Quante ore lavorano i manager ogni settimana? Difficile dirlo: trenta, quaranta, di più? La verità è che si comincia appena alzati controllando la posta e si finisce con l’ultimo sms la sera prima di andare a dormire. Weekend compresi. Il bello di tutto questo? Semplice: se è possibile lavorare sempre e ovunque, allora non è più necessario “timbrare il cartellino” in ufficio. Insomma, il lavoro si è diluito e sono sempre di più i professionisti pagati non per le ore che spendono alla scrivania, ma per i risultati che raggiungono a fine mese, a prescindere che ci riescano dal desk, da casa o in giro. Si chiama “smart work” ed è un modello americano arrivato in Italia con le big corporation: i dipendenti, pur restando nell’ambito del lavoro subordinato, si comportano come liberi professionisti e organizzano in autonomia il loro orario a seconda del carico di lavoro e dei target da raggiungere. Risultato: si lavora di più, ma in maniera diversa. Il rischio però è quello di non riuscire mai a staccare la spina. E allora addio work-life balance: i nuovi manager saranno forse più smart e agili oggi di vent’anni fa, ma a che prezzo? Il primo sintomo che qualcosa non va è quando si va in panico perché al ristorante il cellulare non prende. Nei casi più seri si parla di stress.
LE COSE CHE CONTANO DAVVERO SONO LA CASA, LA SICUREZZA E IL FUTURO DEI NOSTRI FIGLI.PER OTTENERLE NON È NECESSARIOLAVORARE TANTO COME OGGI
«L’attivismo esagerato di chi deve continuamente darsi da fare spinto dall’imperativo di produrre», dice la psicologa e psicoterapeuta Anna Cavaliere, «è a tutti gli effetti una psicopatologia lavorativa spesso accompagnata da un’altra tendenza poco sana: considerarsi indispensabile. Persone di questo tipo non hanno mai tempo sufficiente, si fermano a lungo in ufficio, hanno difficoltà a prendersi le ferie. Sono giudicate dalle aziende risorse preziose, ma solo apparentemente, poiché in realtà producono danni collaterali da non trascurare: stress assicurato per chi gli sta intorno e maggior facilità di cadere in depressione». Il punto è che le nuove tecnologie stanno davvero cambiando il modo in cui viviamo e lavoriamo senza che vi sia un corrispondente cambiamento nelle leggi e nella cultura di molte aziende. «Il lavoro agile si scontra con la mancanza di controllo sociale che molti imprenditori (in particolare quelli delle piccole imprese) vogliono ancora avere», è il parere del presidente dell’Associazione direttori del personale Paolo Citterio, «abituati a valutare le persone in termini di presenza e non di obiettivi, ma anche col sindacato, preoccupato per la minor adesione sindacale delle persone coinvolte nel telelavoro».
– Cosa fanno le aziende– Stacanovismo sì o no
Di fatto, però, il lavoro da casa è già una realtà per molti manager, solo che non è regolamentato. Insomma, nessuno ci obbliga a controllare l’account aziendale dopo cena, eppure lo facciamo. E soprattutto riteniamo che sia indispensabile. Succede più spesso di quanto si possa immaginare: secondo un’indagine commissionata da Neverfail (software per la protezione dei dati) all’istituto di ricerca Osterman, neanche il tempo di oltrepassare i tornelli in uscita che l’83% dei manager controlla la posta aziendale. Ma attenzione: quello che potrebbe sembrare dedizione assoluta al lavoro potrebbe trasformarsi in un boomerang per la salute del dipendente e, di conseguenza, per il benessere dell’intera azienda. La prima a correre ai ripari è stata, in Germania, Deutsche Telekom, vietando ai suoi top manager di “disturbare” colleghi e sottoposti con email o messaggini dopo le 17. L’esempio è stato poi seguito da altre big corporation: niente sms lavorativi nel tempo libero per i manager di Bayer ed E.On e diritto garantito all’irreperibilità nel fine settimana per i dipendenti di Bmw e Volkswagen. E in Francia i sindacati hanno sottoscritto un accordo con la direzione di Google, Facebook, Deloitte e PwC in base al quale dopo le 18 e nei weekend i telefoni aziendali possono essere spenti. Senza che il capo si arrabbi.
IL LAVORO PART-TIME È UTILE:FA BENE ALL’IMPIEGATO, MA ANCHEALLA SOCIETÀ. DOVE LAVORA UNOPOSSONO FARLO IN DUEA TEMPO PARZIALE
L’impressione è che siamo davvero a un bivio. Tornare indietro alle otto ore alla scrivania sembra anacronistico, ma finché lo smart work non verrà riconosciuto e regolamentato, lavorare da casa rimarrà solo una consuetudine ormai diffusa e una scelta volontaria. Ma non sempre la migliore. Lo stacanovista 3.0, infatti, corre i rischi di sempre. «Le ripercussioni dello stacanovismo sulla qualità della vita», conferma lo psicologo e mediatore famigliare Paolo Scotti, «sono abbastanza evidenti: mariti proiettati all’esterno che trascurano le mogli o la casa e padri assenti, fisicamente e mentalmente. Uno stress che non può essere tollerato a lungo senza ripercussioni: perdita di concentrazione e lucidità, dimenticanze e insofferenze crescono sempre più fino ad alterare la qualità lavorativa in modo significativo». E non è colpa (solo) della tecnologia. «Demonizzarla perché ci impedisce di staccare la spina», sottolinea lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni Stefano Verza, «è una posizione inutile e obsoleta: le nuove generazioni sono cresciute per buona parte della loro vita al fianco della tecnologia, per non parlare dei nativi digitali, pertanto essa è il fulcro, mentre la vita e il lavoro discendono da essa. Ovviamente occorre rivedere le pratiche manageriali tradizionali e dare spazio al telelavoro ai tablet e ai social network». Insomma, dove il lavoro non si misura solo in ore, i risultati migliorano, ma l’eccesso non paga e il manager che lavora 12 ore al giorno fa più danni che altro. Come sempre, la virtù sta nel mezzo. In ogni caso, non è la quantità che fa la differenza, ma la qualità del lavoro.
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