Product placement a ritmo di musica

Dopo film, serie tv e libri, la pubblicità "occulta" invade anche il mondo delle clip musicali: siti d’incontri, computer e soprattutto cuffie la fanno da padrone. N on si salvano nemmeno i video storici, rimaneggiati per un pugno di dollari

Ormai avevamo fatto l’occhio al product placement nei film, con il prodotto “giusto” in mano al protagonista della pellicola per trasmettere un messaggio subliminale di fascino e qualità. Il fenomeno aveva poi conquistato serie tv e talent vari fino a varcare la sacra soglia della letteratura con, ad esempio, lo scrittore William Boyd pagato con un assegno a sei cifre per far guidare un Land Rover Defender al protagonista del suo The Vanishing Game.

A ritmo di brand

Non c’ha messo molto così il mondo della pubblicità a prendersi la sua fetta anche nel campo della musica: una commistione sempre delicata per i fan più accaniti, soprattutto dei cantanti ribelli e dei generi di protesta. I primi tentativi sono stati quasi ingenui, come in Forever di Chris Brown con la citazione delle caramelle alla menta Orbit (di cui poi l’ex compagno di Rihanna è stato testimonial l’anno successivo). Da lì non c’è stato più argine all’invasione. Lady Gaga in Telephone ha fatto collezione di sponsor: Miracle Whip,Polaroid, Virgin Mobile, Hp e perfino il sito di incontri Plenty of Fish.

SONO OLTRE 1.500 LE MENZIONI

DI MARCHI NELLE CANZONI,

LA META’ RIGUARDA BRANI

INCISI TRA IL 2000 E IL 2010

Anche se nessuno è ai livelli di Beats Electronics, le cuffie di Dr. Dre ormai di proprietà Apple, presenti in almeno 17 video da Ariana Grande e Britney Spears, a Nicki Minaj e Azealia Banks. I l fenomeno è piaciuto così tanto che alla fine la Universal ha avviato un programma di inserimento retroattivo andando a inserire dei marchi nelle clip del passato con un abile montaggio. Dai calcoli dell’Università del Colorado, sono state 1.544 le menzioni di brand all’interno dei testi e ben la metà riguarda canzoni scritte tra il 2000 e il 2010. Si tratta di una risposta al crollo delle vendite degli album, ma non nasconde il legame sempre più forte tra industria musicale e consumismo. Tour, licenze per sigle tv, comparsate, accordi con i servizi di streaming: la canzone è sempre meno una forma d’arte e sempre più un prodotto da vendere.

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