Un vino che – soprattutto all’estero – è considerato un classico senza tempo, al pari di tanti Borgogna. Tanto conosciuto e apprezzato da approdare sulle tavole dell’ultimo G20, quello che lo scorso settembre ha riunito i potenti di tutto il mondo a San Pietroburgo. A 40 anni della concessione della Doc Gavi (nel frattempo Docg) Business People ha intervistato il dottor Gian Piero Broglia, titolare da oltre quattro decenni dell’omonima azienda vitivinicola, una delle realtà più famose ed emblematiche della denominazione piemontese, per comprendere la quale basterebbe un assaggio del celebre La Meirana o della particolare selezione Bruno Broglia.
Da 40 anni il Gavi si fregia della Denominazione di origine controllata. Che bilancio potreste tentare?
Un’analisi non può che partire dai numeri: nel 1974 il Gavi era coltivato su 100 ettari, ora su 1.500; quattro decenni fa le bottiglie prodotte non arrivavano a un milione, oggi siamo a quota 13 milioni, spesso già terminate al momento della vendemmia. Un successo ascrivibile sì alla denominazione e alle sue regole, ma la cui componente più importante sono gli uomini, le imprese e il territorio che hanno reso questo vino grande in quantità, ma anche, e soprattutto, in qualità.
Come mai in Italia il Doc Gavi non riesce a raggiungere la popolarità di altri vini meno importanti?
In effetti, nel nostro Paese si fa più fatica che all’estero. Se si fosse trattato di un vino francese sarebbe divenuto un bene nazionale al pari di quel Chablis, con il quale tra l’altro siamo, anche con prezzi simili, in concorrenza diretta in tutto il mondo. In Italia non solo non è facile fare grandi vini, ma è anche più difficile riuscire a spuntare un prezzo che corrisponda alla qualità nel bicchiere.
Eppure il vostro Gavi è stato servito al G20…
In realtà devo dire che non è merito nostro, ma della grande fama e della solidità d’immagine che questo vino ha all’estero. Devo ammettere che, in quanto a comunicazione, forse non abbiamo investito al meglio nei riguardi del mercato domestico, prediligendo piuttosto un approccio più internazionale. Vi posso infatti assicurare che la nostra cantina è spesso sede di visite da parte della stampa straniera.
Proviamo a descrivere il Gavi in tre parole.
Innanzitutto direi “storia”: ci troviamo nella parte più meridionale del Piemonte, a soli 40 minuti di auto da Genova, una terra da sempre scelta come luogo di villeggiatura dall’aristocrazia genovese. Insomma, un nettare da alta società già per nascita, un bianco in terra di rossi, capace di soddisfare i gusti raffinati della nobiltà e della borghesia del capoluogo ligure (banchieri, armatori, commercianti), e di abbinarsi alla perfezione alla cucina mediterranea. Per quanto riguarda poi il vino in sé, va segnalata l’acidità totale elevata, il gusto sempre molto secco con poche concessioni alle rotondità tanto in voga negli anni ‘90, la sapidità che deriva anche dai terreni, visto che i vigneti sono situati dove una volta c’era un mare (ne sono una prova le marne ricche di fossili, come quelle delle Langhe). Poi certamente userei anche termini come longevità e mineralità, elementi che rassicurano il consumatore, ma anche il ristoratore che acquista questi vini, perché sa che può venderli senza fretta visto che, invece di spogliarsi di gusto e sapidità, migliorano con il tempo.
UNA TRADIZIONE ULTRAMILLENARIA |
«I vigneti più antichi di Gavi dal 972», recita così la pagina di apertura del sito internet dell’Azienda Agricola Broglia. Da allora, infatti, nelle terre della Meirana (nel cuore del comune di Gavi), si ripete l’antico rito della vendemmia. L’azienda vitivinicola, fondata da Bruno Broglia, affonda dunque le sue radici in una tradizione ultramillenaria, oggi portata avanti con impegno e passione dai figli Paolo e Gian Piero. Quest’ultimo, dal 1974, ossia lo stesso anno in cui venne concessa la Doc Gavi e imbottigliato il primo vino, ha preso in mano l’azienda, alla cui gestione contribuisce oggi anche la terza generazione della famiglia. www.broglia.it |