Stalker di scrivania

La legge che per la prima volta ha configurato il reato di atti persecutori compie tre anni. In Italia il 15% dei casi si registra in azienda. Secondo quali dinamiche, e con quali risvolti professionali, molestie ossessive e ripetute invadenze nella privacy altrui nascono, si sviluppano, degenerano tra colleghi d’ufficio e tra capi e dipendenti, uomini e donne?

Esiste una forma di violenza sottile, quasi invisibile, più subdola e strisciante rispetto alle aggressioni verbali o fisiche più esplosive e “tangibili”. Rientra in quello che Olivier Clerc definisce il comportamento del “ragno”, insistente, continuo e manipolatorio, per differenziarlo da quello della tigre, più palese e distruttivo soprattutto a livello materiale (La tigre e il ragno, Urra, 2005). Entrambe, però, sono due polarità della stessa manifestazione violenta, l’una diretta contro la psiche, l’altra contro il corpo della vittima designata. E proprio alla strategia del ragno, per dirla sempre con Clerc, appartengono quelle molestie ripetute e ossessive – dalle telefonate insistenti ai pedinamenti e appostamenti – conosciute come stalking. In Italia è stato introdotto come reato penale solo nel 2009 con una legge apposita. All’inizio le vittime erano prevalentemente donne: per il 90% dei casi il molestatore era uomo, tra i 35 e i 44 anni. Ma in questi tre anni anno sono aumentate le persecuzioni anche contro il genere maschile (sebbene siano sempre in minoranza, rispettivamente 25% contro 75%, dati dell’Osservatorio nazionale stalking). E il 15% delle azioni persecutorie ha luogo in contesti lavorativi. Con evidenti rischi per la propria serenità professionale, oltre che per la propria incolumità.

FENOMENO SOCIALE

  • » Nel 75% dei casi lo stalker è uomo, nel 25% donna. Uno su tre è recidivo.

  • » Nel 90% delle vicende l’autore di atti persecutori è un conoscente; solo nel 10% è uno sconosciuto.

  • » L’ossessione verso qualcuno può derivare da rigidità relazionale (75%), da disturbo di personalità (75%) o da psicopatologia grave (5%).

  • » Il Centro presunti autori ha recuperato finora 120 stalker.

  • » In seguito a un percorso di rieducazione, gli atti persecutori vengono contenuti completamente per il 40% dei casi o registrano una significativa diminuzione (25%).

dati Osservatorio nazionale stalking

CARRIERE SPEZZATE

«Per quanto riguarda lo stalking occupazionale, può certo influire una forte competizione verso un collega, un dipendente o un superiore, unitariamente a invidie e a gelosie», spiega Massimo Lattanzi, coordinatore dell’Osservatorio Nazionale Stalking, «ma spesso molestie e ricatti sono compiuti nel solco di storie parallele extraconiugali o, ancora, di amori non consumati. È il caso di uno stalker che sto seguendo», ci racconta Lattanzi. La vicenda si è verificata in uno studio di professionisti: «La persona in questione ha iniziato a essere morbosa nei confronti di un collega emergente, un leader carismatico, sempre circondato da donne… Essendo omosessuale, ha finito per invaghirsi del compagno di lavoro che, di fronte al suo outing, ha preso le distanze. Al che il primo ha iniziato a tempestare il secondo di telefonate, a pedinarlo e a fare appostamenti, fino ad arrivare ad accese scenate in studio e a minacce alla dirigenza perché non fosse allontanato solo lui. Tanto che entrambi, poi, sono stati mandati via». Per fortuna, la vittima ha trovato subito un’occupazione presso un altro gruppo, ma non tutti potrebbero avere la stessa possibilità e l’epilogo potrebbe essere ancor più rovinoso. Lo stalker, invece, ha scontato una detenzione di tre mesi ed è in attesa di una nuova udienza.

PERICOLO DI RECIDIVA

Difficile, in casi come quello descritto, non solidarizzare con le vittime e con quanti, legati a esse, sono finiti nel mirino di uno stalker. «Sì, ma facciamo appello alla giustizia riparativa, non solo coercitiva», ammonisce Lattanzi. «I dati ufficiali ci dicono che nel 40% dei casi le persecuzioni continuano anche dopo le misure cautelari. Circa il 10% degli stalker usciti dal carcere hanno commesso anche reati più gravi, fino all’omicidio. La stessa persona di cui ho parlato mi ha raccontato che durante la detenzione la sua ossessione è persino aumentata e, una volta libero, per prima cosa ha cercato la vittima». Presso il Centro presunti autori dell’Osservatorio, sia lo stalker sia il suo bersaglio sono accolti in un percorso di rieducazione. «È importante chiudere il cerchio del loro rapporto, altrimenti la spirale di ossessione e violenza non avrà mai fine», fa notare il coordinatore. «I presunti autori di stalking non soffrono di psicopatologia mentale, ma relazionale». La nuova campagna di sensibilizzazione dell’ONS che partirà a giugno sarà proprio incentrata sul tema della risocializzazione del persecutore. «Nel 65% dei casi funziona», evidenzia il coordinatore dell’Osservatorio. «A parte in un 30-35% di episodi in cui, purtroppo, questo percorso non conduce a esito positivo, nel 40% gli atti persecutori sono contenuti completamente, e nel 25% in maniera considerevole; ciò significa far rivivere la vittima, liberarla dalla paura».

UNA LEGGE GIOVANE

È la n. 38 del 23 aprile 2009 a introdurre, nel nostro ordinamento, il reato penale di atti persecutori. Viene punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. La pena è inasprita se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da una persona che sia stata legata da relazione affettiva alla parte offesa, e aumentata della metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di un disabile, sia con armi sia da persona “travisata” (ovvero che abbia alterato le proprie sembianze). Il termine per sporgere querela è di sei mesi. La legge, inoltre, prevede l’istituto giuridico dell’ammonimento. Prima della querela, la vittima può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza e chiedere al questore di ammonire il presunto stalker. Il questore, ritenuta fondata l’istanza, invita l’autore delle molestie a tenere una condotta conforme alla legge e redige un processo verbale per le parti.

L’ARMA DELLA DIFFAMAZIONE

Accanto agli atti ossessivi reiterati nei confronti della vittima, che puntano a incuterle ansia e timore, c’è poi un altro mezzo potenzialmente deleterio, usato dallo stalker per isolare e distruggere, anche a livello professionale, la persona oggetto delle sue ossessioni: la diffamazione. È l’esperienza vissuta, per esempio, dalla criminologa Roberta Bruzzone. La dottoressa ha più volte denunciato pubblicamente di essere presa di mira dal suo ex compagno, un tempo anche suo partner lavorativo. «Già durante il rapporto di coppia, durato cinque anni, dal 2003 al 2008», racconta Bruzzone, «il mio ex cercava di farmi terra bruciata intorno, mosso da gelosia ossessiva. In ambito lavorativo tentava di mettermi contro i nostri collaboratori e di precludermi nuove opportunità con una serie di menzogne e boicottaggi. La relazione è terminata proprio perché quest’uomo iniziava a rappresentare per la mia carriera un limite e un ostacolo». In particolare, il delitto di Avetrana, a fine 2010, è stato un caso che ha dato alla professionista ampia visibilità, facendo decollare definitivamente la sua carriera. «A quel punto», spiega Bruzzone «questa persona, tramite un account fasullo, ha inviato a vari interlocutori mediatici una lettera densissima di false accuse nei miei confronti. Dopo indagini di natura tecnica e informatica, è stato confermato che dietro tutto ciò ci fosse lui. È arrivato persino ad attribuirmi falsi attestati da lui appositamente prodotti pur di screditarmi sotto il profilo etico-morale». Di fronte al tentativo fallito, e a un nuovo momento di collasso psicologico dello stalker – l’estate scorsa la criminologa si è sposata – è stata messa in atto un’altra strategia diffamatoria. «Nell’autunno 2011», afferma Bruzzone, «quest’uomo ha inviato una lettera aperta a Bruno Vespa, che conteneva ulteriori accuse nei miei confronti, con l’intento di farmi allontanare da Porta a porta (dove la dottoressa è ospite fissa). Ma non solo. In essa erano riportati anche altri firmatari, tra cui alcune organizzazioni sindacali serie e importanti, la Società italiana di criminologia, colleghi quali Francesco Bruno e Simonetta Costanzo che, contattati dal mio ufficio legale, si sono subito proclamati estranei. In seguito on line è comparso pure un blog indirizzato a ledere la mia immagine professionale, e stavolta tra i firmatari c’erano altri professionisti contro cui, parallelamente, sto prendendo ulteriori provvedimenti. Li accomuna la gelosia professionale». La criminologa – che nel febbraio 2009 si è ritrovata una pistola puntata in pieno viso, ma è riuscita a scappare – ha «sempre denunciato, dalle diffamazioni alle calunnie. In merito ai miei titoli e al mio operato, poi, è tutto verificabile e ben documentato. Ho anche segnalato la situazione alla Polizia di Stato, in quanto si tratta di un soggetto appartenente alle Forze dell’Ordine».Certo, però, che non tutte le donne hanno la determinazione e non dispongono dei vari mezzi cognitivi e tecnici di Roberta Bruzzone. «Lo capisco», commenta la dottoressa. «Ma nella prima fase della vicenda ho avuto anche io le mie difficoltà. In primis perché questo stalker indossa una divisa, poi perché coloro a cui mi rivolsi tendevano a ridimensionare gli episodi come mere questioni tra ex che prima o poi sarebbero finite. “Tanto lei è forte, non dica che ha paura”, ha persino commentato qualcuno. Ma se una donna ha strumenti per contenere meglio l’ansia, non per questo è meno vittima di un’altra».

STALKING O MOBBING?

Parlando infine di stalking occupazionale in azienda, qual è il discrimine tra questo e il mobbing? Ci aiuta a tracciarlo Alessandra Menelao, psicologa del lavoro, responsabile nazionale per mobbing e stalking del sindacato Uil (Unione italiana del lavoro). Spiega Menelao: «Quando si teme per la propria incolumità si è di fronte allo stalking, che nasce da un serio disturbo psicopatologico, dalla non accettazione: di un rifiuto, di un successo altrui… Nel secondo caso, invece, si tratta di una pratica che può sì sfociare in comportamenti persecutori forti, manipolativi, per cacciare qualcuno dal posto di lavoro, ma dettati più che altro da ragioni di carattere interpersonale e organizzativo; in questo caso, la vittima può soffrire di disturbi post-traumatici e depressivi, ma non teme per la propria vita». Uil dispone in tutta Italia, da Nord a Sud, di circa 40 centri di ascolto per tutelare i lavoratori. Di fronte a una segnalazione, però, sottolinea Menelao, «quello che facciamo è verificare i fatti, concreti e provati, sulla base del vissuto emotivo della persona e della normativa in materia. Dopo la legge del 2009, sono aumentate le denunce, ma anche le presunte vittime che tali non sono. Basti pensare che ogni anno, delle 20 mila che si rivolgono ai nostri centri di ascolto, solo il 10-12% al massimo costituisce una reale casistica». Senza considerare inoltre che «spesso c’è molta confusione: a volte si può scambiare per stalking un rapporto lavorativo malsano sì, ma non certo fonte di persecuzione». È dunque altrettanto fondamentale migliorare e curare la formazione: «Degli operatori in primis, che devono essere sempre più competenti in materia, ma anche di dipendenti e dirigenti, senza esclusione, sul posto di lavoro».

“DENUNCIARE SENZA PAURA”Intervista all’avvocato Giulia Bongiorno, fondatrice Michelle Hunziker – dell’associazione Doppia Difesa

SPORTELLI D’ASCOLTO

40

I centri del sindacato Uil su tutto il territorio nazionale

20 mila

le segnalazioni annue su mobbing e stalking

10-12%

costituisce una reale casistica

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