Come fare carriera

Nel suo libro “Comandare è fottere” Pier Luigi Celli ha descritto il manager moderno come un opportunista, sempre pronto a far carriera anche a scapito degli altri. Ma dove finisce il paradosso e dove inizia la realtà delle imprese italiane?

Pensate che il mondo delle imprese sia come quello che racconta il ragionier Ugo Fantozzi, popolato di carrieristi spietati, viscidi yes-men, capi e capetti umili e servili con i superiori ma duri e inflessibili con i subalterni? Pensate che sia una giungla dove tutto è importante fuorché il merito e l’impegno? La pensate così? Vi sbagliate. È peggio. A dirlo è uno che se ne intende, Pier Luigi Celli, un signore di 66 anni, attualmente direttore generale della Luiss-Guido Carli, l’università romana controllata dalla Confindustria, che nella sua lunga carriera è stato responsabile delle risorse umane di Rai, Omnitel, Olivetti, Eni, Enel, è tornato alla Rai come direttore generale, ed è passato all’Unicredit prima di approdare alla sua attuale poltrona. Con un curriculum simile, si può dire che Celli sappia che cos’è la vita quotidiana nelle imprese e come si costruisce una carriera. E che possa anche dare lezioni in materia. È quello che ha fatto con un libro scritto da poco e pubblicato dalla Mondadori: Comandare è fottere. Sottotitolo: Manuale politicamente scorretto per aspirante carrieristi di successo. È un libretto, un pamphlet di un centinaio di pagine, e sembra quasi un esercizio di cinismo. Celli non risparmia le battute più pungenti, le affermazioni più aspre per raccontare a un giovane appena entrato in un’azienda quello che troverà: una realtà di sopraffazione, dove vince il più forte, il più spietato, chi non rinuncia a ricorrere a mezzi anche sleali pur di affermarsi a scapito degli altri, senza la minima considerazione etica. Certo Celli non è incoraggiante nei confronti dei giovani lettori che hanno appena iniziato la loro vita di lavoro. E per fortuna che alla Luiss ha incarichi gestionali e non didattici altrimenti l’Università dovrebbe fornire Prozac a tutti gli allievi. Però dice in maniera cruda cose che sono, se non sempre del tutto vere, comunque vicine alla verità e che in ogni modo è meglio sapere. Una delle sue affermazioni è comunque sacrosanta: una scorciatoia per far carriera è trovare lavoro in una banca d’affari estera, ideale per chi vuole “insediarsi al vertice maneggiando direttamente (e, spesso, unicamente) la leva finanziaria”. E per avere conferma che i maghi della finanza non ci hanno procurato altro che guai basta leggere ogni mattina i giornali.

Il succo del suo libro è che per fare carriera è necessario essere delle carogne. Non è possibile trovare nessun tipo di equilibrio tra carriera e amor proprio?

Penso di sì, ho prospettato una situazione al limite alla quale molti si ispirano, anche se pochi lo dicono.

Molti quanti?

Molti. Se uno vuole fare carriera spesso cerca di trovare delle scorciatoie. Ho cercato di descrivere la situazione così come l’ho vista, poi una persona è libera di scegliere se rovinarsi la vita seguendo questo metodo oppure no. Nel primo caso avrà parecchio da rimpiangere.

Come si trova un equilibrio tra carriera e vita privata?

Pensando sempre che il lavoro rappresenta solo una parte della nostra vita, anche se una parte importante perché occupa molto tempo.

Fare carriera comporta scelte difficili, come – soprattutto in momenti di crisi come questo – licenziamenti, drastici tagli dei costi ecc. Come si può fare tutto ciò, come si possono licenziare centinaia di persone senza avere rimorsi?

Ci sono delle funzioni strettamente legate alle stra­tegie dell’azienda. Di conseguenza, se una persona ha deciso di lavorare in quell’azienda deve, in qualche modo, condividerle. Talvolta si tratta di strategie di espansione, in altri casi di riduzione. Quindi può ac­cadere che per salvare dieci posti di lavoro sia neces­sario sacrificarne due. Certamente non è facile, non è un mestiere semplice e si dorme anche male, ma se quella è la logica aziendale e il manager l’ha spo­sata, allora deve tagliare il personale che gli piaccia o che non gli piaccia. Altro discorso riguarda quel­li che cercano la gloria avanzando sulle ceneri de­gli altri. Per queste persone fare fuori un concorren­te o un potenziale concorrente accresce le possibili­tà di successo.Nel libro lei scrive: «Il potere non si condivide. Al mas­simo lo si fa annusare, né se ne distende l’ombra, con­sentendo protezione e rifugio ai fedeli che avranno scel­to la vostra causa». Il potere è prerogativa di una sola persona?

Il potere implica l’esercizio del comando e il comando è tipicamente gerarchico per cui prerogativa di una sola persona. Diversamente non si saprebbe chi comanda. Il potere può essere anche condiviso o partecipato se è ele­vata la qualità delle persone che sono al comando. Se un manager è un vero leader fa partecipare i suoi collaborato­ri e questi sono disposti a crescere con lui e condividerne le scelte. Se invece è semplicemente un capo con una lo­gica di comando in cui l’autorità non va di pari passo con l’autorevolezza, un capo più è solo e più si sente sicuro. Esistono manager che sono bravi a comandare ed eser­citano il proprio potere non con giochetti e aiuti politi­ci ma con autorevolezza?

Ce ne sono e ce ne sono stati. Tatò era uno di questi. Così come Guarguaglini, Bombassei, leader che hanno cari­sma oltre che autorevolezza. Sono in grado di comandare e al tempo stesso di allevarsi le persone con le quali lavo­rare. Non sono dei solitari. Lei ha scritto: «Un buon capo, che governa sulle divi­sioni secondo il più antico suggerimento (divide et im­pera), utilizza i moti di gelosia inevitabili dei suoi adep­ti per incentivare le dipendenze singole (in verticale) e alimentare le tensioni organizzative (in orizzontale)». Attuare una strategia di questo tipo comporta un enorme spreco di energie. Non è controproducente nel lun­go periodo?

Alla lunga danneggia l’azienda, ma bisogna vedere quanto quella persona si identifica con questa. Magari pensa che il bene dell’azienda coincida con il proprio. Ci sono casi in cui l’azienda sono io, il Paese sono io. Si ricorda quando si diceva «ciò che è bene per la Fiat, è bene per il Paese»? Poi non è detto che un manager che ha costruito la pro­pria carriera in questo modo non ottenga i risultati. Dipen­de dalle anse che si è creato lungo la strada, dalle protezio­ni che si è costruito nel tempo. Stiamo sempre ragionando per paradossi, tra gli estremi ci sono tante gradazioni.Chi sono oggi i veri potenti in Italia?

Molto spesso sono coloro che non appaiono, ma stanno ai posti di manovra. In que­sti casi il capo è un narciso e dietro di lui c’è una persona che controlla, gestisce e governa. Accade così che abbia più pote­re un portaborse di un onorevo­le. O un politico con una buona base elettorale locale, piuttosto che un ministro. Il potere è oggi di tipo mediatico, è una rappre­sentazione che si trasmette at­traverso i media. Anche nelle aziende molto spesso è così. E chi sono i veri potenti nel mondo?

Sono coloro che controllano l’energia e i capitali. Quanto conta nel far carriera il fattore fortuna?

La fortuna conta parecchio. Il problema è essere pron­ti a coglierla uando si presenta, essere in grado di capi­re quello che i greci chiamavano il Kairos ovvero il tem­po opportuno. Oggi è sempre più facile avere incontri ca­suali. Quando si sceglie di intraprendere una strada non è irrilevante il fatto di averci pensato prima e di aver ca­pito dove può portare. È una questione un po’ di intui­to e un po’ di allenamento. Ma bisogna avere dei buoni maestri, il che è estremamente diffi­cile oggi. Il vero leader si distingue per il fatto che fa crescere le perso­ne, le mette nelle condizioni di pro­vare e sbagliare, senza penalizzarle solo perché hanno sbagliato. Oggi si ha una grande paura di sbagliare, per cui uno tende a proteggersi subito e a farsi proteggere, il che è un errore.Ma perché c’è così tanta paura di sbagliare? Forse perché i risulta­ti devono essere di breve periodo mentre in passato si aveva più tempo a disposizione?

Molto spesso sì. In generale c’è la tendenza a far coincide­re il merito con il successo, ma si può avere successo oggi senza alcun merito. Basta imboccare la cordata giusta.Che consiglio darebbe a uno studente universitario che voglia far carriera?

Ho scritto il libro proprio avendo in mente gli studen­ti della mia università. A loro ho cercato di descrivere il peggio così che siano stimolati a fare il meglio. L’unico consiglio che potrei dare loro è di essere assolutamente se stessi, di non tradire mai l’obiettivo di ogni persona: star bene e non perdere il rispetto per se stessi.

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