All’inizio di dicembre, il 2014 dell’arte si è chiuso in pompa magna con i fasti di Art Basel Miami Beach, che dal 2002 affianca la fiera madre costituendo uno degli eventi invernali più attesi dal mondo dell’arte internazionale. Chi l’ha seguita, distrattamente e magari con un po’ d’invidia, sulla stampa di settore e sui social, avrà percepito la frenesia di una folla eccitata dalle temperature insolite, dai drink esotici, da un’offerta vastissima (la fiera principale è affiancata da una moltitudine di fiere satellite e di eventi culturali), dai party serali e dalla presenza clamorosa di alcune popstar – da Miley Cyrus a Kayne West. Il mercato – che è poi il core business della fiera – non si vede, ma che viaggi a pieni motori lo si percepisce dall’atmosfera – ed è confermato dai report, che parlano di questa come dell’edizione di maggior successo commerciale di sempre, e indirettamente dai risultati delle aste di novembre. Sotheby’s New York ha venduto un Giacometti per 101 milioni di dollari, mentre artisti come Jasper Johns, Robert Ryman e Alexander Calder hanno stabilito nuovi record. Com’è che questo mondo non sembra percepire la crisi che ci attanaglia da anni? La stessa asta ha registrato alcuni risultati curiosi. Un Warhol, passato in asta nel maggio 2012 (stima minima 3,75 milioni, venduto a 4,1 milioni), è stato ribattuto per 11,4 milioni (stima minima 12 milioni): la crescita c’è stata, ma inferiore alle aspettative. E un Jeff Koons messo in vendita da Damien Hirst e stimato tra i 12 e i 18 milioni, è rimasto invenduto. Negli ultimi quattro anni, Koons è stato con il tedesco Gerhard Richter la gallina dalle uova d’oro nelle aste, aggiudicandosi nel 2013 da Christie’s il prezzo più alto di sempre per un artista vivente (58 milioni di dollari): siamo all’inizio del declino?Dare una risposta a queste domande non è facile, così come, in generale, comprendere il mercato dell’arte contemporanea. Non funziona come altri mercati. Aste escluse, c’è poca trasparenza sui prezzi, e in ogni caso le “merci” che tratta non possono essere valutate in modo completamente obiettivo. Nonostante le aperture degli ultimi anni, rimane un mondo chiuso ed elitario, sorretto da regole non scritte. «È un mercato che valuta l’unicità, la soggettività, l’innovazione e l’originalità, cercare di standardizzarlo significa dunque andare contro la sua stessa natura». A chi condivide questa analisi, il libro da cui è presa tale citazione potrebbe tornare estremamente utile. Scritta dalla consulente e critica Chiara Zampetti Egidi e appena pubblicata da Skira, la Guida al mercato dell’arte moderna e contemporanea promette di essere un testo che resterà a lungo sugli scaffali. Godibilissimo seppur straripante di dati e storie, prende questo intricatissimo puzzle, lo smonta e lo analizza pezzo per pezzo: parte dalla sua geografia ormai globalizzata; prosegue con i fattori che influenzano la definizione dei prezzi; passa quindi all’analisi delle figure che lo compongono, dall’artista al mercante, dal collezionista alla casa d’asta all’art advisor; per poi riflettere su due questioni cruciali degli ultimi anni, l’interesse per l’arte come forma di investimento alternativo e l’impatto di Internet sul mercato dell’arte. Ogni capitolo si chiude con alcune brevi interviste ad alcuni protagonisti del mondo dell’arte che hanno qualcosa da dire sul tema appena discusso: nomi di rilievo come Sam Keller, che dirige la Fondation Beyeler di Basilea dopo aver guidato, per anni, Art Basel; come Cheyenne Westphal, di Sotheby’s, che ha avuto un ruolo determinante nell’organizzazione di Beautiful Inside My Mind Forever, l’asta di Damien Hirst che nel 2008 ha stupito sia il mondo dell’arte che quello dell’economia, appena colpito dal collasso di Lehman Brothers; o come Massimiliano Gioni, direttore artistico del New Museum di New York e curatore dell’ultima Biennale di Venezia. La necessità di questo libro è tutta nelle sue prime pagine. Dal 2000 al 2012, il fatturato totale del mercato dell’arte moderna e contemporanea in asta è cresciuto da 2 a 12 miliardi di dollari, con una crescita, per l’arte “Post War” e contemporanea, dall’11 al 30% del fatturato totale; e questo nonostante la crisi del 2008-2009, ormai ampiamente superata. Si sono aperti nuovi mercati, tra cui quello cinese, che nel 2010 ha raggiunto il 40% del mercato globale; la pratica del collezionismo si è estesa a nuovi soggetti, e anche il pubblico dell’arte contemporanea è cresciuto. Infine, la Rete ha aperto nuove prospettive che, se ancora non hanno rivoluzionato il mercato, certo promettono di renderlo più aperto, e più leggibile. L’utilità di un resoconto informato per questi nuovi pubblici e questi nuovi collezionisti è alta, ma la sua lettura farebbe bene anche a chi, già operativi in questo mondo come artista, come collezionista o come mercante, può ancora fare tesoro delle storie e delle esperienze che vi sono raccontate, per perfezionare il proprio approccio ed evitare errori grossolani. Non leggetelo, tuttavia, alla ricerca di suggerimenti su come fare affari con l’arte: l’indicazione forse più preziosa di Chiara Zampetti Egidi è che in quel mondo il riscontro economico è sempre un effetto collaterale del piacere di avere a che fare con l’arte.
LA VOCE DEI PROTAGONISTI |
«ALLA FINE IL PREZZO È SEMPRE DEFINITO DALLA CIFRA CHE QUALCUNO È DISPOSTO A PAGARE PER UN LAVORO». Johann König, Johann König Gallery, Berlino «LA RAGIONE CHIAVE DEI FORTI PREZZI CHE SI RAGGIUNGONO IN QUESTO MOMENTO ALLE ASTE INTERNAZIONALI È LA CRESCITA CON OGNI VENDITA DI UN PUBBLICO VERAMENTE GLOBALE». Cheyenne Westphal, Co-Head, Contemporary Art Worldwide, Sotheby’s «IL 60% DEI COLLEZIONISTI INTERVISTATI HA DICHIARATO CHE [IL VALORE SOCIALE (STATUS)CHE DERIVA DALL’ESSERE UN COLLEZIONISTA È IL MOTIVO PRINCIPALE PER CUI COMPRA OPERED’ARTE». Anders Petterson, Managing Director ArtTactic Ltd «È RARO CHE UN GRANDE ARTISTA NON RAGGIUNGA GRANDI QUOTAZIONI, MA È ANCHE VERO CHE MOLTISSIMI ARTISTI CHE RAGGIUNGONO GRANDI QUOTAZIONI NON SONO GRANDI ARTISTI». Massimiliano Gioni, Artistic Director, New Museum, New York |