Pagamenti delle imprese: si allungano i tempi. Le big penalizzano le pmi

I dati Cerved evidenziano una media di 66,8 giorni per saldare le fatture concordate. Crescono i ritardi dopo un 2022 virtuoso. L’a.d. Mignanelli: “Le abitudini di pagamento sono un termometro importante per cogliere tempestivamente possibili segnali d’allarme”

pagamenti delle impreseAndreyPopov/iStockPhoto

Imballaggi in plastica, gestione di autostrade, estrazione di idrocarburi, trasporti aerei, ma soprattutto specialità e materie prime farmaceutiche. Sono i settori con un’alta concentrazione di grandi imprese che nei pagamenti fanno il buono e il cattivo tempo: negoziano condizioni più vantaggiose ma pagano ugualmente con maggiore ritardo, mettendo in difficoltà le società medio-piccole. È così che nel primo trimestre 2023 si sono allungati i tempi per i pagamenti delle imprese, che in media arrivano a 66,8 giorni rispetto ai 65,2 del primo trimestre 2022.

I dati Cerved sui tempi dei pagamenti delle imprese in Italia

Questo risultato, analizzato da un recente studio Cerved, ha interessato tutta la Penisola ed è la combinazione dell’allungarsi dei termini medi concordati in particolare dalle grandi imprese (+1,4 giorni) e del riacutizzarsi dei giorni di ritardo delle altre classi dimensionali (+0,2), un trend ripartito a fine 2022 dopo un anno in costante calo. Sfruttando il loro peso negoziale, le grandi aziende hanno ottenuto di pagare in media a 70,6 giorni concordati contro i 64,8 dello scorso anno (ben di più dei 58,2 attuali delle pmi e i 43 delle micro), a cui ne aggiungono 11 di ritardo, mentre le imprese di minori dimensioni, che subiscono fortemente questa politica dilatoria, vedono al contrario un irrigidirsi delle scadenze: ciò si traduce in una mancanza di liquidità che sfocia non solo in maggiori ritardi (+0,5 giorni rispetto al primo trimestre 2022) ma sempre più spesso in mancati pagamenti.

“Le abitudini di pagamento sono un termometro importante da monitorare per cogliere tempestivamente possibili segnali d’allarme”, spiega Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, società che ha preso in esame le abitudini di pagamento di 3 milioni di società. “La congiuntura economica che stiamo attraversando, caratterizzata da alta inflazione e rialzo dei tassi di interesse, ha generato un deterioramento dei fondamentali finanziari delle imprese: il conseguente il calo della domanda, l’aumento dei costi, la frenata della redditività e la riacutizzazione del rischio hanno portato, da un lato, a rinegoziare i tempi di pagamento, dall’altro, dove questo non è stato possibile, ad aumentare i ritardi e le insolvenze”.

I settori che tardano di più a saldare le fatture

Il macrosettore che più ha allungato i tempi di pagamento è l’industria (quattro giorni in più rispetto al 2022, da 65,9 a 69,9) e ciononostante ha visto crescere pure i ritardi (da 6,9 a 7,3 giorni). Anche nelle costruzioni aumentano i giorni di ritardo (ora 10,6) e, a fronte di un netto accorciarsi delle scadenze (-2,3 giorni), le imprese insolventi. Nei servizi, dove prevalgono le micro imprese, i tempi di pagamento sono strutturalmente più bassi (dai 10 ai 20 giorni in meno rispetto a costruzioni e industria) e nonostante questo i ritardi sono in lieve ma costante calo.

Si riscontra un notevole allungamento delle scadenze pattuite nei settori energivori, che molto hanno risentito dell’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia e di alcune materie prime: le imprese per la raffinazione di prodotti petroliferi pagano a quasi 80 giorni in più rispetto al 2022, quelle che producono accumulatori e batterie a oltre 61, le aziende cartarie e siderurgiche a circa 50. I ritardi, invece, sono cresciuti maggiormente nell’allevamento dei bovini (quasi 10 giorni in più fuori scadenza), nei trasporti aerei e nei servizi di vigilanza (circa 9), nelle radio e tv (7,3), nell’estrazione di idrocarburi e nella produzione di conserve ittiche (6,5).

In Italia 1 pagamento su 10 non viene onorato

Nel nostro Paese, il 9,7% dei pagamenti (+0,3% sul 2022) non viene onorato. Nelle micro e nelle pmi questo fenomeno è salito rispettivamente del +0,5% e +0,8%, mentre nelle grandi la quota, pari alla media italiana, è rimasta stabile.

Come macrosettori, l’aumento più marcato si rileva nelle costruzioni (da 12% a 13%), che ha anche la percentuale più alta di insolvenze; la più bassa è nell’industria, 7,9% (+0,5%), i servizi si attestano a 9,7% (+0,2%).

Rispetto ai settori, quelli in maggiore sofferenza sono l’allevamento dei bovini (56,4% di mancati pagamenti, +46,5% sul primo trimestre 2022), la produzione di motori non elettrici (28,2%, +12,6%), l’industria discografica (20%, +10,4%), le agenzie di pubblicità (43,6%, +10,1%), la distribuzione locale di energia (15,2%, +8,3%), l’editoria di quotidiani e periodici (31,4%, +8,2%).

Performano bene, invece, l’industria ferrotranviaria (18% di mancati pagamenti, -12,8% rispetto al primo trimestre 2022), la produzione di maglieria e biancheria intima (11,8%, -12,6%), i trasporti ferroviari (43,%, -12,5%), gli autonoleggi (5,4%, -8,6%), la carta per uso domestico (3,8%, -7,1%).

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