Aglianico del Vulture: che cosa vuoi di più dalla vita? Un lucano

Dalla Grecia alla Basilicata con gli antichi coloni: la storia millenaria di questo vitigno ha trovato nuova linfa nelle coltivazioni selvagge sulle pendici vulcaniche della regione. Un vino non per tutti, ma che affascina chiunque. A patto di avere pazienza

La nostra splendida Penisola nasconde un passato anche non troppo remoto molto turbolento e unico dal punto di vista geologico: ovvero la sua storia vulcanica con effetti unici sul territorio e sulla nostra cultura. Dal Soave fino all’Etna passando per Gambellara, i Colli Euganei, i Monti Lessini, Pitigliano, Montefiascone, Orvieto, i Campi Flegrei, Ischia e, ovviamente, il Vulture in Basilicata: esiste davvero un filo conduttore che attraversa il Paese e unisce territori diversi tra loro per latitudine e microclimi, ma capaci di esprimere vini di grande carattere e dalla marcata mineralità.

Se da un lato è innegabile il valore evocativo attribuito dall’icona del vulcano – ovvero forza, fertilità, mito e storia – dall’altro è evidente che esiste una relazione tra suoli composti da basalti, tufi, pomici e la ricchezza gustativa e l’equilibrio nei vini ivi prodotti. In Basilicata, terra mai troppo celebrata e tra le poche a vantare due mari e monti che sfidano gli orizzonti, sorge il Vulture, vulcano spento su cui dimora l’Aglianico, l’antico “Ellenico”. Un luogo che evoca immagini un po’ cupe, maestose ma arcigne, tanto affascinanti quanto difficili da afferrare e un vitigno dalla personalità non facile, da accudire con pazienza e devozione. L’Aglianico è una delle tre grandi uve italiane per tradizione, storia e importanza commerciale, subito dietro Sangiovese e Nebbiolo, da sempre eterna promessa. Rappresenta l’alfiere rosso della viticoltura del Sud Italia e non manca mai in nessuna collezione o elenco di premi.

Vitigno dalla complessa struttura polifenolica (che significa tanto colore, ma anche corpo del vino e tannino) necessita di tempo e pazienza per essere goduto appieno. In genere lo si cita parlando della zona di eccellenza più famosa e storica, ovvero l’Irpinia, dove ha la denominazione più importante, ovvero Taurasi. Lo stesso vitigno ha trovato stabile dimora e un terroir d’elezione sulle pendici del Vulture, regalando alla Basilicata un’eccellenza enoica tra le più grandi della Penisola. Zona di viticoltura bellissima e un po’ selvaggia, ha avuto un boom recente con parecchi produttori di dimensioni molto diverse tra loro. In tutti c’è la sensazione di avere tra le mani un potenziale grandissimo, ma nascosto e da estrarre dal monte. Non tutti i vigneti e le aziende hanno posizioni simili, anzi si individuano almeno due zone, una sulle pendici e una più in basso nella zona di Venosa, dai vini più caldi e rotondi e meno sfaccettati. Non è un vino adatto a tutti ma capace di affascinare chiunque per le note ombrose di ferro e macchia mediterranea, le note balsamiche intense ma anche la dolcezza del gusto rotondo, sferzato da tannini e da acidità spesso impetuose.

Difficile trovare vini banali da queste parti, così come è difficile trovare molte persone che abbiano la pazienza di aspettarlo. Quindi nel bicchiere non stupitevi di trovare note ombrose, laviche e altre inconsuete come corteccia di china, rabarbaro, tabacco, note tostate di caffè e una sottesa nota come di pietra vulcanica calda, come quelle delle saune. Effetto del vulcano e della sensibilità dei produttori più “illuminati” che resistono alle tentazioni di usarlo per avere vini morbidi, rotondi, concentrati e d’impatto che rappresentano solo la superficie e non l’anima del vulcano. Il Vulture è insospettabilmente terra di donne contadine e raffinate, che producono vini splendidi, riflesso spesso del carattere forte delle loro creatrici come dimostra il Serra del Prete di Musto Carmelitano 2011, dove padrona di casa Elisabetta è riuscita a produrre un vino fresco e intenso che sa di ribes nero, mirtilli con note squillanti di ciliegia durone e un finale esotico con tannino pulsante e piacevolissimo.

Mentre la celeberrima Elena Fucci, con il suo Titolo, ha dimostrato come da sette ettari nella contrada omonima dalle parti di Barile, si possa tirar fuori un vino di classe internazionale, forse il più premiato di sempre in terra lucana. Ma è anche la terra di Sara Carbone e il suo Stupor Mundi con note di carrube e pepe, profumi di sottobosco resina e mallo di noce, piccante e sempre sveglio con un’astiosità e una grandeur sempre controllata. Sempre di donne si tratta anche a Basilisco, di recente acquisita da Feudi San Gregorio, ma sempre indipendente per scelte in vigna e in cantina, con Viviana Malafarina che lavora sotto la guida esperta di Pierpaolo Sirch. Basilisco è una cantina con vigneti bellissimi tra 450 e 600 metri di altitudine e si mostra molto austero e maschile con una bocca fittissima e ricca di rimandi scuri e potenti, con una succulenza notevole e bisognosa di vetro e pazienza.

DA VENOSA A RIONERO

REGNANO LE DONNE

CONTADINE E RAFFINATE

La storia, però, di questa Doc nasce e si afferma con il Sigillo di Cantine del Notaio con Gerardo Giuratrabocchetti. Se capitate dalle parti di Rionero in Vulture, non perdetevi la visita alla cantina di affinamento scavata nella roccia vulcanica dove nasce anche questo Sigillo, che mostra come l’uso di uve passite in versione secca possa cambiare la percezione di questo vino. Escono note dolci di crostata con confettura di frutti di bosco, alloro, menta e caffè giamaicano, amarena e ciliegia cotta, vaniglia in bacche, bocca dotata di estrema eleganza e saporosità, tannino piacevole, dissetante, da arancia amara. Il finale è dolce per via del residuo che crea un equilibrio particolare. Altra cantina storica, con bottiglie che sfidano i decenni, è Paternoster, sempre a Barile, che produce il Rotondo con note di menta e anice, balsamico e spezia fine, cardamomo e bergamotto, pepe nero, affumicato e tostato, approcciabile ai più… Mentre con il Don Anselmo si torna all’Aglianico fitto di mirtilli, prugne e confettura di ciliegie, balsamico, dopobarba maschile, bocca con tannino garbato e concentrato, sandalo e tabacco, finale lunghissimo e ricco di sfumatura dal fumée al tostato e sempre ricco di frutto scuro e pepe.

Non mancano le cantine biologiche e biodinamiche, tra le più interessanti Camerlengo di Antonio Cascarano, architetto per hobby e vignaiolo di mestiere, Casa Vinicola D’Angelo e il Vigna Caselle, Grifalco e il Damaschito Aglianico del Vulture doc. Anche il più grande gruppo vinicolo italiano, Giv, ha un’azienda in zona, ovvero Terre degli Svevi, che produce un bellissimo Re Manfredi rosso e un bianco sorprendente da uve Gewuerztraminer che mostra come i legami tra la sommità del Vulture e il resto d’Europa siano sempre saldi, come ai tempi di Federico II di Svevia.

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