazione”, pensato per far spe­rimentare in prima persona le tappe di questo epico viaggio.Scendendo ancora, al secondo piano, si potrà scoprire la storia delle Dolomi­ti. Si passerà così da un acquario tropi­cale d’acqua salata, contenente un ti­pico ecosistema di barriera corallina a rappresentare l’ambiente di formazio­ne delle rocce che costituiscono que­ste preziose montagne, a postazioni ed exhibit interattivi per imparare a gesti­re i rischi naturali e a conoscere gli stru­menti inventati per difendersi dalle al­luvioni.A questo punto sarà giunto il momento di saperne di più sui primi uomini del­le Alpi attraverso la “Time machine”, una vera e propria grotta multimediale che racchiude scene di vita preistorica. Sempre al primo piano si trova anche il “FabLab”, dove tutti possono progettare e stampare in 3D le proprie invenzioni o quelle di creativi di altri Paesi.In questa sorta di piacevole viaggio dan­tesco del sapere siamo quindi arrivati al piano terra e al “Maxi Ooh!”, spazio di 200 mq pensato per i bambini fino a cinque anni e costituito di ampie sfere colorate, ciascuna dedicata a un senso in particolare.Infine, al livello -1, giunge finalmente il momento dei dinosauri e dell’evolu­zione delle prime forme di vita. Da non perdere, sempre a questo piano, è però anche la serra tropicale montana, che porta al Muse un frammento (da oltre 600 mq!) delle foreste dell’Eastern Arc, una delle più importanti catene montuo­se dell’Africa Tropicale Orientale, per far toccare con mano la grande varietà di forme e colori di uno dei principali hot­spot di biodiversità del nostro pianeta. Pronti a immergervi nel sorprendente mondo della scienza?

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