Stipendi: in Italia si guadagna meno che nel 1990

Il nostro è l’unico Paese dell'Unione Europea in cui i salari reali sono scesi. Secondo l'Inps, 2 milioni di lavoratori senza contratto fisso sono in un'area di povertà

stipendi Italia© Andres Victorero/iStockPhoto

L’Italia è l’unico Paese Ue in cui i salari reali sono in calo, al punto che i redditi medi sono inferiori rispetto al 1990, come si evidenzia nel report dell’Ocse su dati Eurostat. Il problema è ancora più sentito in un contesto in cui i prezzi continuano a salire.

L’Inps, inoltre, ha già messo in evidenza che esiste una vasta area di povertà composta soprattutto da chi non ha un contratto fisso: spesso si tratta di giovani che inanellano un tirocinio dopo l’altro. Si tratterebbe di circa 2 milioni di lavoratori con contratti stagionali nel turismo e nei servizi, una zona grigia in cui la dimensione del “nero” emerge con forza mentre i controlli sono assenti.

L’Italia risulta quindi il Paese in cui il salario reale, rapportato ai prezzi, è calato di più. Un calo del 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie.

Secondo l’Ocse, il salari nella Penisola erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020. L’alta inflazione generata dalla guerra in Ucraina e della veloce ripresa post Covid aggrava dunque un problema già esistente.

“I bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia, dericano da una crescita anemica della produttività totale dei fattori”, ha commentato al Corriere della Sera Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia all’università Bocconi di Milano. “I salari fermi sono, a mio avviso, la più grande ferita nel modello di specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di lavoratori con istruzione avanzata, ne risente anche la produttività. A ciò si aggiunga un mercato dei capitali poco dinamico e la ridotta dimensione delle imprese anche per sfuggire ai radar del fisco, generalmente poco aperte per questo all’innovazione tecnologica e dunque al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività, retaggio anche di un capitalismo familiare affetto dal dogma del controllo”.

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