Lavorare 30 ore settimanali a stipendio ridotto: “Così 750 mila occupati in più”

La proposta di legge presentata a inizio gennaio torna d’attualità durante l’emergenza Covid-19. Il parlamentare Pd Stefano Lepri, tra i firmatari: “Fette più piccole della torta che abbiamo per non lasciare persone fuori dal mercato o farle vivere di reddito di cittadinanza

Una proposta di legge presentata prima dell’emergenza coronavirus, non ancora dibattuta, ma che torna in auge in un momento in cui l’Italia si interroga sulla convivenza con il virus Covid-19. Di cosa si tratta? Di una redistribuzione del lavoro nel nostro Paese dal costo di 2,8 miliardi di euro a regime, che potrebbe portare 750 mila di occupati in più in Italia, ma anche una riduzione dei salari.

Presentata lo scorso gennaio da alcuni deputati Pd, la proposta di legge numero 2327 introduce innanzitutto un taglio di quattro punti del cuneo fiscale per i nuovi contratti a tempo indeterminato fino a 30 ore con l’obiettivo di rendere più bassi i contributi da pagare per il datore di lavoro e un po’ più alta la busta paga del lavoratore. Viene incentivato anche il part time volontario: per chi passa a un contratto tra le 20 e 30 ore settimanali, si applica la stessa riduzione dei tempi indeterminati a 30 ore. Nella proposta di legge si prevede anche di tassare del 50% in più le ore di straordinario oltre una certa soglia.

Si torna a parlare di proposta di legge – che non è ancora entrata nemmeno in Commissione parlamentare – nei giorni in cui la task force guidata da Vittorio Colao prende in esame l’ipotesi di ridurre l’orario di lavoro, mantenendo la parità di stipendio, ipotesi che andrebbe incontro alle necessità evitare assembramenti in azienda nella fase 2 ma non piace ai datori di lavoro, che temono pesanti ripercussioni negative sulla produttività.

“Si parla molto di riduzione di orario di lavoro a parità di salario”, ha affermato su la Repubblica Stefano Lepri, tra i firmatari della proposta di legge 2327. “Ma l’ipotesi non funziona, si perde competitività. Anche la Francia che aveva introdotto le 35 ore poi è tornata indietro. In attesa che il Pil riparta, non ci resta che fare fette più piccole della torta che abbiamo, anziché lasciare le persone fuori dal mercato del lavoro a vivere di espedienti o di reddito di cittadinanza”.

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