I giovani talenti devono essere critici, anzi proprio dei rompicoglioni. Solo così l’azienda potrà prosperare, grazie alla creatività e al contrasto delle opinioni. Altrimenti ci si siede e si rischia di diventare presto obsoleti. Sono questi i risultati dell’Hr Trends and Salary Report 2017, realizzato da Randstad Professionals (società attiva nella ricerca e selezione di middle, senior e top management) e Asag (Alta scuola di psicologia Agostino Gemelli) dell’Università Cattolica di Milano, anticipato da L’Economia.
I GIOVANI TALENTI DEVONO ESSERE CRITICI
Gli yes man, o «stupidi funzionali», non servono a nulla, secondo il 43% delle direzioni del personale. Perché aderire alla linea aziendale senza aggiungere nulla di personale è mortificante e soprattutto è un’ipoteca sul mancato raggiungimento degli obiettivi dell’impresa. Anche se il 36% dei responsabili Hr valutano questo atteggiamento in modo positivo. Dove invece c’è unanimità o quasi è nel giudizio sul conflitto creativo: il 64% lo considera uno strumento di lavoro efficace mentre solo il 12% ritiene che sia negativo per i risultati aziendali. Tanto che oltre due terzi dei responsabili del personale provano a stimolare il confronto interno.
Il mondo dei dirigenti Hr si divide in tre categorie: i primi sono i conservatori (il 45% del campione), che hanno atteggiamenti difensivi che portano a evitare il conflitto creativo. Poi ci sono gli esploratori (il 31%), cioè quelli che considerano il conflitto creativo necessario. Infine, arrivano i costruttori (il 24%): vedono molti ostacoli per attuare il cambiamento necessario, ma provano a creare la cultura aziendale idonea per permetterne la gestione da parte dei team leader.
«L’indagine rivela una netta polarizzazione all’interno delle direzioni del personale fra chi ritiene che la stupidità funzionale porti al successo o al fallimento degli obiettivi aziendali», sono le parole di Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia. Caterina Gozzoli, direttrice Asag, aggiunge: «Se da un lato la tendenza è cercare stabilità, a ripercorrere ciò che è già stato un valore, e quindi a cercare omogeneità tra le persone, dall’altro ci si misura con la differenza e il conflitto degli attori coinvolti. Questa oscillazione, che fa parte in maniera fisiologica dei processi di lavoro, in alcuni momenti può portare a fissare l’organizzazione in pratiche di lavoro già note, condivise e rassicuranti ma anche meno aperte al nuovo. Quindi la stupidità diventa funzionale perché è un modo di proteggersi».
«I talenti per essere trattenuti hanno bisogno non solo di un riconoscimento salariale o di benefit, ma anche di un buon clima di lavoro, senso di appartenenza ed una identificazione con l’azienda e di una progettualità condivisa in cui crescere», aggiunge Gozzoli. Tra le principali motivazioni di dimissioni, infatti, ci sono: condizioni economiche migliori, possibilità di più rapidi avanzamenti di carriera altrove (33%) e scelta di cambiare professione (32%). Per contrastare le spinte alla fuga, le aziendepuntano su bonus (62%), piani di formazione e accrescimento delle competenze (58%), mense aziendali o ticket restaurant (57%).
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