E-book la riscossa dei piccoli

In un mercato pietrificato irrompe l’iPad della Apple. E i prezzi aumentano. Per ora i grandi editori italiani stanno a guardare, ma presto si scatenerà il finimondo

Sorpresa! La concorrenza aumenta e i prezzi salgono. Colpa di quel diavolo di Steve Jobs. Ancora nessuno sa dire se il suo iPad sarà un gadget rivoluzionario o un flop epocale. Quel che è certo è che il tablet, nato per fare la guerra ai netbook, ha già scosso un mercato che aveva da poco cominciato a funzionare. Quello dell’e-book. Amazon credeva di essere al sicuro, forte del suo monopolio di fatto nel settore dei libri in formato digitale, e del successo del suo lettore, l’ormai famoso Kindle. Lo scorso Natale c’era stato sul portale on line lo storico sorpasso dei titoli elettronici, che avevano venduto più di quelli cartacei, e tutto sembrava andare per il meglio. Poi Apple ci ha messo lo zampino. Ma del resto, chi mai avrebbe potuto scalfire un’offerta di 9.99 dollari per libro digitale se non uno dei brand di maggior successo del pianeta? Chi si aspettava però un ritocco al ribasso dei listini dopo la discesa in campo di Apple, si sbaglia di grosso. L’arrivo della Mela di Cupertino, che grazie alla forza del proprio marchio può infischiarsene delle politiche di prezzo, ha immediatamente aumentato i prezzi. I primi editori a siglare accordi con Apple per la distribuzione dei propri e-book sull’iPad sono stati Hachette, Lagardere, Harper Collins e Simon & Schuster, per i quali evidentemente la soglia psicologica dei 10 dollari andava abbattuta. Cosa è successo allora? L’americana McMillan, specializzata nei libri scolastici, ha deciso che anche le sue opere valevano più di quanto Amazon aveva stabilito. E subito, per rimanere con la biblioteca (per ora!) più grande di Internet e rinunciare all’alleanza con l’iBook store di Jobs, McMillan ha imposto ad Amazon prezzi tra i 12,99 e i 14,99 dollari per libro digitale. A malincuore, e con sentite scuse nei confronti dei clienti, il gigante dell’e-commerce si è piegato. La rivoluzione, almeno negli Usa, è cominciata.

I grandi tentennano

In Europa si odono solo gli echi di una battaglia che Oltreoceano sembra invece riguardare il mondo dell’editoria a tutto tondo, dalla stampa quotidiana ai libri. Nel vecchio continente Kindle e gli altri lettori di e-book sono tutto sommato oggetti ancora esotici, e per i puritani della pagina da voltare assolutamente inadeguati a sostituire il buon vecchio volume di carta. Eppure qualcosa si muove, persino in Italia. Certo, il mercato tricolore non dispone dei circa 230 mila titoli in formato digitale che gli anglofoni possono acquistare on line: se parliamo di qualche centinaia di e-book probabilmente stiamo già esagerando, e si tratta soprattutto di manualistica. Ma come si stanno muovendo gli editori? Si preparano ad accogliere l’onda lunga del fenomeno che impazza in America oppure attendono che lo sviluppo del mercato giustifichi gli investimenti in questa direzione? Mondadori libri, interpellata al riguardo, riferisce che per il momento risposte precise non ce ne sono. Ma se tace rispetto alle strategie industriali, sul piano finanziario agisce con una mossa significativa: a febbraio il gruppo di Segrate ha annunciato il perfezionamento dell’acquisizione di Mondolibri, società specializzata nella vendita di libri per corrispondenza e via Internet, di cui Mondadori già deteneva il 50% in joint venture con DirectGroup Bertelsmann. Un’operazione da 6,5 milioni di euro. Un ulteriore passo verso nuove forme di distribuzione? Può darsi. Del resto il primo gruppo editoriale italiano era stato nel 2001 l’antesignano del fenomeno nella penisola, con il lancio del portale Ebook.mondadori.com, e ha confermato il proprio interesse per il settore con gli esperimenti condotti l’anno scorso dalla controllata Sperling & Kupfer di concerto con Bruno editore, specialista in manualistica e formazione, che fonda il proprio business model proprio sugli e-book. Anche Feltrinelli, che come Mondadori oltre a realizzarli, i libri li vende, mantiene un atteggiamento di prudenza. «In Italia come più o meno nel resto d’Europa non si è ancora definito come affrontare la vendita degli e-book, la disciplina della cessione dei diritti a terzi e il loro utilizzo. Di fatto il mercato è bloccato, soprattutto sul fronte più importante, quello degli editori», ammette Stefano Sardo, direttore generale di Feltrinelli, che grazie al suo sito di e-commerce, Lafeltrinelli.it, parrebbe a prima vista uno dei distributori più preparati al cambiamento. Basti pensare che sul catalogo on line sono disponibili anche due modelli di e-book reader. Solo che «sul sito al momento non abbiamo libri digitali da scaricare», dice Sardo. «Oggi chi in Italia compra un lettore scarica poi titoli con testo in inglese: si tratta dunque di pochi pionieri. Nel 2009 infatti noi non abbiamo venduto più di 400-500 e-book reader». Troppo poco entusiasmo: gli editori temono che l’e-book possa cannibalizzare il loro business cartaceo? «È normale pensare che, dovesse questa nuova forma di fruizione dei libri funzionare, un impatto sul cartaceo sarà inevitabile». Il lettore forte, merce rara in Italia e al momento unica vera fonte di ricavi per gli editori, dovrà ripartire gli acquisti tra digitale e cartaceo. Quindi per il numero uno di Feltrinelli «anche se in parte, una cannibalizzazione ci sarà».

Il modello di business

Rimane la questione del come si faranno i soldi con Kindle & co. «Per il momento non c’è nulla di sicuro», dice Sardo, «ma è evidente che se l’e-book conoscerà un certo sviluppo, gli daremo la più ampia diffusione possibile, attraverso tutti i canali, on line e sul punto vendita». Non sembra esclusa la possibilità di creare partnership con i vari Amazon e iBook store: «Il nostro sito rappresenterà una delle modalità per acquisire i libri, ma certamente non sarà l’unica. Deve esserci una visione condivisa da parte anche degli altri editori, che stanno valutando come affrontare la cosa, visto l’investimento iniziale non irrilevante. La priorità è definire un modello di business vantaggioso per tutti: per l’editore, per il distributore, per eventuali traduttori di contenuti. Tutta la filiera deve essere messa in condizione di avere un’utilità marginale sufficiente. Entro la fine dell’anno si arriverà a un quadro più definito». Ma siamo proprio sicuri che non esista già un modello di business? Bruno editore, per esempio, opera sulla piazza italiana dal 2002, e nel 2007, quando il giro d’affari mondiale legato ai libri elettronici valeva 30 milioni di euro, deteneva il 3% della quota complessiva del mercato. «Oggi che il mercato vale circa 250 milioni di euro, la nostra quota è diminuita sensibilmente», spiega Giacomo Bruno, presidente della casa editrice romana. Ma di una cosa è sicuro: «Gli altri editori dovranno affrontare le fasi che abbiamo attraversato noi. Per ora il mercato italiano è rappresentato solo dai circa 200 titoli presenti nei nostri cataloghi, che comprendono anche le collaborazioni con Sperling, Guerini e Armenia, solo per citare alcune delle società che che hanno voluto sperimentare. Con successo, devo dire. Ma presumo che in seguito ciascuno di loro costruirà autonomamente il proprio catalogo». Le certezze di Bruno poggiano tutte sulla sua personale esperienza: «Grazie agli e-book il 70% dei costi legati al modello di business dell’editoria tradizionale (tra produzione, stampa, magazzino, rimanenze, distribuzione e resi) sparirà. E gli autori saranno remunerati con royalty fino al 30% sul prezzo di vendita. Oggi se riescono a prendere il 10% è già tanto. Posso comprendere alcune remore: c’è la stessa avversione che a suo tempo avevano mostrato le etichette musicali verso gli Mp3, osteggiati per i rischi legati alla pirateria».

Chi paga i contenuti?

A questo punto bisogna capire se l’esperienza del mercato musicale sarà maestra di vita per quello della lettura. E ancor di più, scoprire chi fungerà da catalizzatore dei contenuti, divenendo l’iTunes dei libri digitali. «Al momento è Amazon, che ha il merito di aver creato una rete con gli editori, per lo meno in America», spiega Bruno. «Ma Apple, pur partita dopo, alla fine potrebbe vincere la battaglia. Ha un vantaggio importante, un marchio più conosciuto e più penetrante tra gli utenti comuni. Sono pochi quelli che leggono 30 libri all’anno, e Kindle sembra fatto apposta per loro». La faccenda dovrebbe divenire più chiara anche in Italia nel giro di un paio d’anni, quando si vedrà se la digitalizzazione dei libri favorirà un maggiore dinamismo del mercato dell’editoria. Seguendo il modello del web 2.0, non è infatti da escludere che i grandi editori trovino conveniente, anziché svilupparlo in proprio, gettarsi nel nuovo business acquisendo aziende piccole ma ultraspecializzate. Come quella di Giacomo Bruno. «È plausibile», dice lui. «Del resto quando abbiamo cominciato a collaborare con Sperling si vociferava che Mondadori intendesse inglobarci. Sì, penso proprio che ci sarà parecchio movimento».

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