Lo stipendio non sarà più segreto: l’Ue vara la trasparenza salariale

Con la direttiva Ue 2023/970, che dovrà essere recepita dall’Italia entro giugno 2026, ai lavoratori non potrà essere impedito di rendere nota la propria retribuzione

trasparenza salariale stipendiFeodora Chiosea/iStockPhoto

Lo stipendio non potrà più essere tenuto segreto. È quanto prevede una nuova direttiva europea, entrata in vigore da poche settimane e che dovrà essere recepita dall’Italia, così come dagli altri stati membri dell’Ue, entro giugno 2026. Obiettivo: promuovere la trasparenza salariale per contrastare la disparità di retribuzione tra uomini e donnegender pay gap – purtroppo ancora diffusa in Europa. Basti pensare che in media le donne europee guadagnano il 13% in meno rispetto agli uomini. Tra le misure introdotte dalla direttiva Ue 2023/970 è previsto il divieto del segreto salariale: in pratica, come riportato in un approfondimento del Corriere della Sera, i lavoratori potranno conoscere gli stipendi dei colleghi che svolgono le loro stesse mansioni.

Cosa prevede la direttiva Ue sulla trasparenza salariale

La direttiva Ue, che si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato, stabilisce che i lavoratori o i loro rappresentanti abbiano il diritto di ricevere informazioni sui livelli retributivi individuali e medi, “ripartiti per sesso, della categoria di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore rispetto a quello svolto da loro”.

In base alle nuove regole, ai lavoratori non può essere impedito di rendere nota la propria retribuzione ai fini dell’attuazione del principio della parità di retribuzione. Esclusa di conseguenza anche la possibilità di introdurre anche clausole contrattuali, che impediscano di divulgare informazioni sulla retribuzione dei lavoratori.

La direttiva prevede anche che, in caso un lavoratore o una lavoratrice riscontri una discriminazione retributiva basata sul genere possa ottenere un risarcimento che comprenda “il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora”.

Inoltre, in caso di contenzioso, spetterà al datore di lavoro dimostrare, “nei procedimenti amministrativi o giudiziari riguardanti una presunta discriminazione retributiva diretta o indiretta”, che non vi è stata una discriminazione.

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