Ceo donna e Cda a prevalenza maschile: la ricetta anti-default

Un’indagine di Cerved Rating Agency evidenzia come il bilanciamento di genere favorisca il business delle imprese italiane. In Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte le imprese più virtuose

Cda-Ceo-donna© Shutterstock

Le imprese più virtuose dal punto di vista finanziario – meno rischiose sotto il profilo creditizio, con indicatori di sostenibilità maggiormente positivi e un tasso inferiore di infortuni sul lavoro e di contratti a termine – sono quelle che risultano più bilanciate sotto il profilo del gender gap, soprattutto ai livelli apicali. In particolare, le aziende con un Ceo donna e un CdA a prevalenza maschile presentano un rischio di default inferiore al 3% (2,97%), mentre la percentuale è più che raddoppiata nelle imprese senza gender mix: 6,79% nelle aziende a totale guida maschile e 7,29% in quelle, al contrario, a totale guida femminile. Situazione intermedia (4,43%) laddove il Cda ha un’ampia rappresentanza di donne e il Ceo (o amministratore unico) è uomo. E questo vale indipendentemente dalle dimensioni aziendali e dal livello di fatturato.

I risultati emergono da un’indagine di Cerved Rating Agency, agenzia di rating italiana specializzata nella valutazione del merito di credito di imprese e nella misurazione delle performance Esg, che ha analizzato le oltre 14 mila società di capitali per le quali ha emesso un rating creditizio. In questo campione significativo del tessuto imprenditoriale italiano, si è poi condotta un’ulteriore analisi sul sotto-campione di 9.500 imprese che presentano un amministratore delegato, prendendo in considerazione le diverse combinazioni, per bilanciamento di genere, tra Ceo e Cda. “Il bilanciamento di genere nelle figure apicali aziendali, dunque, rappresenta un’importante leva di vantaggio competitivo che è nell’interesse del Paese promuovere e valorizzare”, commenta Fabrizio Negri, amministratore delegato di Cerved Rating Agency.

Le imprese con Ceo donna in relazione alle diverse combinazioni di Cda

Le 9.500 imprese del campione sono state raggruppate in due differenti gruppi, uno con bilanciamento di genere (1.425 aziende) e uno senza (8.075): nel primo cluster, che fattura complessivamente quasi 1.200 miliardi di euro e impiega oltre 780 mila persone, si riscontrano margini di redditività superiori (Ebitda margin pari a 8,72% contro 8,22%) e livelli di indebitamento mediani, denotati dal rapporto tra la posizione finanziaria netta e il patrimonio netto, più contenuti (0,33 contro 0,36).

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Dove il Ceo è donna e il Cda a prevalenza maschile, il rischio di default è inferiore al 3%

I dati regionali dello studio di Cerved Rating Agency

Quanto alla distribuzione geografica, le imprese con bilanciamento di genere si trovano maggiormente al Nord (1.059, pari al 17,78%) e al Centro (227, 14,09%), mentre in proporzione sono molto poche al Sud (139, 7,19%), ma in tutti i casi presentano livelli di rischiosità di almeno 2 punti percentuali (al Centro addirittura di quasi 3,5) inferiori alle aziende più polarizzate sui generi.

Scendendo nel dettaglio delle singole Regioni, quelle con una più alta percentuale di imprese gender-balanced sono la Valle d’Aosta (23,33%), il Friuli-Venezia Giulia (21,66%), il Piemonte (20,62%), la Liguria (18,98%), la Lombardia (17,36%), l’Emilia-Romagna (17,23%), la Toscana (16,55%) e il Veneto (15,64%).

Al contrario, la maglia nera va purtroppo al Sud: in Calabria, appena il 5,08% presenta un bilanciamento di genere ai vertici (nonostante il livello di rischio per queste aziende sia praticamente la metà, da 8,62% a 4,24%), in Sicilia il 5,74%, in Basilicata il 6,12%, in Puglia il 6,40%, in Molise il 6,45% (anche qui, il rischio di default scende dall’8,28% al 2,51%) e in Campania il 7,14%.

Gli stessi meccanismi si ritrovano anche nelle imprese quotate, dove le probabilità di default salgono fin quasi al 5% nelle società senza gender-balance, contro il 2% delle altre.

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