Centro d’arte contemporanea di Ginevra, una fucina d’avanguardie

Da vetrina di pionieri della scena moderna a piattaforma produttiva sperimentale per emergenti. E laboratorio virtuoso di ricerca delle tendenze più innovative del momento

Uno spazio dedicato alla produzione, alla ricerca e alla sperimentazione dell’arte contemporanea, palcoscenico per talenti emergenti europei e internazionali. Così è stato concepito, e si è sviluppato rimanendo fedele alla sua natura originaria, l’innovativo Centre d’Art Contemporaine (CAC) Genéve, situato appunto a Ginevra. La particolarità di questa Kunsthalle risiede innanzitutto nel fatto che, a differenza di un vero e proprio museo, l’istituzione non possiede collezioni o raccolte private, ma, organizzando esposizioni di rilievo mondiale (finora circa 350 in 40 anni di attività), ha sempre dato risalto a ogni aspetto della cultura del nostro tempo, declinata nelle sue innumerevoli varianti: non solo, dunque, forme classiche e tradizionali quali scultura, pittura, architettura, disegno, illustrazioni, ma anche espressioni più recenti, rappresentate da installazioni che fondono elementi e materiali hi tech e design di ultima generazione.

MANTENENDO LE LINEE GESTIONALI CHE LO CARATTERIZZANO DALLA FONDAZIONE, IL CAC SI È ANCHE TRASFORMATO IN UN LUOGO D’INCONTRO

Da questo centro della Svizzera francofona sono passati tutti i principali nomi di spicco della scena globale dell’ultimo mezzo secolo: da figure pionieristiche quali quelle di Andy Warhol per la Pop Art o di Sol LeWitt, a cavallo tra concettualismo e minimalismo, a personaggi discussi e controversi di epoca più recente come Maurizio Cattellan e Marina Abramovic, per non dimenticare la poliedrica Cindy Sherman o la video artist Pipilotti Rist, nota per le sue visioni fluttuanti e psichedeliche.«L’ho imparato da Joseph Beuys: diceva che l’arte poteva cambiare il mondo », ha dichiarato la fondatrice dell’ente, Adelina Cuberyan von Fürstenberg, considerata una personalità centrale nell’affermazione di un approccio multiculturale alle beaux-arts d’impronta moderna. «Non mi è mai bastato l’aspetto estetico, ho sempre cercato di trasmettere dei valori allo spettatore». Mossa da questo intento primario, la curatrice di origini armene ha aperto le porte del CAC Genéve nel 1974 e lo ha diretto, con tale spirito, fino al 1989, animandolo con retrospettive personali e collettive nel segno della trasversalità, dell’apertura, dell’innovazione nei linguaggi e nelle forme comunicative.

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L’intervista al direttore Andrea Bellini

Ancora oggi, supportando la realizzazione di progetti avveniristici e facendoli conoscere a un vasto pubblico, anche al di fuori dei Cantoni, la struttura elvetica continua a promuovere la concezione di una cultura della contemporaneità che non può prescindere dal rispetto e dal riferimento della tradizione, ma che, parallelamente, è in grado di abbracciare nuove prospettive, caratterizzate dalla interdisciplinarietà delle proposte e dalla interattività virtuosa con i visitatori. Facendo leva, in particolare, su questi due elementi, dal 2012 è un italiano a dirigere la Kunsthalle: si tratta di Andrea Bellini, storico, critico dell’arte e curatore indipendente, in precedenza co-direttore del Museo d’Arte contemporanea del Castello di Rivoli, a Torino, e ancor prima al timone, per un biennio, della manifestazione Artissima, sempre nel capoluogo piemontese. Pur proseguendo lungo le linee gestionali che contraddistinguono il centro svizzero fin dalla sua creazione, obiettivo di Bellini è stato da subito «trasformarlo da semplice spazio espositivo in luogo d’incontro. E sembra che ciò abbia funzionato, dato che abbiamo più che raddoppiato il numero dei nostri visitatori».

Nell’arco di un triennio, pertanto, il CAC è stato rinnovato secondo una duplice direzione. Da un lato è stato attuato un significativo restyling dell’edificio che ospita il centro, una ex fabbrica della metà del XIX secolo. Se, oggi, il secondo e il terzo piano accolgono le mostre principali su una superficie complessiva di mille metri quadri, al quarto, dove in precedenza c’erano uffici amministrativi, sono stati costruiti un cinema con 30 posti, un project space destinato ai talenti emergenti, un atelier residenziale riservato ad artisti della città o del Cantone e una libreria con volumi e cataloghi di pregio. Dall’altro lato, anche l’attività culturale è stata ridefinita, in modo tale da garantire un’attenzione sempre maggiore alle realtà dinamiche della scena contemporanea. In tale ottica, per esempio, sotto l’egida di Bellini la Biennale delle immagini in movimento (che il Centre gestisce dal 2009) si presenta non più come mera esposizione, ma come una vera e propria piattaforma produttiva, dal momento che l’istituzione si occupa di fornire a tutti gli artisti invitati i fondi necessari per realizzare nuovi progetti, supportandoli anche una volta portati a termine i lavori. Se il budget annuale della Fondazione è di circa un milione e 800 mila franchi (un milione e 743 mila euro circa), 500 mila (quasi 485 mila euro) vengono destinati solo alla produzione di mostre e opere; una cifra che sale a 800 mila franchi nel caso della Biennale (la prossima si terrà nel 2016).

OLTRE A VALORIZZARE IL PATRIMONIO ESISTENTE, OGGI PROMUOVERE L’ARTE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON ISTANZE DI RINNOVAMENTO E ROTTURA

Nell’ambito di questo ambizioso cambio di passo della Kunsthalle, altrettanto significativi sono stati due eventi svoltisi nei mesi scorsi: la prima mostra, mai inaugurata in un’istituzione artistica, delle installazioni video di Ernie Gehr, uno dei principali cineasti d’avanguardia dei nostri tempi, e la retrospettiva personale dell’elvetico Raphael Hefti che, forte di una formazione da ingegnere, ha dato vita a un laboratorio di sperimentazione all’interno dello spazio espositivo, alla presenza dei visitatori. Con i suoi progetti avveniristici e il coinvolgimento di giovani talenti emergenti, il CAC Genéve racchiude in sé un importante messaggio, indicando quasi una nuova etica del lavoro per critici e musei: promuovere l’arte, oggi, significa non solo tutelare e valorizzare il patrimonio già esistente, ma anche confrontarsi con istanze di rinnovamento e rottura, in quanto imprescindibili forme di partecipazione al dibattito culturale contemporaneo.

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