Andy Cohen si è appena liberato dalla camicia di forza. Non è un matto. È un illusionista, bravo come Houdini. Ma il suo lavoro è diverso: usa la magia per insegnare il management. E il trucco della camicia di forza gli serve per dimostrare come agire in maniera differente da tutti gli altri. Un segreto che, applicato nel business, vale oro. «La magia è una metafora che utilizzo per dimostrare ai manager che è la mente a fare il trucco, non il mago», ci racconta l’ex prestigiatore, ora consulente di aziende come Time Warner, Nestlé e JP Morgan Chase, a margine della tappa milanese del World Business Forum. «Perché pensiamo in un modo e non in un’altro? Per rispondere a questa domanda, un gioco con le carte vale mille parole». Ecco perché Andy porta sempre con sé il suo cappello magico quando fa lezione ai top executive. E loro rimangono a bocca aperta. Cosa imparano? «Usata come metafora la magia ci insegna molto di più rispetto a tanti corsi di creatività e innovazione», dice Cohen, di recente premiato dalla American marketing association. «Ci insegna a vedere le cose con occhi nuovi, elimina la resistenza, incita a partecipare senza timore, a pensare in altri modi, anche assumendoci il rischio di farlo. Ma è proprio questa la bellezza di saper gestire situazioni pericolose: l’esporsi a tutte le alternative, ampliare la visione e poi focalizzarsi, mettere alla prova dei fatti teoria e credenze».Credenze, supposizioni: ecco due parole chiave. Sono quelle che ci traggono in inganno quando guardiamo uno spettacolo di magia: siamo convinti di sapere cosa succede e invece ci sbagliamo. Per dirla in soldoni, seguiamo sempre la mano sbagliata: la carta sta nell’altra. «Quando seguiamo ciecamente le nostre congetture, cadiamo in un vortice di negatività. I sintomi? Sono cinque e facili da individuare. Se non ci sentiamo a nostro agio sul lavoro, pensiamo che le cose non cambieranno mai, che non ce la faremo e ci stiamo mettendo troppo tempo o che il lavoro non sta riuscendo alla perfezione; ebbene, questi sono segnali inequivocabili che siamo vittime dei nostri preconcetti. Dobbiamo liberarcene per arrivare a dire il contrario: “posso farcela, imparerò dagli errori, seguirò le mie passioni”». I preconcetti, insomma, fungono da barriera che ci impedisce di pensare e realizzare idee nuove. Sfidare i preconcetti porta a quello che Cohen definisce un “magic moment”. «La prima lezione che impartisco ai manager è quella che ho imparato facendo il mago: il potere della presunzione. Un mago sa come gestire le supposizioni del suo pubblico nei confronti del trucco che mette in scena. Anche nel mondo del business ci muoviamo in funzione delle nostre supposizioni: il problema è che finiamo col considerarle veritiere. Quando scopriamo la realtà, invece, ecco l’effetto wow!».Ma non è tutto: Cohen insegna ai Ceo a sfidare la logica del comando e del controllo, quella dell’“io parlo, voi ascoltate e poi eseguite”. «Il leader deve imparare a mettere in scena la sua performance, proprio come fa un mago, anche creando l’illusione più coerente e adatta a veicolare il suo pensiero. Quando un prestigiatore entra in una stanza», continua il mago del business, «tutti sanno che stanno per essere ingannati in qualche modo. La sfiducia è il rischio d’impresa di ogni mago. Il mago inizia a costruire la fiducia nel modo più semplice: suscitando l’impressione di avere libertà di scelta, per esempio di scegliere una carta da un mazzo. Il consumatore di oggi richiede vera scelta, e quante più sono le opzioni che ha, tanto più sarà intensa la sua relazione con il prodotto o servizio». Un esempio? «Starbucks. Ha iniziato a fidelizzare i consumatori con opzioni innovative: venti modi diversi di ordinare il caffè, numerosi posti a sedere, divani, poltrone, sgabelli e tavoli, e a seguire rifornimenti di musica in mp3 per trasferire le canzoni sui lettori musicali dei clienti». Anche le aziende, come un bravo prestigiatore, devono imparare a coinvolgere il pubblico-consumatore nello spettacolo. Fino alla fine. Fino all’applauso.
Cosa può insegnare la magia al management? Parola al professor Matteo Motterlini |