Alberto Gipponi: cucina narrativa in Franciacorta

In pochi mesi il suo nome e il suo Dina si è imposto agli onori delle cronache gastronomiche. Uno chef loquace, ma a parlare sono soprattutto i piatti

La novità dell’anno porta il nome di Alberto Gipponi con il suo ristorante Dina a Gussago (Bs), in Franciacorta. In pochi mesi il giovane chef si è imposto all’attenzione della critica gastronomica per la sua cucina narrativa, ricca di virtuosismi tecnici. All’avanguardia non è solo il menù, volutamente criptico, ma anche il ristorante: realizzato dal designer Gianluca Seta, ospita al suo interno alcune opere d’arte di rilievo, tra cui, proprio all’ingresso, un neon intitolato Until Then if not Before e realizzato ad hoc dall’artista inglese Jonathan Monk. Ma restiamo a tavola…

Esperienze intriganti le sue prima di Dina. Cos’ha appreso da Bastianich all’Orsone, da Nadia a Castrezzato e, ovviamente, da le roi Massimo Bottura?Ho capito che non è un mondo normale. Alla base c’è un lavoro durissimo. La cucina è passione, ma anche ossessione. Ho poi capito che l’amore è importantissimo e, più amore c’è in quello che si fa e anche nelle relazioni, più i risultati diventano importanti. Da Bastianich ho imparato l’attenzione maniacale perché tutto fosse perfetto; da Nadia l’apparente semplicità e da Bottura… che dire? Niente sarebbe in grado di esprimere ciò che è stato.

Cos’ha di innovativo il suo ristorante? Se devo darmi una spiegazione dell’immediato successo, forse è perché sono sempre rimasto fedele a me stesso, non ho inseguito alcuna moda. Ho provato semplicemente a fare ciò che amavo, senza bisogno di guardare chi faceva cosa.

via Santa Croce, 125064 Gussago (Bs)Tel. 0302523051

dinaristorante.it

Influencer, comunicazione e critica gastronomica: come si fa nel giro di nove mesi a mettere tutti d’accordo? Tutto è nato un po’ per caso… A Identità Golose, grazie a Mepra, in tanti hanno assaggiato il mio “Casoncello crudo, ma cotto”. Un po’ alla volta, si è scatenato un tam tam incredibile. Certo, la critica è sempre dietro l’angolo… Io parlo tanto, non per niente la mia è una cucina narrativa, ma spero soprattutto che a parlare siano i piatti. Roberta Schira (critica gastronomica, ndr) ha scritto che la mia è una cucina che funziona anche in silenzio. Posso stare simpatico o meno, ma, se il piatto è buono, tanto basta.

Come forse un tempo Oldani, anche lei finora è riuscito a contenere i prezzi. La qualità, però, costa: come si fa?L’obiettivo è rendere felice chi mangia e chi lavora al Dina, e che il ristorante si sostenga: il business plan è costruito in quest’ottica. Scelgo perlopiù materia prima povera, ma è vero che in alcuni piatti uso anche foie gras e ostriche. In ogni caso, cerco di fare attenzione a ogni costo per dare il massimo risultato. A tal fine occorre predisporre un piano di investimenti oculato e sapere sin dove si può arrivare. Sicuramente la qualità ha un prezzo. Ora ho un food cost più alto di quello che so dovrà essere un giorno. In fondo, prosa e poesia devono coesistere.

Da dove nascono le idee per i suoi piatti? Dalla quotidianità. A volte sono semplicemente abbinamenti di gusto per quello che mi trovo davanti in quel momento e che stimola in me un processo mentale e gustativo, ma il più delle volte arrivano da una canzone, da una frase, da una foglia che cade. In realtà ogni ingrediente nei miei piatti richiama spesso un volto o si riferisce a un momento preciso. Mi piace giocare con gli ingredienti e nei nomi dei piatti c’è una parte giocosa, che è uno dei filoni che muove la mia cucina.

Come abbina il vino con i piatti?È un tema serio. Aveva ragione Marchesi: il vino è come una pietanza e modifica molto la degustazione. Poi siamo in Franciacorta… Nella definizione della carta dei vini sono in prima linea: li scelgo personalmente, assaggiandoli alla cieca. Anche in cucina il vino è importante, perché mi è stato insegnato che, se fai una base con del vino cattivo, il risultato finale avrà sempre dei difetti. A breve entrerà in carta anche un piatto con il mosto.

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