Non chiamatelo ufficio

Potete trasformare la sala riunioni in un galeone pirata, come ha fatto la società americana Inventionland. Ma per migliorare il clima aziendale basta riorganizzare l’ambiente intorno alle esigenze dei collaboratori. E ricordate, per un progetto su misura un buon direttore del personale vale più di mille architetti. La ricerca Diomedea per Assufficio

Caro vecchio open space. Lo guardate e vi rendete conto che ne è passato di tempo da quando, insieme agli operai, avete assemblato tavoli e paratie. Erano i primi, gloriosi giorni e tutto prometteva un luminoso avvenire. Ora che il successo è arrivato, e con lui nuove attività e nuovi collaboratori, è giunto anche il momento di ripensare gli spazi, organizzarli, renderli più funzionali. E più belli, perché no. Come dite? Vorreste anche che il nuovo progetto faciliti le relazioni tra i dipendenti, li ispiri durante la loro giornata lavorativa e magari li motivi a timbrare un po’ più volentieri il cartellino? Ebbene, sappiate che non è un’utopia, e che se la pensate così siete tra quelli che l’architetto Alberto Albertini chiama «imprenditori illuminati». Albertini è il coordinatore del progetto Ufficio fabbrica creativa, il programma di Assufficio (che all’interno di Federlegno raggruppa i mobilieri specializzati nell’arredo per l’ufficio) avviato per aiutare imprenditori e responsabili delle risorse umane a capire in che modo il rinnovamento degli spazi lavorativi possa, quando effettuato secondo determinati criteri, favorire il buon rendimento dell’azienda. Niente di trascendentale in realtà: quella di Assufficio non è una formula magica, né si sostiene che sia sufficiente cambiare il desktop, l’armadio o l’illuminazione perché il bilancio si metta improvvisamente a segnare sempre il segno più. Però l’approccio di chi pensa all’ufficio come a un ambiente in cui le persone non debbano stare solamente con la testa china sulla scrivania è indice di una sensibilità e di una visione strategica che inevitabilmente si ripercuotono pure sul modo in cui si conducono gli affari. Senza considerare che in mancanza di benessere uno spazio di lavoro finisce per diminuire la produttività e la soddisfazione di chi ci passa l’intera giornata. A sostenerlo è l’ultima delle due ricerche condotte per Assufficio da Diomedea, pubblicate insieme alle indagini svolte sullo stesso tema da Ispo e Degw all’interno del volume Investire sull’ufficio: come e perché, a cura di Enrico Cietta ed edito proprio il mese scorso da FrancoAngeli. La ricerca si focalizza sulle linee guida da tenere per costruire un ambiente lavorativo efficace. E sottolinea che rispetto all’assunto iniziale è anche vero il contrario: si può imparare a condurre meglio l’azienda cominciando a riorganizzare l’ufficio. Innanzitutto perché coinvolgere i collaboratori è un ottimo modo per conoscere meglio le loro esigenze anche al di là degli aspetti puramente logistici. E, questione non proprio da sottovalutare, perché aiutarli a lavorare meglio ripagherà prima di tutto voi stessi, attraverso performance migliori e un bel po’ di gratitudine. Che non guasta mai.

INVENTIONLAND, L’UFFICIO-CHE-NON-C’È

Certo, non tutti possono pensare (e permettersi) di aiutare i collaboratori ad affrontare la giornata lavorativa come ha deciso di fare, in maniera radicale, George Davison, fondatore di Inventionland, colosso americano specializzato in innovazione tecnologica. Sarà perché lì la caccia all’idea creativa è in fin dei conti la vera mission aziendale, il pane quotidiano per ciascuno dei dipendenti. O forse dipenderà dal fatto che Davison aveva previsto che ne avrebbe ottenuto una straordinaria visibilità. Quel che conta è che i 7.000 metri quadri della sede di Pittsburg, in Pennsylvania, hanno gradualmente assunto, a partire dal 2006, l’aspetto di una sorta di parco giochi per adulti, all’interno del quale gli spazi comuni sono stati trasformati in 16 diverse location a tema: dal galeone dei pirati alla fortezza medievale, passando per le aree relax a forma di giganteschi pasticcini, fino a spaccati di case di campagna con tanto di laghetti e ruscelli. Il gioco sembra funzionare, visto che la società sforna dalle 2 mila alle 2.400 nuove invenzioni ogni anno. Brevetti che finiscono nei prodotti venduti in circa 990 tra negozi e catene della grande distribuzione. Le immagini parlano chiaro: a costo di sembrare un ambiente un po’ posticcio e a tratti kitsch, Inventionland è l’Isola-chenon- c’è dei lavoratori. La cucina è polifunzionale, e nel forno ci si può cuocere il pane. Come se non bastasse, affaccia su un patio da cui si vedono le cascate che gorgogliano a fianco della “Creation cavern”, la caverna della creazione. Se si alza lo sguardo qua e là per la struttura si vede un sottile nastro trasportatore a cui sono appesi oggetti dalle forme più svariate: sono i prodotti nuovi che vengo no letteralmente sfornati dal “Workshop”. Ma i clienti e i visitatori possono toccare con mano le invenzioni di Davison anche mentre si aggirano per l’azienda, raccogliendoli come fossero frutti che pendono in ordine sparso dagli angoli degli spazi adibiti al pensiero creativo. Stime ufficiali non ce ne sono, ma siamo abbastanza sicuri che per creare questa specie di Fabbrica di cioccolato di Willy Wonka, George Davison abbia investito un po’ più del canonico 2% delle spese di bilancio che mediamente gli imprenditori italiani dedicano alla riorganizzazione degli uffici.

NON FIDATEVI DELL’ARCHITETTO

«Quello di cui spesso non si rendono conto i nostri capitani d’impresa è che basterebbe portare anche solo dal 2 al 3% quell’investimento per ottenere miglioramenti sensibili nella vita e nel bilancio dell’azienda», spiega Alberto Albertini, che oltre a essere coordinatore di Ufficio Fabbrica creativa è pure amministratore delegato di Methis, società che realizza soluzioni per l’arredo d’ufficio e che si è specializzata nelle pareti verdi verticali, come quella che accoglie i visitatori nella nuova sede della Diesel di Renzo Rosso. Per Albertini a frenare gli imprenditori italiani in questo senso c’è prima di tutto una questione culturale. «L’ambiente lavorativo non viene ancora percepito come uno dei fattori principali che favoriscono la produttività dei collaboratori. Il paradosso è che quando si tratta di sostituire l’attrezzatura, come per esempio computer, server e altre macchine, il problema della spesa non si pone neppure. Quando invece sono i mobili che devono essere sostituiti, ecco che anche un lieve incremento viene visto come un semplice costo, e non come un investimento». Albertini parla con cognizione di causa. È la già citata ricerca condotta da Diomedea ad aver evidenziato questi aspetti. Secondo l’indagine, che ha analizzato l’andamento di 100 Pmi italiane nel quinquennio compreso tra il 2004 e il 2008, un approccio illuminato nei confronti della progettazione di un nuovo ufficio è direttamente collegata al vantaggio competitivo che l’azienda ha rispetto alle concorrenti, sia in termini di valore aggiunto, che di Ebitda. «Ci abbiamo tenuto a coinvolgere società tricolori di medie e piccole dimensioni perché molti degli esempi virtuosi che finiscono sui giornali sono grandi multinazionali anglosassoni. Ma è errato citare sempre quei casi, perché così passa l’idea che per fare quel genere di investimenti occorrano molte risorse e necessariamente una mentalità manageriale d’Oltreoceano», puntualizza Enrico Cietta, coordinatore scientifico di Ufficio Fabbrica creativa e partner Diomedea. Ma la ricerca ha anche messo in risalto un dato inaspettato: quando c’è da ripensare gli spazi lavorativi meglio non fare troppo affidamento sugli architetti. Sembrerebbe infatti che in Italia solo il 20% dei designer d’interni abbia le giuste competenze per affrontare il discorso ufficio. Molto meglio puntare su chi davvero è – o dovrebbe essere − al corrente delle esigenze della comunità aziendale: il responsabile Hr. Chi meglio di lui conosce i flussi di dati e documenti, la prossemica delle persone, gli scambi tra i collaboratori? «Nella filiera della realizzazione di un nuovo spazio lavorativo ci sono molte figure che si sovrappongono», conferma Albertini, «ma abbiamo notato che al di là della figura del titolare, che svolge necessariamente una funzione di regia, ancora più fondamentale è il ruolo del direttore del personale. L’architetto ha il compito di sintetizzare e tradurre in progetto un sistema di esigenze, ma serve prima di tutto chi sia capace di identificarle e comunicarle».

L’UFFICIO CAMALEONTE

Per Enrico Cietta di Diomedea l’arredo ufficio sarà sempre di più un vestito da cambiare a seconda delle occasioni. «Il proliferare degli open space ha messo in evidenza un approccio sbagliato al problema degli spazi lavorativi: all’interno della stessa giornata servono gli spazi di condivisione come quelli di concentrazione. Oggi infatti è premiante un sistema di architettura temporanea, quasi come se l’ufficio fosse un allestimento fieristico, che cambia a seconda delle esigenze. Un vestito che si adatta all’azienda, ma anche a quel che sta facendo l’azienda in quel momento. Nella nostra ricerca abbiamo verificato che nelle società prese in considerazione, dopo la prima progettazione, ne è seguita a breve distanza di tempo una seconda. Un modo per adattare la prima trasformazione alle nuove esigenze dell’impresa. Adattabile e personalizzabile, così sarà lo spazio lavorativo. Lo spazio parla, e il modo in cui è progettato è il modo in cui l’azienda parla ai propri dipendenti».

© Riproduzione riservata