Studio Mediobanca: l’industria italiana resiste all’inflazione

La nuova edizione del rapporto “Dati Cumulativi” ha evidenziato nel 2022 una crescita del fatturato superiore al 30% per le 2.150 società prese in esame. La forza lavoro cresce (+1,7%), ma perde potere d’acquisto (-22%)

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Un’analisi approfondita sull’andamento delle più grandi società italiani operanti nell’industria e nei servizi, una sorta di cartina tornasole sulla situazione economica del nostro Paese. Può essere definita così, in breve, la nuova edizione dei Dati Cumulativi, l’indagine annuale dell’area studi Mediobanca che ha esaminato l’andamento di 2.150 società italiane, che rappresentano il 48% del fatturato industriale.

Mediobanca: cresce il fatturato delle imprese italiane

In base allo studio, nel 2022 il fatturato delle imprese prese in esame ha segnato un incremento annuo nominale del 30,9%, superando in valore assoluto i 1.000 miliardi di euro. L’industria ha chiuso il 2022 con vendite in aumento del 36,2%, ma senza le attività petrolifere ed energetiche l’incremento si attesta al 15,3%.

La presenza delle aziende a proprietà pubblica nel comparto energetico ha sostenuto la crescita delle loro vendite (+57,8%), che ha più che doppiato quella delle imprese private (+22,2%). All’interno della manifattura (+15,3%) il IV capitalismo, rappresentato da imprese manifatturiere di medie e medio-grandi dimensioni a controllo familiare italiano, ha mostrato una maggiore capacità di trasferire sui prezzi di vendita i rincari degli input rispetto a quanto fatto dai gruppi di maggiori dimensioni (fatturato nominale: +17,2% contro +12,2%).

Più modesta appare invece la dinamica del fatturato nominale del terziario (+9,7%) rappresentato essenzialmente da distribuzione al dettaglio (+7,9%), telecomunicazioni (-0,3%), trasporti (+20,5%) ed emittenza radiotelevisiva (-7,3%).

L’indagine annuale Dati Cumulativi dell’area studi Mediobanca ha esaminato l’andamento di 2.150 società italiane, che rappresentano il 48% del fatturato industriale. Lo studio censisce anche il 49% di quello manifatturiero, il 46% di quello della distribuzione al dettaglio e il 38% di quello dei trasporti. Le imprese a controllo estero coprono il 52% di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e il 90% delle sole manifatturiere. Sono incluse tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e circa il 20% di quelle manifatturiere di medie dimensioni.

Il peso dell’inflazione…

Gran parte delle variazioni sono tuttavia alimentate dall’inflazione: tenuto conto della variazione dei prezzi alla produzione, la crescita reale delle vendite delle 2.150 imprese si è attestata al +0,6%.

L’industria in senso stretto segna il +1,4% mentre la manifattura il +1,3%. In questo ultimo comparto, l’alimentare ha visto crescere il fatturato nominale del 16,3% che, depurato di un’inflazione media specifica pari al 15,3%, consegna una crescita reale pari al +0,9%.

La variazione è tutta da ascrivere al mercato estero (+6,5%), in controtendenza a quello domestico, in calo dello 0,6%.  Migliori i risultati delle bevande, con un progresso nominale dei ricavi pari al +13,8%, che diventa +7,5% al netto dell’inflazione (+6,6% oltreconfine).

La filiera della moda ha segnato invece performance rilevanti, con variazioni nominali superiori al +20% per tutte le sue componenti, che rimangono premianti anche considerando la relativa inflazione: +18% reale le lavorazioni della pelle, +14,8% l’abbigliamento e +9,7% il tessile. Tra i settori più dinamici vanno segnalati anche l’elettronica – che ha registrato un’espansione reale del giro d’affari pari al +10,6% (15,7% nominale), che sale al +15,8% per i mercati esteri (+25,7% al lordo dell’inflazione) – e il farmaceutico-cosmetico, con una crescita in termini nominali del 12,2% e variazioni reali del +9,7% totale e del +8,5% all’estero.

Fonte: Dati Cumulativi di 2150 Società Italiane (2023)

… e dei costi energetici

Come noto, lo shock energetico ha avuto un ruolo fondamentale per la dinamica inflattiva. Sono proprio i settori energivori quelli che hanno mostrato una maggiore difficoltà a preservare la crescita in termini reali, sebbene a fronte di consistenti aumenti di fatturato: il settore metallurgico è arretrato del 3% reale (pur segnando un +19,7% nominale), la chimica lascia sul terreno il 2,2% del valore reale (ma il fatturato nominale cresce del +20,3%), i prodotti per l’edilizia calano dell’1,6% (+18,9% in termini nominali).

Sono andati meglio il cartario – che ha chiuso in positivo tanto per i valori nominali (+25,9%) che per quelli reali (+0,9%) – così come la gomma e cavi (+18,4% nominale vs +3,4% al netto dell’inflazione).

All’interno della produzione manifatturiera si segnala la performance, in termini reali, della filiera del made in Italy (+3,8% il fatturato totale, +5% oltreconfine) a conferma del crescente apprezzamento delle produzioni italiane, soprattutto sui mercati esteri.

Forte calo per il potere d’acquisto

Nel 2022 le 2.150 società hanno registrato un incremento della propria forza lavoro (+1,7%), con alcuni segmenti più performanti di altri: IV capitalismo (+2,4%) e, ancora una volta, la filiera del made in Italy (+2,6%). Il costo medio unitario del personale (aggregato) ha riportato un aumento del 2% su base annua. La forza lavoro è la componente maggiormente penalizzata in termini di potere d’acquisto, con una perdita stimata intorno al 22% per l’anno 2022.

Margini, la manifattura gestisce l’inflazione e ne assorbe l’impatto

Tra il 2021 e il 2022 le 2.150 imprese hanno segnato performance decisamente positive quanto alla variazione dei principali margini di conto economico: il valore aggiunto ha registrato un incremento del 7,7%, livello che ridotto a grandezza reale mediante il deflatore del Pil cala al +4,6%. Procedendo nell’analisi delle voci di conto economico aggregato, si evidenziano margini con incrementi più significativi: quello operativo netto è avanzato del +21,9%, l’utile lordo prima delle componenti straordinarie del +9,6%, il risultato netto del +26,2%. Il Roi è cresciuto dal 6,5% al 6,9%, il Roe è salito dal 6,4% al 7,7%.

Tuttavia, analizzando un orizzonte temporale più ampio, si evidenzia uno scadimento della redditività: l’Ebit margin diminuisce dal 5,6% rispetto al periodo 2015-19 (ante-Covid) al 4,7% del 2022, analogamente all’evoluzione segnata dal Roi (dal 7,8% al 6,9%), mentre il Roe ha manifestato un contenuto incremento, dal 7,4% al 7,7%.

Le differenze tra imprese pubbliche e private

Una significativa distinzione interessa l’aggregato delle imprese pubbliche e private. Quelle partecipate dallo Stato, che pure hanno riportato una rilevante crescita del fatturato nominale, nel 2022 hanno subito un significativo affievolimento della propria redditività: l’Ebit margin si è dimezzato dal 7% al 3,4%, il Roi si è ridotto dal 7,4% al 4,6% e il Roe è diminuito dall’8,3% al 6,8%.

Le imprese a proprietà privata (nazionale o straniera) hanno invece messo a segno incrementi in tutti i margini: Ebit margin dal 5,2% al 5,3%, ROI dall’8% all’8,4% e, ancor di più, Roe dal 7% all’8,2%.

È la manifattura a mostrare la maggiore capacità di gestire i costi dell’inflazione, assorbendone l’impatto e riuscendo a segnare una significativa progressione della redditività rispetto ai cinque anni ante-Covid: l’analisi del comparto mostra che l’Ebit margin è salito dal 5,3% al 6% (+13,2%) e il Roe dall’8,2% all’11,2% (+36,6%). In questo ambito si segnalano le variazioni positive delle imprese medie e medio-grandi a controllo familiare (Ebit margin +6,3% e ROE +12,1%) e del made in Italy (+4,3% e +14,3%). Opposta la traiettoria seguita dalle imprese del terziario, con un sostanziale dimezzamento dell’Ebit margin – calato dal 6,7% al 3,5% – e del Roi (dal 6,3% al 3,4%) e il passaggio in negativo della redditività netta (Roe) pari al -0,4% nel 2022.

L’analisi per settore evidenzia che la filiera della moda ha conseguito nel 2022 un importante sviluppo delle vendite reali e mostra una redditività mediamente crescente.

Tra i settori energivori, i risultati appaiono non univoci. I comparti della metallurgia e del vetro, in controtendenza, segnano un miglioramento delle performance in tutti gli indicatori osservati.

L’inflazione non pare dunque aver sortito un effetto univoco sui margini delle imprese manifatturiere nel 2022. I rincari non sembrano infatti mossi da generici automatismi, ma condizionati dal posizionamento che le imprese detengono in termini di tenore qualitativo delle produzioni, di collocamento nelle catene globali del valore, di potere contrattuale sui clienti, di distintività rispetto alla concorrenza e, non ultimo, di capacità di rimodulare la propria struttura di costi per preservare la marginalità.

Certamente, si precisa nello studio di Mediobanca, non appare ravvisabile un effetto negativo sui margini che anzi, per un numero cospicuo di settori, sono migliorati nel 2022 rispetto al periodo pre-Covid. Le imprese della manifattura affrontano le incertezze della congiuntura con cautela, con proiezioni positive sulle vendite totali e oltreconfine del 2023 (+6%). Tali variazioni potrebbero tuttavia attestarsi su valori reali decisamente più contenuti a causa dell’inflazione, difficilmente quantificabili per l’attuale dinamica dei prezzi.

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