Ricambio generazionale: quando i pensionamenti salvano i giovani

Anticipando il ritiro dei lavoratori più anziani si può ridurre il tasso di disoccupazione tra le nuove leve? Dipende dalla professione e dal settore economico

Le politiche di pensionamento anticipato come soluzione per la disoccupazione giovanile? Non sempre, specie in un mercato del lavoro rigido e poco flessibile come quello italiano. E mentre per i lavori poco qualificati il ricambio occupazionale è quasi assoluto e anche più economico, per professioni più qualificate l’uscita anticipata dal lavoro dei più anziani non favorisce l’ingresso di giovani. È quanto messo in luce dal rapporto elaborato dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro su “Il ricambio generazionale dell’occupazione”. La ricerca entra nel dettaglio delle professioni “sostituibili” e “non sostituibili”. Si registra un saldo negativo tra l’ingresso nel mondo del lavoro di giovani alla prima esperienza lavorativa e pensionati per quanto riguarda legislatori, imprenditori e alta dirigenza (-48 mila), professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (-48 mila), per impiegati (-27 mila), conduttori di impianti, operai di macchinari fissi e mobili e conducenti di veicoli (-45 mila) e per i militari (-3 mila). Dunque, solo una parte dei posti dei pensionati è stata sostituita dai giovani alla prima esperienza lavorativa, in quanto la restante è stata affidata a lavoratori meno giovani, adulti con maggiore esperienza oppure non è stata sostituita affatto.

Un Paese votato ai servizi

Tra le professioni, invece, dove si registra il maggiore ricambio occupazionale ci sono innanzitutto quelle inerenti le attività commerciali e i servizi (+358 mila), a testimonianza della vocazione terziaria del nostro Paese. Un barista o un commesso può essere sostituito con un lavoratore di qualsiasi età, ma se è giovane costa meno. Non sembrano presentarsi difficoltà di ricambio occupazionale infatti per le professioni esecutive relative all’accoglienza nei settori del turismo (+9 mila). L’esame delle professioni tecniche, poi, mostra un basso ricambio occupazionale e un saldo negativo in mestieri come tecnici del lavoro bancario (-2 mila) e segretari amministrativi, archivisti e tecnici degli affari generali (meno di mille unità), probabilmente causato da fattori esogeni come la quarta rivoluzione industriale, che con la diffusione dei servizi bancari e di pagamento on-line ha determinato la chiusura degli sportelli e la drastica riduzione del personale amministrativo. Non si presentano, invece, difficoltà di ricambio generazionale in professioni come quelle di programmatori (+11 mila), disegnatori industriali (+9 mila), esperti in applicazioni informatiche (+7 mila), ma anche in professioni più tradizionali ma in espansione come i tecnici di vendita e distribuzione (+7 mila) e in professioni sanitarie riabilitative (+5 mila) come fisioterapisti, podologi, ortottisti e terapisti della riabilitazione psichiatrica.

Istruzione in crescita, ma non serve

Il rapporto si focalizza inoltre sul livello d’istruzione degli anziani pensionati, nettamente inferiore a quello dei giovani alla prima esperienza di lavoro: oltre la metà dei pensionati (51,1%) ha conseguito al massimo la licenza media (il 18% al massimo la licenza elementare), un terzo è diplomato (34%) e solo il 14,9% è laureato. La quota con titolo terziario tra i giovani (26,5%) è superiore di 12 punti percentuali a quella degli anziani, oltre la metà è diplomato (53,9%) e il 19,7% ha conseguito al massimo la licenza media. Il differente livello d’istruzione e di esperienza lavorativa, le diverse attitudini verso la tecnologia e le competenze trasversali maturate non consentono di prevedere che la diminuzione dell’età pensionabile porti all’assunzione di giovani, perché più probabilmente si assumeranno lavoratori adulti che hanno le stesse caratteristiche e skill di quelli che devono essere sostituiti.

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