Dopo esperienze internazionali con grandi maestri come Rasmus Kofoed e Berasategui, lo chef Michele De Blasio è tornato in Campania (in provincia di Salerno) per dare vita al suo Volta del Fuenti, che ha ottenuto la stella Michelin. «Volevo creare una cucina che fosse contemporanea e raffinata, ma anche capace di raccontare le emozioni, i ricordi e i sapori della mia infanzia», spiega De Blasio.
Il menu Riflessioni è costruito intorno al colore verde. Come nasce questa idea?
Dall’unione di due concetti che mi stanno particolarmente a cuore: la sostenibilità e l’arte. Ai Giardini del Fuenti il verde non è solo una tinta dominante nel paesaggio, ma è un valore, un impegno quotidiano. Qui ogni scelta è pensata in chiave sostenibile, e volevo che la mia cucina parlasse anche di questo. Allo stesso tempo, mi sono ispirato al mondo dei monocromi nell’arte contemporanea. Lavorare su un solo colore è una sfida creativa: ti costringe a cercare sfumature, texture, contrasti all’interno di un’unica tavolozza. Il verde, in particolare, è ricchissimo di declinazioni sensoriali.
Quanto è importante per lei la ricerca nella creazione dei suoi menù?
È il cuore del mio lavoro. Ogni piatto nasce da uno studio approfondito: delle materie prime, delle tecniche, della stagionalità, ma anche della storia gastronomica e culturale che lo circonda. Togliere il superfluo non significa rinunciare al sapore, ma anzi, andare a cercarlo in luoghi inaspettati. La tecnica non è fine a sé stessa, ma è uno strumento per raccontare meglio un’idea, un territorio, una visione.
Pasta e patate è uno dei piatti simbolo del suo percorso gustativo. Cosa raccontano il “prima” e il “dopo” di questo piatto?
Questo piatto rappresenta per me un ponte tra passato e presente, incarna la mia evoluzione culinaria. Il “prima” è il ricordo della cucina delle nonne, dove la pasta e patate era un piatto semplice, preparato con amore e ingredienti umili. Era il comfort food per eccellenza, capace di riunire la famiglia attorno al tavolo. Oggi, ho reinterpretato questo piatto mantenendone l’anima ma presentandolo in una veste contemporanea. Rendo omaggio alla tradizione, offrendo al contempo un’esperienza gustativa nuova e raffinata.
Come riesce a mantenere l’anima dei piatti classici in una forma moderna e più essenziale?
Per me, la tradizione è un’eredità viva, non un vincolo. Non si tratta di replicare pedissequamente i piatti della memoria, ma di comprenderne l’essenza, il gesto originario, l’intenzione. Alleggerire la tradizione significa togliere il superfluo, non il significato. Vuol dire rispettare le materie prime, esaltare i sapori autentici, ma con tecniche contemporanee che permettano maggiore pulizia, equilibrio e digeribilità.
Quanto conta per lei la stagionalità degli ingredienti e come si riflette nel suo menù?
La stagionalità per me non è solo una scelta etica: è una necessità creativa, una fonte di ispirazione. Ogni stagione porta con sé un ritmo, un’energia e la cucina deve saperlo ascoltare. Lavorare con ingredienti di stagione significa cogliere il momento in cui ogni prodotto dà il meglio di sé in termini di gusto, profumo, consistenza e valore nutrizionale. Nel mio menù, questo si traduce in una cucina in costante movimento. Penso che questo arrivi al commensale: ogni piatto racconta una stagione, un attimo preciso, quasi come un paesaggio nel piatto.
LE NOSTRE INTERVISTE AI MIGLIORI CHEF D’ITALIA
Quanto è importante l’esperienza complessiva dell’ospite, oltre al piatto?
La cucina è un linguaggio, ma perché il messaggio arrivi davvero, serve un contesto che lo accompagni, lo esalti, lo renda memorabile. Al Volta del Fuenti lavoriamo su tutti i sensi, sull’emozione, sull’armonia tra ciò che accade nel piatto e intorno ad esso. L’ambiente elegante ma accogliente è il nostro modo di dire: sei importante, ma puoi sentirti a casa. Il nostro team di sala ha un ruolo fondamentale in questo. Oggi si cerca meno formalità, ma questo rende tutto più complesso. Non si tratta più di servizio di sala in senso classico, ma di creare connessioni, momenti sinceri, piccoli gesti che fanno la differenza.
C’è un ingrediente che rappresenta la Campania in modo contemporaneo?
Sembrerà scontato, ma direi il pomodoro. Oggi è molto di più di un’icona: è un campo di ricerca, di riscoperta, di narrazione. È un ingrediente che si rinnova continuamente pur restando profondamente nostro. Invece, vedo nella scarola un simbolo emergente della Campania moderna. La sua versatilità, l’amaro elegante, la capacità di dialogare con mare e terra la rendono una protagonista perfetta per una cucina identitaria e innovativa. La contemporaneità non sta nel reinventare forzatamente, ma nel saper leggere il presente con gli occhi del futuro e il cuore nel passato. È così che un piatto campano può parlare al mondo.