Non troppo tempo fa, nella nostra galassia, era un periodo di profonda crisi. Schemi di gestione obsoleti hanno trovato il loro punto di rottura, sotto il fuoco ribelle dell’innovazione, l’unica risposta valida a una crescita prossima allo zero, che però non riconosce le leggi del vecchio regime. I paladini della tecnologia avanzano e colpiscono all’improvviso, non annunciati, si incuneano e distruggono, approfittando dell’effetto sorpresa su mercati e leader. Mentre un esercito di nuova generazione, i nativi digitali, è pronto a prendere il potere della modernità, le vecchie leve si arroccano a difesa, ma fanno fatica a destreggiarsi, in molti casi disallineate rispetto alle qualità e alle competenze richieste per comprendere e guidare la crescita in questo secolo. E intanto una nuova figura di leader si affaccia all’orizzonte (e ricorda molto da vicino i cavalieri Jedi di Star Wars)…
IL RISVEGLIO DELLA FORZA Il vecchio impero che si reggeva sul potere e sull’autorità era collaudato, ma ha mostrato i suoi limiti. Il nuovo leader attinge a un’energia universale che non è muscolare, ma interna e cosmica, che va controllata e diretta verso il bene. Qual è questa Forza misteriosa? Nicola Gavazzi, Country Manager per l’Italia di Russell Reynolds, società di consulenza aziendale con sedi in tutto il mondo, la identifica nella giusta proporzione di quattro “caratteristiche” e quattro “competenze”. «La prima caratteristica è il background aziendale. Poi viene l’esperienza funzionale, quale ruolo cioè e quale funzione il candidato ha ricoperto. La terza caratteristica è legata alla complessità e alla scala geografica dell’azienda di provenienza. Per ultimo ci sono i successi, che rappresentano un dato misurabile e quantificabile. Tuttavia esistono altre quattro qualità che chiamerei competenze, che dovrebbero caratterizzare tutti i manager. L’orientamento strategico, per esempio, cioè la capacità di un manager di pensare molto in là nel tempo. Poi c’è l’orientamento ai risultati: posso essere un grande visionario ma devo concretizzare la mia visione. L’orientamento ai risultati è fondamentale per guidare le persone, identificare i processi migliori, fare scelte anche diverse e controcorrente. La terza qualità importante è la leadership, la capacità di guidare un team. Qui i candidati possono differire molto, c’è chi guida in modo gerarchico, chi in modo intuitivo. Una frase che mi ha detto un manager di grande successo qualche anno fa è che il vero numero uno non è quello che guida, ma quello che sta dietro e ispira tutta la squadra. L’ultima competenza è quella che viene chiamata collaborazione e influenza, cioè la capacità di collaborare con i colleghi e come si influenza: capacità e credibilità sono le qualità che permettono a un manager di essere efficace. Mentre le qualifiche sono oggettive, le competenze sono valide per tutti i settori».
Usa la Forza… Usa la Forza… Sembra quasi che sia la voce del maestro Yoda a risuonare internamente nei momenti cruciali, delle decisioni difficili, quando sembra di avere le spalle al muro. E la Forza ha una caratteristica, è contagiosa. È di questo parere anche Cristina Calabrese, a.d. di Key2People, società italiana di Executive Search: «Credo che in un manager su 100 sia importante il concetto di reciprocità, la capacità di instillare negli altri la forza, non esibirla né esercitarla, perché la forza può essere molto distruttiva. È importante sapersi adattare e dosare le proprie energie in contesti molto diversi, riuscendo nello stesso tempo a mantenere un’identità con l’azienda. Il principio identitario sta alla base della forza e dell’efficacia che un manager riesce ad esprimere, e non è qualcosa di innato, ma si manifesta in condizioni di condivisione di progetti, di traiettoria. Identità che però non va confusa con la mancanza di flessibilità, anzi. Oggi un manager deve potersi adattare anche ai momenti storici delle aziende, che attraversano fasi espansive, di ristrutturazione, di internazionalizzazione, con modelli di business che possono cambiare. Quindi il concetto di forza, almeno per come generalmente viene interpretato, cioè unito a quello di massima integrità, invulnerabilità non funziona. Un manager si inserisce nel flusso di evoluzione dell’azienda e contribuisce con nuovo business, con una visione innovativa, a indirizzare su nuovi segmenti. La più grande capacità di un manager è cambiare insieme a un’organizzazione che cambia con lui».
LA PERSUASIONE È UN’ARTETutto chiaro, ma non semplice. L’addestramento alla Forza è lungo e faticoso, e oltre ad affidabilità, visione, c’è un aspetto che può fare la differenza, e cioè la capacità di comunicare in modo efficace. Non basta parlare, bisogna saper persuadere, conquistare il consenso: «Ho conosciuto molti manager capaci, pieni di idee e buone intenzioni. Ma se sbagli a parlare non porti a casa il risultato». È la posizione di Paolo Borzacchiello, coach e consulente aziendale, creatore della HCE (Human Connection Engineering), cioè un metodo in grado di decodificare e padroneggiare i meccanismi delle interazioni umane attraverso l’analisi delle cinque intelligenze: comportamentale, ambientale, strategica, linguistica ed emotiva. Una tecnica da padroneggiare attraverso l’allenamento, che può convincere infallibilmente, con frasi apparentemente normali come «questi non sono i droidi che cercate». Alla base, la teoria dei tre cervelli del neuroscienziato americano Paul McLean (il rèttile, preposto alla sopravvivenza, il limbico all’empatia, la corteccia alle decisioni), che regolano i meccanismi di fiducia e assenso nei confronti dell’interlocutore. «Spiego ai manager come relazionarsi con le persone, insegno dei pattern linguistici basati su algoritmi specifici, tali che con poche frasi riesci a convincere tutti e portarli nella direzione che vuoi. Un manager che ha belle idee, un’azienda valida, un prodotto appetibile ma che non riesce a comunicare con i suoi collaboratori è frustrato. Con una gamma precisa di parole, frasi da usare in sequenze è possibile mettere qualsiasi interlocutore nella posizione di ascolto, che si tratti del collaboratore, del membro del board, o dell’avversario in una trattativa. In Johnson&Johnson insegno leadership attraverso il linguaggio a persone che devono fare in modo che le cose funzionino anche in situazioni di stress. In sala operatoria per esempio se non sei leader, se non sai guidare le persone con il linguaggio, le cose si mettono davvero male. Quando una grande azienda vuole inserire qualcuno di nuovo, io spesso lavoro in affiancamento con il selezionatore, e se c’è una cosa che proprio non mi interessa nella valutazione di un manager è la sua carriera. I candidati puntano direttamente ai risultati, ma il tuo curriculum, impostato in questo modo, mi dice cosa hai fatto ma non come e né se potresti essere utile per l’azienda che ti assume».
SBAGLIANDO S’IMPARASe non è l’uomo forte e risoluto il manager del ventunesimo secolo, né il tecnocrate o il collezionista di successi, allora anche l’approccio al fallimento deve cambiare. Il nuovo leader deve saper restare dalla parte del bene, e non lasciarsi sedurre dai suoi lati oscuri, una Forza altrettanto potente ma altamente distruttiva. «L’errore è sostanzialmente un problema culturale», spiega Nicola Gavazzi, «nel mondo anglosassone il fatto che un manager possa fallire è considerato normale. Chi fa sbaglia, l’importante è imparare dagli sbagli. Nella cultura italiana o sudeuropea il fallimento è un’onta, qualcosa di cui vergognarsi. Importante invece è riconoscere l’errore, razionalizzarlo, capire perché è successo, e da lì ripartire. È una competenza di mezzo tra l’umiltà e la voglia di imparare». In particolare questa sembra essere una skill preziosa al giorno d’oggi, proprio per i ritmi accelerati con cui il mercato cambia e che a volte costringe chi guida le aziende a dei veri e propri salti nel buio. Secondo Cristina Calabrese esiste un principio che ispira i nuovi modelli manageriali profondamente legato alla rivoluzione digitale, che si riassume nella formula Go-and-correct. «Il mondo oggi va veloce, bisogna prendere decisioni con grande rapidità, mettendo in conto rischi superiori. Quindi l’errore è sempre in agguato, fa parte del quadro generale e diventa quasi un task manageriale. L’importante è capitalizzare l’errore e andare avanti. Nei processi di selezione una domanda sugli errori è sempre fondamentale, la capacità più profonda di imparare dall’errore è essenziale perché l’errore indebolisce, e questo significa saper distillare un valore da un’esperienza che è in sé dolorosa. La Forza di un manager oggi potrebbe essere proprio questa, la capacità cioè di costruire sui propri errori»
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