Rimettersi in gioco

Essere in grado di rischiare, reagire al licenziamento con realismo e con una sana dose di umiltà. Il segreto per tornare a rivestire posizioni dirigenziali di rilievo è avere fiducia in se stessi. I consigli degli head hunter per i manager over 45 che restano senza lavoro

Qualche capello bianco in testa o qualche ruga in più sul viso non sono certo un dramma. A turbare i sonni degli italiani tra i 45 e i 50 anni c’è ben altro. C’è soprattutto la perdita del posto di lavoro, la paura di rimanere a casa, all’improvviso, con molto tempo libero a disposizione ma con pochi soldi in tasca. È un timore che hanno parecchi nostri connazionali, e non solo chi occupa i gradi più bassi nella scala gerarchica nelle aziende. Anche i manager over45 possono imbattersi in diversi ostacoli nel “riciclarsi”, cioè nel trovare una nuova collocazione nel mondo del lavoro, adeguata al loro status e alle loro competenze. Come possono essere superate queste difficoltà? Lo abbiamo chiesto ad alcuni head hunter, ai “cacciatori di teste” che, per conto delle imprese, selezionano i profili professionali di alto livello. Tutti gli intervistati sono concordi su un punto: il primo, vero ostacolo da superare, per un dirigente d’azienda di mezza età rimasto disoccupato, è soprattutto di carattere psicologico. «Nel nostro paese», dice Alberto Amaglio, amministratore delegato della società di head hunting Korn/Ferry International, «la perdita del posto di lavoro viene spesso vista in maniera eccessiva, come un dramma o un’umiliazione che a volte deve persino essere tenuta nascosta». E invece, si sa, il mestiere del manager è anche quello di saper rischiare, di essere in grado di rimettersi in gioco in ogni momento, non appena lo impongano le condizioni del mercato. Niente piagnistei o catastrofismi, dunque. «Anche perché», spiega Riccardo Kustermann, partner di Russell Reynolds Associates, «spesso, per un manager di età non più giovanissima, ricollocarsi in un nuovo ambiente professionale non è poi così difficile come credono invece molte persone». E ciò è vero, secondo Kustermann, anche nei periodi di forte crisi economica come quello attuale, in cui le aziende si trovano strette nella morsa di una depressione mai vista negli ultimi decenni, e hanno la necessità di puntare su figure professionali già ben formate, con un solido background alle spalle. Hanno cioè bisogno di dirigenti capaci di reagire alle avversità con grande realismo, senza le intemperanze tipiche dei giovani meno “navigati”.

Niente pregiudiziInoltre, a detta degli head hunter, raramente le imprese mostrano dei pregiudizi verso i candidati manager rimasti senza lavoro. «La perdita dell’occupazione», sottolinea infatti Amaglio, «può avvenire per i più svariati motivi». Può essere dovuta, per esempio, a un “inciampo” professionale del dirigente, che non ha raggiunto i traguardi promessi. Ma, non di rado, la perdita dell’occupazione è causata da oggettive difficoltà di un’impresa o di un determinato settore, contro cui le capacità di un manager, anche il più preparato, possono fare ben poco. In questi casi, i cacciatori di teste e le società loro clienti possiedono senza dubbio tutti gli strumenti per valutare se un professionista rimasto a casa ha ancora delle cartucce da sparare, delle capacità accumulate negli anni che meritano di essere sfruttate. In che modo? A deciderlo sono sempre, com’è ovvio, le aziende che assumono. L’importante è che i manager sappiano mettere in bella mostra, di fronte ali interlocutori giusti, il proprio patrimonio di conoscenze e competenze. Per questo, il consiglio di Mauro Capriata, partner di Spencer Stuart (e responsabile della practice consumer e luxury goods) è quello di battere ogni strada possibile per non perdere il contatto con il mondo del lavoro: «di solito suggeriamo ai manager di mettersi subito a disposizione delle aziende, offrendo delle consulenze» dice Capriata. Seguendo questa strategia, secondo il partner di Spencer Stuart, i dirigenti possono esprimere e rendere visibili concretamente le proprie competenze, mentre le imprese hanno l’occasione di conoscere «delle potenziali nuove risorse» cioè dei professionisti che, seppur in un futuro imprecisato, potranno entrare a far parte dell’organico della società. La strategia giusta per ripartire, dunque, consiste nel coltivare le relazioni. Così la pensa anche Amaglio di Korn/Ferry che dice: «i manager over45, in circa 20 anni di carriera, hanno sicuramente accumulato una gran mole di contatti e conoscenze, che devono rivelarsi fruttuosi proprio nei momenti di difficoltà». Per questo, non appena viene a contatto con un “dirigente senza lavoro”, Amaglio gli suggerisce subito di fare mente locale, per passare in rassegna tutte le persone che ha incontrato in passato e con cui ha avuto l’occasione di instaurare una relazione professionale o di amicizia. «Quasi sempre», aggiunge l’a.d. di Korn/Ferry, «vengono fuori spunti interessanti per riallacciare rapporti di vecchia data, per contattare senza reticenze le persone giuste». Tra le persone giuste, ovviamente, ci sono anche gli stessi head hunter. Ma occorre “avvicinarli” in modo intelligente, senza tentativi alla cieca che fanno soltanto sprecare tempo ed energie. Non di rado, durante i periodi di crisi come quella che stiamo vivendo, i cacciatori di teste ricevono una montagna di curricula o di lettere di presentazione da parte di professionisti che cercano disperatamente di ricollocarsi nel mondo del lavoro. Ogni candidatura si trasforma però quasi sempre in “una goccia nel mare”, destinata il più delle volte a non ricevere la considerazione che merita o addirittura a essere cestinata. Meglio usare canali più mirati, come quello suggerito da Amaglio. Si tratta del sito web dell’Aesc (www.aesc.org), l’associazione internazionale di categoria degli head hunter, che contiene anche un ricco database dei manager di tutto il mondo in cui si può essere inseriti pagando una quota annua di appena 100-150 euro all’anno. Oltre alle procedure di ricerca, però, anche i contenuti dei curricula e delle lettere di presentazione devono essere ben calibrati. A questo proposito, Korn/Ferry International ha creato una sorta di vademecum (dal titolo Conducting a Successful Job Hunt – condurre con successo una ricerca d’impiego), con consigli pratici di cui occorre far tesoro. A partire da quelli che riguardano proprio la redazione del profilo professionale del manager e della lettera di accompagnamento alla candidatura, che non devono mai risultare troppo lunghi (non più di una o due pagine), senza rinunciare però a essere efficaci nei contenuti. Essere efficaci, in questi casi, significa saper mettere bene in evidenza gli elementi distintivi di un manager, i fattori per cui un selezionatore o un’azienda, leggendo l’identikit del candidato, possono ritenerlo la persona giusta da collocare al posto giusto. Saper parlare una lingua straniera che pochi conoscono o avere esperienza in un particolare mercato di nicchia, per esempio, possono rappresentare una carta in più da giocare con sapienza.

Il fattore umiltàMa il curriculum vitae, ovviamente, è soltanto un biglietto da visita. Il processo di selezione trova in realtà un punto cruciale nelle interviste con gli head hunter. E durante le interviste, secondo i cacciatori di teste, è importante che i dirigenti d’azienda rimasti senza lavoro compiano un atto di umiltà. «In un manager», dice Capriata, di Spencer Stuart «apprezziamo sempre la sua capacità di fare autocritica e di riprogettarsi, la voglia di rimettersi in gioco». In che modo? Per esempio mostrandosi disponibili ad accettare qualche posizione leggermente inferiore, nella scala gerarchica aziendale, a quelle ricoperte in passato, oppure a percepire una retribuzione sensibilmente più bassa rispetto alle proprie aspettative, senza il timore di una perdita di prestigio. Per Amaglio e Kustermann quest’atto di umiltà è addirittura un passaggio necessario, per ricollocarsi più velocemente sul mercato del lavoro. Ed è necessaria anche un’altra strategia che spesso i manager disoccupati over45 trascurano. Per trovare un nuovo impiego, bisogna allargare sempre l’orizzonte geografico della propria ricerca. «Arrivati a una certa età», dice Kustermann, «spesso i manager hanno forti vincoli familiari e mostrano la tendenza a rimanere ancorati al proprio ambiente o alla propria zona di residenza». E invece, guardare aldilà dell’”orticello domestico” può essere una tattica vincente. Poche settimane fa, per esempio, Kustermann ha esaminato il caso di un manager molto capace, che aveva perso il lavoro a causa di una improvvisa crisi aziendale. La sua esperienza era notevole, in un settore di nicchia dove l’industria italiana è ancora all’avanguardia. Ebbene, questo candidato, che all’inizio mostrava molto smarrimento, è riuscito a ricollocarsi egregiamente uscendo dai confini nazionali, trasferendosi presso un gruppo spagnolo con sede a Bilbao. «Certo», aggiunge Kustermann, «oggi deve sopportare qualche sacrificio per gli spostamenti, ma ne è valsa la pena». Infine, secondo l’head hunter di Russell Reynolds Associates non va trascurata la possibilità di intensificare le attività di formazione e di aggiornamento professionale. Un manager ultra 45enne rimasto senza lavoro, per esempio, può prendere in esame l’ipotesi di frequentare, a proprie spese, degli executive master presso una prestigiosa università. Si tratta di corsi che, il più delle volte, hanno una durata non troppo prolungata nel tempo, cioè fino a 6 mesi, e dove, oltre ad arricchire le proprie competenze interdisciplinari, i manager hanno l’opportunità di venire a contatto con altri professionisti e dirigenti d’azienda, cogliendo qualche occasione per allacciare rapporti di lavoro o di collaborazione.

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