Lavoro: un giovane su cinque è insoddisfatto

Mancanza di prospettive e di motivazione sono le principali ragioni dello scontento dilagante tra i lavoratori di età compresa tra i 18 e i 34 anni

Un giovane su cinque (il 21%) dichiara di non essere attualmente soddisfatto del proprio lavoro. Il primo motivo (44%) è dato dalla mancanza di possibilità di crescita professionale e quindi mancanza di prospettive, il 32% pensa di avere un ruolo poco impegnativo, poco motivante, mentre il 25% è scontento perché l’aumento delle responsabilità corrisponde raramente a un aumento in busta paga. Solo il 6% dichiara come la pandemia gli abbia fatto pensare di abbandonare il mondo del lavoro. Un particolare disagio lo subiscono i giovani genitori: il 47% pensa che essere genitore sia ancora un ostacolo alla carriera. Sono solo alcuni dei dati che emegono da People at Work 2022: A Global Workforce View, l’annuale survey redatta dall’ADP Research Institute, traccia quella che è una panoramica del sentiment lavorativo dei giovani italiani tra i 18 e 34 anni. L’indagine si è svolta su circa 33 mila lavoratori in 17 Paesi, di cui circa 2 mila in Italia.

Oggi non è solo lo stipendio a muovere il giovane lavoratore, non basta la promessa di una paga alta. Nell’accezione moderna di lavoro diventano fondamentali concetti come l’engagement, ovvero il lavoratore deve sentirsi partecipe di un progetto che abbia reali conseguenze sul mondo, la passione, la brand identity dell’azienda a cui si appartiene: si lavora per una motivazione ben precisa, cercando davvero di fare la differenza nella società. Il 41% ha infatti dichiarato che una delle cose più importanti nel lavoro è godere ed essere felici di quello che si fa. Il 56% ha poi dichiarato di non essere disposto a rinunciare alla flessibilità di orari e luoghi, pena lasciare il lavoro attuale per un altro più flessibile.

Il 18% dei lavoratori della fascia 18-34 afferma inoltre di sentirsi giornalmente sotto pressione. Si sente stressato più volte a settimana il 34% degli intervistati, mentre l’11% solo due o tre volte al mese. Causa principale di questa pressione, per un lavoratore su quattro, è l’aumento delle responsabilità subentrato con la pandemia (ma appunto non seguito da un aumento di stipendio o da un salto di carriera), le spesso infinite ore di lavoro giornaliero (22%) ma anche la paura di perdere il lavoro: il 21% non si sente sicuro, è preoccupato. L’insieme di questi fattori crea del disagio psicologico nel lavoratore, disagio che può essere incentivato anche da dinamiche private, come problemi famigliari o economici, tanto che il 65% degli intervistati ha dichiarato di essere conscio di come il proprio lavoro risenta negativamente dei propri problemi psicologici e umore. Il 22% ha inoltre dichiarato come la propria azienda non stia facendo nulla in proposito, non dimostrando interesse nell’incentivare azioni per aiutare i lavoratori psicologicamente più fragili.

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