Orchestrare la complessità

Un direttore d’orchestra tra i manager? «Il parallelo tra le due figure è incredibilmente arricchente per entrambi. Molto più di quanto pensiate». E ve lo dimostriamo …

Direttore d’orchestra e manager-capo d’azienda? Tra i due ci sono più affinità di quanto pensiate. E data l’attuale complessità e imprevedibilità dei mercati, per i manager avere spunti da attività professionali e artistiche è uno stimolo per aprire nuovi orizzonti e sviluppare nuove competenze. L’intuizione di fare dialogare i due mondi è di Gian Carlo Cocco, autore di oltre 20 libri nel campo del management (l’ultimo è Le intelligenze manageriali, edito da Franco Angeli), che da anni studia le neuroscienze e le intelligenze multiple applicate al mondo dell’impresa. Da più di dieci anni in collaborazione con il Cfmt, Centro di Formazione Management del Terziario, propone una serie di iniziative formative sulle maggiori competenze manageriali, coinvolgendo personaggi che non appartengono a quel mondo. Così qualche anno fa è nata la collaborazione, tanto insolita quanto interessante, con il maestro Daniele Agiman, direttore principale dell’Orchestra sinfonica G. Rossini di Pesaro e titolare della cattedra di Direzione d’orchestra presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Agiman aveva già nel suo curriculum incontri di formazione con top manager di Fondiaria Sai, Mythos, Boehrin-ger, Hotelplan, San Pellegrino/Nestlè, Philips, Vodafone. Da queste premesse nasce il workshop, tenuto da Cocco e Agiman e proposto da Cfmt, “Governare l’imprevisto: mindfulness, resilienza e il coraggio di osare”. Due incontri si sono già svolti a Milano e Roma. Il prossimo sarà a luglio a Venezia e altre edizioni ci saranno a Milano in autunno (www.cfmt.it).

Maestro Agiman, cosa ci fa tra i manager?

Da una decina di anni mi è stata offerta l’opportunità di confrontarmi col mondo delle aziende e ho visto che i nostri due mondi sono molto più vicini di quanto possano apparire. Le dinamiche sono quelle di qualsiasi gruppo con un leader. Anzi, lavorare con i manager mi ha permesso di capire ancora più profondamente cosa significa leadership.

E cosa significa?

Leadership è anzitutto imparare a guidare se stessi per guidare meglio gli altri. È un lavoro su di sé molto profondo. E va riconfermata e vivificata ogni volta sul campo.

Lei è anche insegnante dei futuri “leader” d’orchestra. Ma leader si nasce o si diventa?

Fino al 90% la leadership è insegnabile. Ma poi c’è quel 10% che fa l’eccellenza e non è trasmissibile. È importante, quando si scorge in un giovane questo quid, aiutarlo a non perdere tempo.

Da cosa è fatto questo 10% d’eccellenza?

L’eccellenza non è legata a simpatia, efficienza o strategia. I grandi direttori quando sono eccellenti sono pervasi da un sacro entusiasmo irrefrenabile. Nel senso etimologico della parola: en -theos, “pieno di Dio”, ovvero sono divinamente ispirati. È il segreto che permette al direttore di incarnare profondamente la partitura, il progetto, e motivare ogni fibra dell’orchestra. È l’embodiment.

La caratteristica più importante di un buon direttore?

Molti pensano che siano le competenze tecniche. Certo un buon orecchio, la capacità di individuare gli errori tra mille suoni e imput e di intervenire, sono tutte qualità importanti. Anche la corporeità fa tanto e gli italiani sono apprezzati all’estero per questo. Ma ancora più importante è la capacità di vision. Il direttore parte dal progetto, che è la partitura. Da questi segni morti costruisce la sua idea del pezzo. Deve far risuonare la partitura perfettamente nella sua testa e poi trasferirla e tirare fuori i migliori risultati dall’orchestra.

Ci sono competenze tecniche imprescindibili?

Forse solo la capacità di selezione. Un leader deve sapersi circondare dai migliori elementi possibili e motivarli a trovare soluzioni tecniche specifiche. Al grande strumentista in orchestra il leader non deve dare soluzioni tecniche, ma trasmettergli l’idea e lasciare che sia lui a proporgliele.

Come si prepara un’esecuzione perfetta?

Il segreto sta in due momenti. Il primo riguarda il direttore quando, da solo, studia il progetto. Questa fase può durare un mese ma anche un anno, dipende. Con questo “possesso” va e si confronta con l’orchestra fatta di persone particolari, con caratteristiche uniche, in un luogo preciso, con un pubblico diverso di volta in volta. Così l’idea originaria viene modellata sulla base di quanto proposto anche dai singoli strumentisti e dall’orchestra nel suo complesso.

Quindi una grande esecuzione nasce dal fatto che il singolo strumentista sente la forza dell’idea del direttore, la sua capacità di trasmetterla all’orchestra e di coinvolgerla. È da qui che nasce la perfezione dell’esecuzione?

Sì, ma tengo a sottolineare che un’esecuzione non è mai perfetta. I profani che ascoltano l’orchestra hanno la sensazione di perfezione, in realtà non è così. La perfezione sta nella capacità di cogliere eventuali errori e non considerarli tali, ma di trasformarli in opportunità per un’esecuzione che trae da questo la sua originalità e si libera da ogni rigidità. Da qui l’importanza assoluta della capacità di ascolto e della presenza nel qui e ora. Se il direttore arriva con un’idea del pezzo troppo rigida, una sorta di preconcetto, non ha la capacità di rapportarsi realmente col gruppo-orchestra perché continua a sentire la propria idea del pezzo e non quello che al momento gli strumentisti stanno suonando. Non sente più quello che sta avvenendo e neanche gli errori dell’orchestra. È un grande lavoro su di sé.

E qui si inseriscono le tecniche di mindfullness proposte da Gian Carlo Cocco…

Esatto. Quando siamo molto efficaci, stato che noi definiamo “di grazia”, abbiamo il sistema cognitivo, emotivo e i sensi allineati in modo organico. La Mindfullness, che nasce dalla meditazione orientale, è la tecnica che ti permette di riprodurre quell’allineamento. È la pratica della consapevolezza che si può allenare e costruire nel tempo.

Ma nella musica classica si immagina che niente venga lasciato al caso…

Non è così. L’aspetto improvvisativo è altissimo, gli imprevisti innumerevoli, dall’errore fino all’iniziativa del singolo strumentista che ha un momento di ispirazione. E nel momento in cui l’ispirazione del singolo è un valore aggiunto è doveroso farla emergere e sostenerla. Sta al direttore percepirla e confrontarla con la sua idea per vedere se c’è coerenza. Se è così lui per primo si mette al servizio dell’intuizione del singolo. È questa la magia dell’esecuzione. Il momento in cui tutti si rendono conto che non c’è più uno che decide, ma l’idea è in circolo. E se il lavoro durante le prove è stato coinvolgente questo succede molto spesso.

E quando invece l’imprevisto è l’errore?

Se c’è un rapporto costruttivo tra le parti, anche l’errore durante l’esecuzione diventa un valore condivisibile. Per esempio rispondendo nelle battute successive con aumento di bellezza, compensando insieme l’errore con un aumento di intensità. Ritengo però che l’errore rimanga una variabile ammissibile solo entro certi limiti: un gruppo valido cerca di limitarlo il più possibile.

Che cos’è lo stress per un direttore d’orchestra?

Il lavoro del direttore d’orchestra è fisicamente logorante. Quando si prepara un’opera si sta in teatro 10-14 ore consecutive provando sempre. Ma il rischio più grande di un leader è di ricadere in meccanismi consolidati, che magari hanno funzionato bene in passato, ma che diventano gabbie che non ti permettono più di crescere e fare un salto qualità come persona e professionista. Il vero stress è la monotonia, la routine, l’appiattimento. Una morte della ricerca e dell’entusiasmo che ti porta a ripetere uno schema consolidato con tutte le orchestre che ti trovi a dirigere.

E come si fa a non farsi sopraffare?

Facendo una cosa semplice ma non sempre facile. Passando dalla capacità di fare una cosa alla capacità di saper far fare una cosa. Alla delega. Per imparare a delegare io do ai miei giovani allievi questo choc: li faccio partire a dirigere una media sinfonia con una buona orchestra e poi gli chiedo di smettere di dirigere e osservare cosa accade: l’orchestra va avanti da sola, spesso molto meglio di quanto faccia quando il direttore un po’ inesperto interviene. Cosa abbiamo capito? Che un vero leader fa solo quello che serve per dare miglioramento al gruppo e non per autoincensarsi.

Cosa non dovrebbe dimenticare oggi un leader?

Che l’azienda (e l’orchestra) oggi è un luogo di socialità primaria. Una zona di frontiera dove le persone trovano amici e relazioni primarie. Quindi non ci sono più solo problemi legati al lavoro, ma spesso troviamo persone che non hanno più una propria vocazione esistenziale. Noi non abbiamo più a che fare con persone che vanno motivate nel lavoro ma con persone a cui dare una visione della vita. E questo è un problema epocale. Bisogna ripartire dalle persone. Dalle intenzioni che stanno dietro ai loro gesti, l’intenzione prima del prodotto. E poi dovrebbe ricordarsi che non sarà mai giudicato da quello che dice ma da quello che fa. Occorre essere portatore di un valore nell’esempio. Se un direttore si sbraccia e sbraita quando un’orchestra sta suonando piano e grida “suonate piano, suonate piano”, questo è un esempio di perfetto scoordinamento tra la comunicazione verbale e quella corporea (che è in realtà l’unica cosa che lo strumentista segue). Lo strumentista in questo caso cosa fa? Non guarda più il direttore, abbassa la testa, guarda la propria parte e la leadership è persa.

Come coniuga lavoro e vita privata?

Io sono uno dei pochi direttori d’orchestra rimasti al primo matrimonio. È difficilissimo. La nostra è una vita in cui non esistono orari. Mantenere una vita extra lavorativa è quasi impossibile, ma fondamentale. Il segreto sta nel non cadere nella routine come professionisti. Non si può restare motivatori, alla ricerca e in crescita nell’ambito professionale e poi non farlo nella vita personale. Chi pensa di riservare la propria energia solo al lavoro, prima o poi accusa il crollo, diventa ripetitivo e monotono, dirige allo stesso modo a Tokyo e a New York, e tutto va a rotoli.

Qual è segreto del successo?

Il segreto è fermarsi, darsi delle pause, ma oggi è quasi impossibile. In questo senso il lavoro di Gian Franco Cocco, che pone al centro delle intelligenze manageriali, quella introspettiva, è fondamentale. Il lavoro su di sé deve andare parallelo a quello verso l’esterno. Non dico che bisogna ritirarsi su un’isola, ma ogni tanto concedersi un po’ di silenzio attorno, una pausa.

Qual è il rischio più grande per un manager oggi?

Quello di vivere e lavorare in continua emergenza. È diventato quasi impossibile spegnere il cellulare e durante la pausa-caffè dei nostri workshop serve per chiamare in ufficio e vedere cosa succede. Forse dovrebbero davvero fare l’esperienza che propongo io ai miei allievi di lasciare andare il proprio gruppo per una settimana e vedere se sopravvivono. Il gruppo va avanti! Durante un’intervista, quando Karajan aveva circa 60 anni, gli chiesero quale fosse il segreto della direzione d’orchestra. E lui raccontò un aneddoto. Era un giovane direttore e stava iniziando ad andare a cavallo. Un giorno il suo istruttore gli disse che l’indomani avrebbe saltato gli ostacoli. Gli sembrò impossibile: “Come faccio a portare quell’enorme affare oltre l’ostacolo?” E l’istruttore rispose: “Non dica stupidaggini, non sarà lei a portarlo oltre l’ostacolo, ma sarà il cavallo a portare lei oltre l’ostacolo. Lei dovrà limitarsi a dare l’inclinazione giusta perché il cavallo lo faccia nella maniera più naturale e semplice possibile”. E Karajan capì che in quel momento gli era stata dato un insegnamento di vita. Questo non vuol dire che è solo il cavallo, cioè il gruppo, a fare il lavoro. Ma il grande direttore interviene prima dell’ostacolo per dare l’inclinazione giusta. Occorre avere la visione e creare le condizioni affinché le cose si realizzino, ma non è il direttore a realizzarle.

TRA I PIÙ GRANDI DELLA STORIA

Wilhelm Furtwängler (1886-1954)

CAMPIONE D’ASCOLTO

Dirigeva quasi in stato di trance: i suoi gesti sembravano avere poca attinenza al ritmo, i movimenti del suo corpo vennero descritti da alcuni suoi orchestrali come «un burattino mosso da fili». I musicisti restavano incantati dal suo carisma. Era famoso per l’incapacità di dare spiegazioni: la frase più esplicativa che poteva dire era: «Bisogna solo ascoltare».

Herbert Von Karajan (1908 –1989)

IL MAESTRO ZEN

Praticò molti sport, ma ciò che più adorava era fare lunghe camminate nella natura, cui non dovette rinunziare nonostante le numerose malattie. Avvertiva la Musica nella Natura, come se fosse espressione immateriale dei beni del creato. Ebbe continui contatti con le culture orientali e praticò yoga per tutta la vita.

Carlos Kleiber (1930-2004)

GENIO E SREGOLATEZZA

Figlio di un grandissimo direttore d’orchestra tedesco degli anni 20-50, era il tipico genio e sregolatezza: negli ultimi anni di vita accettava di dirigere solo quando frigorifero e conto in banca erano vuoti. Perfezionista, spesso faceva infuriare direttori dei teatri e pubblico annullando all’ultimo i concerti.

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