In viaggio verso il cliente

Riflettere sul customer journey: è stata una delle possibilità offerte dal Forum della Comunicazione con alcune grandi aziende, che hanno raccontato come dal 2012 in poi abbiano rivoluzionato l’approccio al pubblico e al marketing. Anche se il segreto del successo non è cambiato: «Bisogna mantenere le promesse»

Che cosa lega le imprese ai loro potenziali clienti? In uno scenario dove le persone sono ormai restie ad accettare i messaggi top-down, la marca non è più capace di fidelizzare e la parola di uno sconosciuto online vale più delle promesse di un’azienda, come si fa ad arrivare al cuore e al cervello dei consumatori? Hanno provato a dare una risposta i relatori dell’incontro Ridisegnare il Customer Journey: dall’economia dei prodotti a quella delle esperienze, main workshop del Forum della Comunicazione 2016, incentrato sul tema di #quellocheciunisce. Durante il dibattito, moderato dal direttore responsabile di Business People Vito Sinopoli, alcune grandi aziende hanno portato la loro esperienza. Il primo risultato? Un po’ a sorpresa, è emerso un punto di partenza comune di questa riflessione: l’anno 2012, periodo in cui tutti i protagonisti hanno avviato un processo di revisione delle proprie abitudini comunicative.

PUNTO DI SVOLTAQuella è stata, per esempio, la stagione d’inizio di una profonda trasformazione globale di Canon: «La fotografia è solo la punta dell’iceberg del nostro gruppo», ha spiegato Marco Di Lernia, Country Director Consumer Imaging Group dell’azienda. «La nascita della smart photography ha cambiato il nostro settore. Prima puntavamo sulle caratteristiche dei nostri prodotti: abbiamo dovuto stravolgere il nostro approccio, mettendo in luce i benefici per i consumatori e differenziando l’offerta per gli utenti online». Mentre l’azienda concludeva acquisizioni strategiche (come quella dell’app Lifegate) e favoriva l’integrazione tra marketing e vendite, è stata rivoluzionata la cultura comunicativa. Fino al 2012, infatti, era vietato persino l’utilizzo dei social network: come risposta al nuovo scenario, sono stati organizzati corsi per dare una formazione di base per tutti i dipendenti. «Oggi siamo in grado di agganciare i clienti su canali sempre più numerosi ed evoluti, ma è diventato più complicato catturare l’attenzione delle persone», è la sfida proposta da Di Lernia, «la Rete ha allargato il campo libertà delle persone, i social sono un luogo di sfogo da monitorare continuamente. Il segreto del successo, però, resta quello di più antico di sempre: mantenere le promesse».

CAMBIARE PELLEAltrettanto complesso è stato il cambio d’abito compiuto da Leroy Merlin, passato da regno del fai-da-te a “multispecialista della casa”. A guidare la trasformazione è stato lo studio dei consumatori attraverso l’Osservatorio Casa, creato insieme a Doxa: dopo aver scoperto che gli italiani sono un popolo di poeti, santi, navigatori e maker, il gruppo ha cercato di spingere i proprietari di casa a prendere in mano i progetti di ristrutturazione, per fare da soli – attraverso i corsi nei negozi – o con l’aiuto degli artigiani selezionati per il servizio di posa. Il tutto accompagnato da un’accelerazione digitale profonda: «Il nuovo sito è pensato come un medium proprietario che offre contenuti editoriali e aspirazionali decisi in base alla stagionalità e alle parole più ricercate, con un taglio pedagogico molto spiccato evidente nell’offerta di video tutorial: quello sulla posa del parquet ottiene 500 mila view al mese», è la testimonianza del direttore comunicazione del retailer francese, Stefania Savona. «La parte e-commerce è ormai un negozio in più che arriva dove non possono gli altri con consegna in cinque giorni. Ma proponiamo anche il servizio clicca-e-ritira in negozio entro due ore. Nel 60% dei casi chi compra in store ha prima “studiato” sul web, ma l’esperienza fisica è ancora centrale». Un lavoro immane e non privo di errori, dunque, puntualmente segnalati dai clienti: «I social ormai fanno anche da customer care: se c’è chi si lamenta di un errore, bisogna ammettere la mancanza e cercare di recuperare. Così facendo si crea una comunità di ambasciatori positivi pronti a neutralizzare le critiche ingiuste», spiega Savona, «il nostro obiettivo è rendere vivibili le promesse, come dice il nostro payoff “Voglia di fare casa”».

INTEGRAZIONE INTERNAUn’accelerazione su questi temi Fastweb l’ha data, anche, assumendo Roberto Chieppa, manager cresciuto per 13 anni nel largo consumo e sette nel retail: «Una delle componenti della nostra vision è proprio la centralità del cliente», racconta l’Head of Marketing del gruppo. Come? «Bisogna essere ossessionati dal consumatore, conoscerlo ed essere disponibili perfino a cambiare business model per andargli incontro». Tra le varie iniziative intraprese dalla telco ci sono vertici di una settimana sulla Customer Journey con il coinvolgimento di tutte le funzioni aziendali e lo studio delle best practise del mercato: «Perché se uno si abitua al servizio di Amazon poi lo pretende sempre», dice Chieppa senza nascondersi, «così i nostri social, per esempio, gestiscono 80 mila conversazioni/mese di customer care. Twitter viene informato di una crisi alla stessa velocità dell’amministratore delegato, se non prima». Si va, dunque, verso l’apertura totale al cliente, che può, per esempio, conoscere la velocità reale della sua connessione prima di firmare il contratto. «La pressione dei competitor e dei clienti non può far dimenticare il valore della fiducia: bisogna rinunciare a uno slogan se non si è in grado di rispettarlo», è la ricetta di Fastweb. Il lavoro più profondo, però, è avvenuto all’interno dell’azienda, in particolare con l’istituzione della figura dell’Omnichannel Manager per integrare il lavoro di tutti i touch point. «E nella nostra comunicazione raccontiamo persone, cavi, data center, insomma la fisicità», conclude l’Head of Marketing del gruppo, «perché i social avranno anche ampliato la platea, ma hanno cancellato il calore del contatto umano».

SIAMO TUTTI MEDIUMPur forti della qualità dei propri prodotti, i vertici di Oregon Scientific hanno rivoluzionato le consuetudini comunicative dal 2012 a oggi. Messi in secondo piano i media tradizionali, l’azienda ha deciso di puntare su influencer autorevoli onile e su un sito più user friendly, investendo dall’altra parte, sui servizi di vendita e post vendita. «La parola del singolo oggi vale più di uno spot: se dà una recensione positiva della sua esperienza d’acquisto complessiva, questa sarà condivisa innescando un dialogo virtuoso. Nel mondo iperconnesso, siamo tutti dei media», è la visione di Patrizia Bandirali, European Marketing Manager del gruppo, «abbiamo impostato la comunicazione online arrivando a personalizzarla in base ai dati su interessi e preferenze presenti nei nostri database». Non sono mancate però le difficoltà: «Quando lanciammo il primo tablet per bambini sotto Natale, il prodotto ebbe avuto un successo inatteso, tanto da far crollare il server proprio il giorno dell’apertura dei regali: ma avevamo previsto il problema e grazie a un help team abbiamo assistito ciascun cliente nel processo di iscrizione», sottolinea Bandirali che non si sottrae da periodici “ritorni alla realtà”: «A Milano lo scorso dicembre abbiamo vestito dei ragazzi da orologi umani. Quelli che si riconoscevano nel brand sono stati catturati e sono entrati in negozio per capire cosa stava succedendo. È negli store che, in fondo, avviene la decisione finale di acquisto».

SOLO L’INIZIOIl compito della sintesi non poteva che toccare a Google, deus ex machina della trasformazione digitale per la maggior parte delle aziende. «Guardando a quello che accade nella Silicon Valley, possiamo dire che siamo solo all’inizio», assicura l’Agency & Strategic Clients Director della divisione tricolore di Mountain View, Paola Marazzini, «tra dieci anni tutto il pianeta sarà potenzialmente online e gli effetti si vedono già: la dematerializzazone, la demonetizzazione ecc». Che cosa devono fare allora le aziende? «Capire che quelli che noi chiamiamo “micro-moment”, cioè ogni singola consultazione, è una possibilità di interloquire con un cliente disposto ad ascoltare in quel preciso momento». Con un esperimento sull’acquisto di un televisore, Google ha svelato il crollo del confine tra offline e online: non esiste più l’acquisto di impulso, ma prima c’è una lunga fase di studio. Negli Usa si è calcolato, infatti, che, a fronte di un calo del 50% di accessi nei punti vendita, corrisponde oggi un raddoppio dello scontrino medio. «I consumatori vanno messi al centro ma per studiarli: i Big Data, insomma, devono diventare “data opportunities” per ottimizzare il dialogo con loro, fino ad arrivare alla diversificazione delle campagne pubblicitarie a seconda degli interessi dei diversi cluster», conclude Marazzini. «Tutte le aziende sono preparate per questo? No, perché se il mercato deve creare valore, la comunicazione deve cambiare pelle. Sui social non si vendono dati tecnici, ma si condividono emozioni».

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