Come preparare la pace?

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«Se vuoi la pace, prepara la guerra», recita un antico detto latino. Ma se sei già in guerra, come fai a preparare la pace? Perché il mondo è in guerra, questo è indubbio. Certo a pagarne le spese al prezzo di lacrime, strazio e sangue, sono segnatamente i popoli di Ucraina, Israele, Palestina, e poi Sudan, Congo, Uganda, Somalia, Nigeria, Libia solo per citarne alcuni, con un tributo così abnorme di sofferenze inferte ai bambini che grida vendetta agli occhi di qualsiasi Dio preghi chi vive in queste latitudini del mondo.

Ma – dicevamo – tutto il mondo, anche quello su cui non cadono le bombe, è in fiamme, perché dopo circa 3.300 anni in cui si valuta Mosè abbia ricevuto le tavole della legge, all’alba di duemila anni dalla nascita di Cristo e a 1.400 da quella di Maometto, siamo ancora qui a scannarci come se nulla avessimo imparato dal passato, come se nulla ci importasse del presente e come se il futuro non fosse cosa nostra. È come se il loro messaggio non fosse mai giunto sul pianeta Terra.

E allora se né la spiritualità né il senso di umanità possono fornire una ragione agli uomini e poi agli Stati per comprendere come la guerra, qualsiasi guerra, anche quella sacrosanta di autodifesa, non possa prescindere dal rispetto della dignità umana (anche quella del nemico), allora buttiamoci sulla convenienza… Perché le guerre distruggono indubbiamente più ricchezza di quella che creano (ovvero i proventi della cosiddetta economia di guerra che arricchisce da sempre i soliti sciacalli).

E allora perché finiamo sempre con il combatterle? Ci sono stati pensatori, anche qualificati e di peso, che hanno filosoficamente sostenuto la necessità della guerra quasi come strumento di catarsi per l’umanità; c’è addirittura chi ritiene che le generazioni che hanno subìto le angherie di un qualsiasi conflitto, crescano temprate a tutto e disposte a grandi sacrifici pur di ricostruire: energie che rimarrebbero altrimenti sopite e inutilizzate se la guerra non mettesse alla prova chi le ha. Insomma, la guerra diventa per così dire una forgiatrice di talenti, facendoci diventare migliori. Ma pensa un po’…

Una cosa è certa, la politica, i sistemi politici di cui siamo testimoni, vedi governi, Unione Europea, Onu e chi più ne ha più ne metta, hanno dimostrato di non essere capaci di evitare le guerre, e neanche di combatterle (ammesso che ci sia un modo migliore e uno peggiore per farlo). E allora tocca agire sull’unica altra forza in grado di fare pressione: i soldi. Al netto delle aspirazioni fameliche di certa finanza senza fede e senza scrupoli, la forza persuasiva delle grandi imprese, quelle che insieme muovono le economie delle nazioni potrebbe alla lunga sortire risultati se solo sapesse darsi delle regole condivise, se solo impegnasse la sua indubbia capacità dissuasiva e di dialogo nell’interesse comune, senza girarsi dall’altra parte in nome del business, davanti a tiranni e dittature, soprusi e angherie. Perché alla lunga sappiamo bene che le guerre non le vince nessuno, visto che le perdiamo tutti, anche quelli che si arricchiscono.

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