Mal di crisi

Ansia, preoccupazione e stress. Sono le conseguenze secondarie della congiuntura economica negativa. Diretta derivazione del fatto che, come afferma il Censis, in questi mesi il 39,8% degli Italiani ha perso parte dei suoi investimenti, mentre il 30%ha subito una diminuzione del proprio reddito

Gli esperti americani li chiamano money disorder. Nella vita di tutti i giorni parliamo di preoccupazione, ansia, più in generale stress, disturbi eterogenei negli effetti ma accomunati da una sola causa: la mancanza di denaro. Un fenomeno non nuovo, dato che nel giugno dello scorso anno, prima che la crisi finanziaria raggiungesse il suo apice, il 75% degli adulti statunitensi dichiarava che i soldi sono la prima fonte di stress (fonte: American Psychological Association). Tuttavia, questo fenomeno ha sicuramente subito un incremento in concomitanza con la crisi finanziaria ed economica. Basti citare la recente indagine Diario di un inverno di crisi 4 realizzata dal Censis, secondo la quale l’uso improprio della finanza creativa ha avuto ripercussioni significative sul comportamento del 47,6% degli Italiani. In particolare il 39,8% ha registrato una riduzione dei propri investimenti, mentre il 30% una diminuzione del proprio reddito. In conseguenza di ciò, il 60% delle persone ha attuato un taglio dei consumi. E le prospettive non sono rosee: il 68,3% degli Italiani ritiene che non sia vero che abbiamo toccato il fondo, ma anzi che il peggio debba ancora venire. Inevitabile, quindi che la preoccupazione per il futuro e per quello dei propri familiari possano causare ansia, paura e panico.

Il disturboAl di là delle vere e proprie “crisi d’identità” causate dal fatto di essere espulsi dal mondo del lavoro e di non trovare una propria collocazione nella società, la perdita del posto, la cassa integrazione e la riduzione forzata dello stipendio sono tutti fattori che generano ansia perché non consentono di far fronte ai debiti, di saldare la rata del muto, di comprare quanto desiderato e soddisfare i propri desideri. «Il denaro» spiega Gabriella Pravettoni, docente di Psicologia cognitiva presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Milano, professore ordinario di Psicologia cognitiva, coordinatrice del corso di laurea in Scienze cognitive e processi decisionali e direttore del Centro di Ricerca sui Processi Decisionali (IRIDe) dell’Università degli Studi di Milano «rappresenta il medium che in una società basata su modelli capitalistici come la nostra mette in relazione la sfera dei “desideri” individuali con la realtà, o meglio con quella parte della realtà in cui si trova, o ci immaginiamo si possa trovare, il modo di soddisfarli. È un regolatore essenziale della nostra vita sociale. Attraverso l’uso del denaro è possibile arrivare a colmare il vuoto che le circostanze della vita contribuiscono a creare. Un vuoto il cui fondo è costituito da emozioni represse, paure, angosce. Un magma attivo il cui scorrere mette in moto meccanismi inconsci, vere e proprie barriere realizzate per difendere il nostro equilibrio mentale, che possono assumere una varietà di forme. Alcune sono più congeniali alla società in cui viviamo, altre meno. Alcune sono più solide, altre meno. Insomma, in una prospettiva consumistica, i soldi posso assumere un valore simbolico molto forte, costituendo il veicolo privilegiato attraverso il quale soddisfare i nostri desideri. E in questo modo tacitare paure e angosce profonde che poi derivano dalla mancata soddisfazione dei nostri bisogni viscerali, radicati nella natura stessa della nostra esistenza». A un rapporto già di per sé conflittuale con il denaro, si vanno poi ad aggiungere tutte le problematiche psicologiche connesse alla crisi, che determinano un cambiamento del proprio modo di rapportarsi nella società. «L’insorgenza di una nuova congiuntura socio-economica rappresenta un fattore di stress di notevole portata. Soprattutto a causa della cassa di risonanza costituita dai media, che hanno contribuito a diffonderne in modo ancora più repentino gli effetti. Tuttavia anche questo aspetto ha un rovescio della medaglia. Se da una parte la diffusione mass-mediatica della crisi contribuisce ad amplificarne gli effetti iniziali, dall’altra permette all’individuo di familiarizzare con i termini, gli aspetti micro e macro e le ripercussioni a breve e a medio termine. In questo modo, l’individuo impara a padroneggiare, almeno a livello concettuale, la crisi e ciò comporta un abbassamento della reattività emotiva, che come è noto è più intensa, e potenzialmente disfunzionale, rispetto a stimoli ignoti o ambigui, piuttosto che a quelli noti e già elaborati».

I fattori positiviLa crisi è spesso indicata da imprenditori e manager come un fattore positivo in quanto permette di valorizzare le imprese che offrono un reale valore aggiunto e che si differenziano dalla massa dei competitor. Insomma le aziende migliori ne escono più forti. Ma è possibile individuare aspetti positivi anche dal punto di vista psicologico? «Di certo “la crisi” rappresenta tanto una minaccia quanto un’opportunità. Per chi ne è colpito direttamente» spiega Gabriella Pravettoni «il primo aspetto prevale sul secondo, soprattutto in caso di età avanzata, salario unico, scarsa specializzazione professionale, zona geografica svantaggiata e così via. In queste situazioni, il sistema-società dovrà farsi carico della situazione e attivare iniziative adeguate. Per gli altri, la crisi, dopo aver perso il proprio potere ansiogeno, cioè dopo il primo impatto, può costituire un’occasione per rivedere il proprio stile di vita, il rapporto fra società-individuo e soprattutto per iniziare a pensare in modo diverso il proprio futuro. Infatti, per la maggior parte degli individui, almeno per la maggior parte della loro vita, il futuro è dato per scontato, non viene affrontato in modo programmatico, valutando adeguatamente le azioni e le scelte fatte al presente in relazione alle loro conseguenze, anche a lungo termine, nel futuro. Esempi classici sono quelli relativi alla gestione della salute e del benessere o, in campo economico, in relazione alle scelte di investimento o alla stipula di una copertura assicurativa facoltativa. La crisi ci ha messo di fronte a una realtà: il futuro è incerto. Il sistema socio-economico che abbiamo costruito ha rischiato di crollare e forse crollerà nel futuro». Che la finanza creativa abbia tolto certezze agli Italiani lo testimonia la già citata indagine di Censis nella quale gli Italiani che dichiarano di non sapere cosa fare per reagire alla congiuntura negativa è raddoppiata da gennaio a oggi, attestandosi sul 16%. Questo nonostante si intravedano già dei segnali positivi e che fanno ben sperare per un miglioramento della situazione nei prossimi mesi. «La crisi rappresenta un punto di rottura, un avvertimento, una breccia attraverso la quale guardare possibili nuovi, differenti, scenari. Forse il vero guaio, per come stanno andando le cose, è rappresentato dal fatto che questa breccia si stia chiudendo troppo in fretta, e che ancora troppo poco abbiamo imparato. E ciò è tanto più vero quanto più le scelte strategiche, politiche e finanziarie, mirano a chiudere questa breccia prima di aver scelto concretamente quale scenario abbracciare, quale via alternativa seguire. Dal punto di vista individuale, il singolo può iniziare a prendere un nuovo percorso di pensiero, dare il via a un nuovo progetto di vita, all’interno del quale abbandonare qualcosa del passato e iniziare a cercare nuove risorse per il futuro. In questo caso, la crisi può costituire una spinta verso nuove prospettive, rappresentando così una potente fonte di energia positiva da un punto di vista psicologico. Naturalmente ciò rappresenta un inizio, una sfida, i cui esiti potranno essere positivi oppure negativi».

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