Fuga dei talenti digitali: fuori dall’Italia gli stipendi sono più alti

In alcuni Paesi queste figure arrivano a guadagnare anche il doppio che nel nostro Paese. Così, il bisogno di figure Ict continua a crescere

La fuga dei talenti digitali all’estero continua: solo nell’ultimo anno gli italiani che hanno lasciato il Belpaese ammontano a 123.193 persone, di cui il 30% laureate. Eppure, solo per il triennio 2018-2020 si stima che il fabbisogno di profili Ict oscilli tra 62 e 98 mila unità. Ma come potrebbe essere diversamente? In Italia, chi lavora in ambito tecnologico viene pagato molto meno che in altri Stati. A dirlo un’indagine dell’Osservatorio Jobpricing, che ha analizzato la retribuzione annua lorda dei profili emergenti a livello internazionale all’inizio della loro carriera in sette Nazioni. Ebbene, è emerso che solo la Spagna, e solo in alcuni casi, offre stipendi inferiori ai nostri. Facciamo qualche esempio, attribuendo il valore 1 alla busta paga italiana. Per i data specialist, il salario vale 2,13 in Svizzera, 1,94 negli Stati Uniti, 1,71 in Germania, 1,41 in Gran Bretagna e 0,92 in Spagna. Il gap è ancora maggiore per il solution architect: la Svizzera vola a quota 2,91, la Germania a 2,14, l gli Stati Uniti a 2,12, la Francia a 2,4, la Gran Bretagna a 1,61 e anche la Spagna ci supera, con 1,11. È vero che in alcune realtà il costo della vita è più elevato che da noi, per cui a un maggior stipendio possono corrispondere spese vive maggiori, tuttavia ciò non toglie che i nostri stipendi siano troppo bassi.

Alla fuga dei talenti digitali si può porre rimedio

Per fortuna nostra, con l’avanzamento di carriera, il peso della retribuzione cala. <La busta paga resta una delle prime richieste da parte dei candidati a queste professioni 'di frontiera'. Ma ha una durata motivazionale inferiore all’anno. Poi subentrano altre priorità, a cominciare da un buon equilibrio tra vita privata e tempo di lavoro> spiega a Repubblica Paola Boromei, executive vice president human resources & organization di Snam. Peccato che l’Italia non sia molto avanti nemmeno da questo punto di vista: le aziende italiane, infatti, si sono mosse in ritardo. Una soluzione per rimediare però c’è: cercare di richiamare talenti che sono fuggiti all’estero offrendo loro una buona proposta di lavoro in Italia e facendo leva sull’elevato standard di vita del nostro Paese. In attesa che le imprese iniziano ad agire in questo senso, il ministro Tria ha fatto i conti: la fuga dei cervelli all’estero ci fa perdere circa 14 miliardi di euro all’anno, poco meno dell’1% del Pil.

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