La legge antistress

Il primo agosto entra in vigore la norma che vuole combattere il disagio in ufficio. Per chi non si adegua multe e (addirittura!) l’arresto. Cosa dice il disegno di legge, come ci si mette in regola e le esperienze delle aziende

Alzi la mano chi non si sente mai stressato. Poche mani… d’altra parte lo stress è il disturbo più comune nell’Unione europea, secondo solo al mal di schiena: 40 milioni di persone ne soffrono nell’Eurozona. Adesso cambia tutto. Dal primo di agosto, infatti, scatta l’obbligo per le aziende di valutare il rischio di stress da lavoro e prendere le misure adeguate a contrastarlo. Pena un’ammenda da 5 mila a 15 mila euro e l’arresto da quattro a otto mesi per il datore di lavoro inadempiente. Lo Stato, lungi dal dare il buon esempio, ha esonerato le pubbliche amministrazioni fino al 31 dicembre 2010 per decreto. Detta così sembra solo una grana in più, ma potrebbe essere un’occasione per guadagnare in competitività e lavorare meglio. Ogni dipendente stressato costa infatti all’azienda circa 500 euro l’anno (secondo l’Istituto per la sicurezza e la salute sul lavoro statunitense) e limitare i fattori di stress può andare a vantaggio sia dei lavoratori che dell’impresa. Vediamo a quali condizioni.

In cerca di una guidaLa situazione è delicata perché, fissata la scadenza dell’entrata in vigore della legge antistress, mancano ancora le linee guida per rendere effettiva la legge. Se ne discute al tavolo presso la Commissione consultiva per la salute e la sicurezza sul lavoro dove si scontrano le visioni delle parti sociali, del governo, degli istituti scientifici. Le posizioni sono le più varie: da chi ritiene sufficiente un questionario a chi vorrebbe complesse procedure di valutazione; da chi vorrebbe solo consultare i sindacati a chi ritiene utile un loro pieno coinvolgimento. «Le metodologie possibili sono anche troppe e le aziende rischiano di trovarsi spiazzate di fronte a una tematica così complessa: hanno bisogno di indicazioni chiare il più presto possibile» afferma Lorenzo Fantini, il dirigente del ministero del Welfare alla guida della Commissione, che continua «vogliamo aiutare le imprese e tracciare il percorso da seguire lasciando però spazio per modificare la procedura in relazione alla dimensione dell’azienda, al settore di riferimento, alla complessità dei rischi e a tutte le variabili del caso». Nel frattempo, secondo Sebastiano Calleri della Cgil – Coordinamento nazionale salute e sicurezza «l’assenza di indicazioni è all’origine della diffusione nelle aziende dei questionari più incredibili con lesioni dei diritti della privacy dei lavoratori, uso strumentale dei dati rilevati e ritorsioni. Ditte o professionisti esterni si sono improvvisati valutatori, facendo più danni che altro».In attesa delle linee guida, ci si deve affidare a ciò che dice la legge. Guardando alla normativa e all’accordo europeo del 2004 la novità principale è il concetto di salute inteso come “completo benessere fisico, mentale e sociale”, e non solo assenza di malattia e infermità. In questo contesto assume un’importanza fondamentale la valutazione dei rischi psicosociali sul lavoro, che serve anche a comprendere e contrastare i fattori di stress.Bisogna poi distinguere lo stress come disturbo che compromette il benessere di una persona da stimoli e pressioni che possono avere anche un effetto positivo. Per parlare di stress è necessario che ci sia una richiesta lavorativa che superi la possibilità di gestirla, una situazione che – se protratta nel tempo – può portare a malattie cardiache, disturbi muscolari o immunitari, ansia e depressione. «Non stiamo dicendo che siccome il lavoro stanca, allora il lavoratore è stressato, ma che la stessa organizzazione del lavoro è la causa dello stress. Non è solo una questione psicologica, ma dipende da come si lavora, che turni si fanno, con quali carichi di lavoro e quali pressioni» spiega Calleri.

Da dove cominciareLe cause principali dello stress da lavoro sono, secondo una ricerca dell’American psychological association: l’insicurezza del posto – per il 45% dei lavoratori -, il carico lavorativo elevato – per il 61% – e la remunerazione insufficiente – per il 73%. Di conseguenza sarebbero questi i primi ambiti di intervento per le misure antistress. Se la crisi e la concorrenza limitano il margine di azione in questi campi, molto può essere fatto sul fronte della cultura aziendale a costo zero, o quasi. Secondo Ettore Rispoli dell’Aidp (l’associazione dei direttori del personale): «Il senso di inadeguatezza è il detonatore principale dello stress e al contempo l’ostacolo al cambiamento. In un contesto organizzativo dinamico e poco prevedibile potremmo allora prevenire lo stress condividendo meglio le informazioni e supportando l’acquisizione di nuove competenze. Questo significa rinnovare profondamente i processi di comunicazione e di apprendimento». Hanno dato prova di efficacia antistress, inoltre, la rotazione della mansioni, il lavoro in gruppo, un rapporto improntato alla fiducia con il management e il dialogo con i rappresentanti dei lavoratori.

Lo stressometro che serveIl tempismo della normativa – a prima vista pessimo date le difficoltà dei mercati – potrebbe invece rivelarsi appropriato proprio perché stanno aumentando i fattori di stress, come spiega il direttore dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eashw) Jukka Takala: «I processi di downsizing e outsourcing, la maggiore richiesta di flessibilità sia in termini di funzioni che di competenze, l’aumento dei contratti a tempo determinato, la crescita dell’insicurezza, del carico di lavoro e della pressione e un equilibrio debole tra casa e lavoro sono tutti elementi che contribuiscono allo stress. Ormai il 50-60% di tutte le giornate di lavoro perse dipende dallo stress». Le ultime stime parlano di costi – in termini di mancato lavoro e cure sanitarie – di 20 miliardi di euro annui nell’Ue, pari al 3-4% del Pil. Così può avere effetti positivi sulla produttività contrastare in maniera efficace lo stress da lavoro, riducendo assenteismo e turnover e migliorando le performance. È stato stimato dal Niosh, l’Istituto per la sicurezza e la salute sul lavoro statunitense, che ogni dipendente “stressato” costa all’organizzazione 600 dollari (poco meno di 500 euro) e in Italia sono in questa condizione un lavoratore su quattro, il 27%, ben sopra la media europea (20%).Tony Schwartz, superconsulente americano con clienti come Google, Ford e Sony, è convinto che proprio lo stress da lavoro e la corsa sfrenata verso l’aumento della produttività siano costati a Toyota gli 8,5 milioni di vetture richiamate per difetti di fabbricazione. «Una reputazione che ha richiesto anni per essere costruita è crollata in pochi giorni» spiega Schwartz, autore tra l’altro del libro The way we’re working isn’t working (Il modo in cui lavoriamo non funziona). L’enorme pressione dovuta alla crisi e il mito della produttività, secondo la sua analisi, stanno portando lo stress a livelli ingestibili e pericolosi, ed è arrivato il momento di prendere in mano la situazione.

NERVOSI?

20 mila milioni di euro il costo annuo nell’Ue dello stress lavoro correlato (slc)

il 20% dei cittadini dell’eurozona soffrono di slc

il 50-60% delle giornate di lavoro perse è dovuto allo slc

il 27% degli italiani soffrono di stress, contro il 16% dei tedeschi, il 12% degli inglesi e il 10% dei francesi

Fonte: agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro

COSA DICE LA LEGGE

L’1 agosto scade il termine entro il quale le aziende sono tenute a effettuare la valutazione dello “stress lavoro correlato” e la redazione di un Documento di valutazione rischi (secondo l’accordo europeo del 2004, il d.lgs 81/2008 e il d.lgs 106/2009). Questa relazione deve contenere l’analisi di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa e spiegare i criteri di valutazione impiegati, le misure di prevenzione e di protezione adottati e quelle da adottare nel tempo, le procedure per l’attuazione di queste misure e i ruoli che vi devono provvedere con i nomi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e del medico competente.

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