Nella vita i momenti di crisi arrivano per tutti. Anche per un ragazzo prodigio come Matteo Manassero. In quattro anni da professionista – lo è dal 2010, dall’età di 17 anni – ha già conquistato altrettanti tornei del circuito; il primo nel 2010 in Spagna, al Castellò Masters, che lo ha reso il più giovane vincitore di sempre sul Tour, battendo anche il suo idolo di sempre, Severiano Ballesteros; l’ultimo nel 2013, quando sul campo di Wentworth (Inghilterra) si è aggiudicato il Bmw Pga Championship. Il 2014, che lo ha visto entrare nella Top 50 di Golf Digest come uno dei golfisti più pagati al mondo (l’unico italiano), non è stato facile: un nuovo allenamento per compiere un ulteriore salto di qualità nel gioco e il cambio dell’attrezzatura tecnica hanno reso più difficile ottenere risultati. «Esperienze che andavano fatte. Bisogna imparare anche sbagliando e non facendo risultato», ammette Manassero, che quando parla dimostra di aver raggiunto una maturità non comune in un ragazzo di 21 anni. Intelligente, posato, mai sopra le righe: con la sua immagine ha contribuito a incrementare la popolarità del golf in Italia, dove è sempre stato considerato uno sport per pochi. E ora, in un momento in cui il movimento deve fare i conti con un calo senza precedenti dei tesserati, il suo ambasciatore prova a dare una soluzione. Business People ha incontrato Matteo Manassero lo scorso ottobre a Milano, in occasione dell’inaugurazione del primo campo pratica d’Europa in centro città.
Com’è cambiato il golf italiano dal suo esordio nei professionisti?Non c’è dubbio che ci siano più golfisti in generale e più voglia di golf in Italia. Sono aumentati i giocatori giovani, così come i ragazzini che si sono avvicinati a questo sport; anche i media gli dedicano oggi più attenzione. Però ci sono ancora tante cose da migliorare. Mancano, ad esempio, le infrastrutture: non sono sufficienti perché diventi uno sport popolare come lo è in altri Paesi come in Inghilterra o in Francia, dove hanno fatto un grandissimo lavoro. Penso che realizzare più campi pubblici sia il veicolo migliore affinché il golf diventi uno sport per tutti e non, com’è considerato oggi, elitario.
Forse aiuterebbe investire nel binomio turismo e golf. Se ne parla già da tempo… Con le potenzialità turistiche dell’Italia, unire questo settore al golf sarebbe una manna dal cielo, non c’è dubbio. Ma, considerando che di solito i campi si legano a hotel di lusso, il golf resterebbe uno sport d’elite. Mi piacerebbe vedere, invece, più strutture pubbliche per coinvolgere gente di qualsiasi tipo, di qualunque reddito, com’è giusto che sia. Se il golf diventa più popolare sarà anche più facile trovare molti più investitori. Ben vengano i resort, ma si dovrebbe partire dalla base.
In che senso? Bisogna investire su quello che ancora non c’è. Di grandi resort e grandi campi ne abbiamo già in Italia, non c’è al cun dubbio. Quello che manca è l’offerta per coloro che, vedendo un torneo in televisione, decidono di iniziare a giocare. C’è bisogno di persone che, avendo a disposizione un terreno dismesso in una campagna o fuori da qualsiasi grande città, decidano di realizzare un campo da golf.
Come è stato fatto nel quartiere di CityLife a Milano. Realizzare un campo pratica in città è stata un’idea geniale; hanno avuto questa occasione e l’hanno colta alla grande. Anche io da bambino ho tirato i primi colpi in un posto simile. Questo sport va conosciuto e un campo pratica in città permetterà a tantissimi ragazzi di raggiungerlo in autonomia e appassionarsi al gioco.
Ha mai pensato lei di investire nel golf in Italia? Eh, dal mio punto di vista è difficile… Però non si sa mai. Può essere.
Dopo anni di record di successi, il 2014 non è stato un anno facile… Non è stato un grande anno a livello di risultati. Ho lavorato diversamente per migliorare alcuni aspetti del mio gioco e questo ha reso più difficile fare risultato. È stata forse la stagione più difficile, ma penso sia propedeutico per il futuro. Quest’anno ho imparato tante cose e ho maturato nuove esperienze, mai provate prima ma che andavano fatte: era sempre andato tutto bene, ma ogni tanto bisogna imparare anche sbagliando e non facendo risultato.
Come gestire lo stress in un periodo di assenza di risultati? A 21 anni lo ha già imparato? Penso sia importante avere al proprio fianco persone che ti conoscono bene fin dagli esordi; i tuoi cari sono anche i più efficaci nel consigliarti alcune cose. Certo, magari non possono aiutarti a gestire lo stress (sul green, ndr), ma sono importanti, più di un mental coach.
Obiettivi per il prossimo anno? Un record che vorrebbe battere? Non ne ho in mente. Finora tutti i miei risultati li ho fatti senza averli in testa: non giochi pensando al record di una pista, lo scopri solo dopo averlo battuto. Spero di tornare a vincere nel 2015 e a partecipare alla Ryder Cup nel 2016.
Anno delle Olimpiadi. Alla medaglia ci pensa? Assolutamente. Spero di esserci e di poter vincere. Innanzitutto, se dovessi avere la possibilità di partecipare, sarà un’esperienza magnifica. Poi ce la giocheremo.
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