Miart compie 20 anni. E coglie l’occasione per ribadire la propria vocazione a divenire un punto di riferimento internazionale per il mercato dell’arte contemporanea sul suolo italiano. Un’identità e una volontà già manifestate con la passata edizione, grazie a una caratteristica che ha saputo rendere la fiera unica nel suo genere: l’accostamento votato al dialogo, tra tradizione storico-artistica italiana e panorama contemporaneo internazionale che l’edizione alle porte, complice anche la coincidenza cronologica e geografica con Expo 2015, mira ad ampliare e radicare in maniera sempre più salda. Del resto, Expo o non Expo, la kermesse milanese capitanata per il terzo anno consecutivo da Vincenzo De Bellis è cresciuta molto: negli ultimi tre anni è, infatti, passata da un totale di 90 gallerie, di cui solo sette internazionali, alle 156 di questa edizione, di cui più di 70 provenienti da oltre i confini nazionali. Gli ingredienti del restyling potrebbero essere individuati nei concetti di apertura e sinergia: apertura nei confronti, come s’è detto, delle ricerche e delle realtà provenienti dall’estero, e sinergia col panorama culturale milanese, sulla scia di quanto accade in altre città italiane come Bologna o Torino in occasione delle rispettive Arte Fiera e Artissima, allo scopo di rafforzare l’offerta culturale in termini quantitativi e qualitativi.
In quest’ottica sono da leggersi il folto programma di eventi e inaugurazioni The Spring Awakening, che accompagnerà la manifestazione per tutta la sua durata, così come il ricco carnet d’interventi all’interno dei Miartalks: tre giornate di conferenze interviste e conversazioni con più di 30 personalità tra le più autorevoli del panorama artistico contemporaneo mondiale – curatori, artisti, direttori museali, critici e designer – chiamate a interrogarsi sugli scenari e sul ruolo assunto dall’arte nella contemporaneità. Qualche nome? Dall’artista milanese Getulio Alviani, al co-direttore della Serpentine Gallery di Londra, Hans Ulrich Obrist, passando per Hendrik Folkerts, curatore di documenta14 a Kassel, Hou Hanrou, direttore artistico del MAXXI di Roma, e Paola Antonelli, responsabile del dipartimento di architettura e design del Moma di New York. E così, forte del riscontro di pubblico e critica ottenuto, consacrato l’anno passato da più di 40 mila visitatori, la fiera che quest’anno stazionerà – dal 10 al 12 di aprile (preview a invito giovedì 9) – al padiglione 3 di Fieramilanocity, conferma la propria articolazione in quattro sezioni: Established, dedicata alla realtà consolidate del settore e a sua volta suddivisa in Masters (gallerie che propongono artisti storicizzati) e Contemporary (specializzate in contemporaneo); Emergent, dedicata alle gallerie d’avanguardia che puntano sui giovani artisti, quest’anno per la maggior parte straniere, fatto che dovrebbe far riflettere sul ruolo e sulla scarsa importanza attribuita alla nuove generazioni dal Belpaese; THENnow, in cui nove coppie di gallerie metteranno a confronto artisti storicizzati e giovani; e Object, dedicata al design moderno e contemporaneo che, concepito in edizione limitata, si pone quale raffinato esempio d’ibridazione tra opera d’arte e oggetto d’uso quotidiano. Su cosa investire, dunque, a fronte di un’offerta così ampia e variegata? Premettendo che gusto personale e un approccio curioso rimangono criteri fondamentali in un’ottica sia di scelta dell’opera sia d’investimento, il calderone da cui attingere è ampio: si va dagli artisti giovani o emergenti (non sempre le due cose coincidono), a quelli storicizzati il cui nome è sinonimo di garanzia; da prezzi alla portata di pochi a prezzi decisamente accessibili, anche per i nomi famosi: quasi l’80% delle opere d’arte contemporanea vendute in un anno possono essere acquistate per meno di 5 mila euro. Qualche esempio concreto: per quanto riguarda gli emergenti, le quotazioni dell’artista Mirko Baricchi (1970) partono da 2 mila euro, per lavori di piccolo formato, per arrivare ai 20 mila di opere di grandi dimensioni. In materia di storicizzati, le tele di Paul Jenkins (1923-2012), esponente dell’espressionismo astratto d’area statunitense, muovono da quotazioni attorno ai 10 mila euro per i lavori degli anni ‘90 e 2000, per toccare punte di 250 mila per opere realizzate a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘70. E ci sono, infine, fotografia e design – che Miart ospita in una sezione dedicata, con quotazioni variabili in base a criteri come data, tiratura e, nel caso della fotografia, tecnica – spesso contenute anche per scatti od oggetti realizzati dai più grandi autori del settore. Con meno di 5 mila euro è possibile, infatti, portare a casa scatti di grandi interpreti della fotografia come Nobuyoshi Araki, mentre dai 6 mila agli 8 mila è la richiesta per quelli di Edson Chagas, già Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2013. Per quanto concerne il design, un interessante filone tutto da scoprire è quello del gioiello d’artista, con prezzi che variano dai 3 mila fino ai 40 mila euro.
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