Le banche chiedono credito

Gli istituti hanno un bel da fare per conquistare nuovi clienti e soprattutto nuova fiducia. I direttori creativi delle agenzie pubblicitarie svelano obiettivi e retroscena delle ultime campagne

“La mia banca è differente”, recita il claim della fortunata campagna di comunicazione di Bcc. Ma la verità è che oggi tutte le banche vorrebbero essere differenti. Non fossero bastati gli scandali finanziari che negli Stati Uniti, nel 2008, hanno innescato la crisi internazionale da cui stiamo ancora faticosamente cercando di uscire, e la stretta sul credito imposta da Basilea 3, la reputazione delle banche ha dovuto fare i conti in Italia pure col recente scossone del Monte dei Paschi di Siena. E la maggior parte dei brand si è allineata sull’obiettivo di proporre una visione più umana del concetto di banca. Per qualcuno si è trattato di proseguire una strategia tracciata diversi anni fa, in tempi non sospetti. Per qualcun altro invece c’è stato bisogno di un vero e proprio cambio di marcia. All’insegna, in entrambi i casi, del risparmio: secondo le rilevazioni Nielsen AIS, gli investimenti pubblicitari nel settore bancario a maggio sono stati pari a 18.429.000 euro (-12,6% rispetto a maggio 2012).

LE CAMPAGNE ADV PIÙ RECENTI

«Fino a qualche anno fa era sufficiente rassicurare», conferma Aurelio Tortelli, direttore creativo di Stv Ddb, l’agenzia che cura i progetti di comunicazione di Intesa Sanpaolo. «Bastava spiegare al pubblico, anche con toni enfatici, che la banca è grossa, seria, che magari ha 500 anni di storia alle spalle. Ora invece prevale la volontà di non far parlare l’istituzione, ma di creare identificazione con chi sta dall’altra parte». Gli istituti sembrano voler convincere i clienti, e specialmente i potenziali clienti, di saper offrire comprensione totale, delle persone e delle specifiche esigenze. Ed è sulla scorta di questa nuova impostazione che stanno cambiando contenuti e forma della pubblicità. «Rispetto alla forma eravamo già abbastanza a posto», dice Tortelli alludendo alla campagna che da anni vede (anzi, non vede) protagonista la Gialappa’s Band alle prese con i dipendenti del gruppo. «I contenuti devono sempre più puntare su promesse mantenibili. Per fortuna, nello specifico, parliamo di un brand che dal punto di vista della reputazione è sempre stato solido, e anche nei momenti più difficili non ha subito danni».

Per certi versi è pure il caso di Monte dei Paschi di Siena, travolta dallo scandalo finanziario che qualche mese fa ha decapitato i vertici dello storico istituto toscano, che però ha intaccato solo in minima parte la sua reputazione, anche grazie all’azzeccata strategia di comunicazione adottata negli ultimi anni. Questo per lo meno è ciò che dice a Business People Mario Catoni, titolare di Catoni e Associati, agenzia fiorentina che a partire dal 2007 ha curato la comunicazione della banca affidando la pubblicità televisiva a grandi maestri del cinema italiano, da Tornatore a Bellocchio passando per Virzì. «Intorno al 2005 conducemmo un’analisi che mise in evidenza quanto già fosse conflittuale il rapporto tra pubblico e banche in generale», spiega Catoni, «e per questo decidemmo di raccontare una storia vera, una storia che appartenesse più alla gente che alla banca. L’idea di rinunciare all’autoreferenzialità funziona anche in tempi di crisi. Se avessimo impostato la campagna sulla base di altre logiche, come per esempio l’ironia, carta giocata da altri istituti, in tempo di crisi quel linguaggio avrebbe penalizzato il marchio». I timori di Catoni sulla possibilità di strumentalizzazione delle iniziative di comunicazione non sono infondati: all’indomani dell’inizio delle indagini c’è stato anche chi è andato a fare i conti in tasca alle iniziative pubblicitarie del gruppo, sottolineando come 10 milioni di euro fossero troppi per uno spot (benché girato da Marco Bellocchio) di 61 secondi. «Peccato che chi ha puntato il dito contro Mps si sia dimenticato di dire che la comunicazione di altri competitor sia costata anche di più», dice Catoni. Dalla banca più antica a una delle ultime arrivate sul mercato italiano. Ing direct si è da subito posizionata sul panorama nazionale come un istituto snello e veloce, facendo valere la sua primogenitura come banca puramente on line, con costi inesistenti e rendimenti più alti della media. Ora che pure Ing ha messo radici sul territorio aprendo le filiali e aumentando il portafoglio prodotti, anche la sua comunicazione non è basata più solo sulla promozione del Conto arancio. «Rispetto ad altre banche, soprattutto quelle tradizionali, che negli ultimi tempi hanno dovuto crearsi un posizionamento diverso, Ing direct era già all’avanguardia sui temi maggiormente sentiti dai clienti: velocità di risposta, flessibilità e alleggerimento delle spese. E anche il modo di comunicare tutto ciò, nel suo essere esplicito, è stato rivoluzionario, se consideriamo il contesto italiano», dice Diego Mendozza, direttore creativo di Leo Burnett Italia, da anni l’agenzia di riferimento per la banca olandese. Leo Burnett ha seguito passo dopo passo l’evoluzione dei linguaggi adottati dal brand, fin dalle gag di Ale e Franz, attraverso il passaparola del “Chiedi a chi ce l’ha” per arrivare all’invito woodstockiano di “Prendi parte al cambiamento”. Oggi, per Mendozza, “Le grandi domande sono cambiate”, e se anche Ing può permettersi una comunicazione un po’ più istituzionale e meno di prodotto, il focus non si sposta dalle esigenze reali dei clienti. «In un periodo come questo, le domande delle persone sono basiche», dice Mendozza. «Ci sono difficoltà oggettive e con una crisi che non molla il colpo, un conto corrente che non ti chiede nulla è comunque una buona notizia».Un’altra banca sui generis è senz’altro Bcc. Innanzitutto, perché si tratta di una federazione di cooperative senza scopo di lucro. E poi perché McCann Erickson, l’agenzia che si occupa dei suoi progetti di comunicazione, ha risolto il dilemma di un brand che ha al suo interno tante anime quanti sono i territori in cui opera il gruppo. «Negli ultimi anni non è cambiato molto nei toni usati, forse ci sono stati degli aggiustamenti rispetto ai contenuti», spiega Alessandro Sciortino, direttore creativo di McCann. Anche per Bcc questo periodo ha fatto segnare un calo della raccolta: abbiamo dovuto scendere sul piano tattico spingendo su tasti che negli anni precedenti non avevamo bisogno di premere. Si è quindi dato il via a iniziative legate a offerte e prodotti, non tanto a livello nazionale, quanto locale, dato che se il brand è unico, molteplici sono le offerte territorio per territorio». Sciortino tiene a sottolineare alcune iniziative above the line: nell’ultima campagna istituzionale, McCann ha infatti dato vita a un booklet con una serie di kit per la comunicazione con le indicazioni per fare leva su attività di co-marketing insieme alle altre realtà locali. «Parliamo del bar in piazza o del cinema del paese, o ancora del benzinaio di quartiere», spiega Sciortino. «Avete presente il caffè sospeso? È specialmente nel Sud Italia l’usanza di lasciare uno scontrino sul bancone del bar con un caffè già pagato per il cliente successivo. Ecco, noi abbiamo stampato una locandina con un visual di Bcc che andava ricoperta con una serie di scontrini, caffè già pagati che la banca offriva ai suoi compaesani. Man mano che si staccavano gli scontrini, il visual emergeva. Questo è solo un esempio tra i tanti, ma sono tutti messaggi che hanno a che fare con il concetto di vicinanza. Sulla base di queste esperienze, credo che Bcc sia pronta per usare in futuro anche strumenti più all’avanguardia, sfruttando sempre il lato buono della comunicazione social, anzi: costruendo eventi sociali, più che social».C’è infine l’approccio di Jwt, che ha da poco acquisito Unicredit vincendo una gara con una creatività che evoca il senso di smarrimento degli italiani nei confronti dei soggetti bancari. Sergio Rodriguez, direttore creativo esecutivo ed Executive VP di Jwt Italia, spiega che proporre un piano di comunicazione non basta più: è necessario diventare business partner del proprio cliente, ed elaborare a quattro mani non solo strategie, ma anche prodotti e servizi. «La promozione Subito banca, per esempio, risponde a precise richieste dei consumatori», dice Rodriguez. «Attraverso questo prodotto si accede a un finanziamento per l’acquisto di un tablet, per il quale è stata introdotta un’interfaccia pensata per rendere più facile e intuitiva la relazione on line anche per le persone anziane». Quello messo insieme con i vertici di Unicredit è per Rodriguez un vero laboratorio di idee, che sul fronte della comunicazione viene catalizzato dalla figura del media planner, mentre su quello del marketing si avvale di esperienze e case history segnalate dalla stessa agenzia. «Abbiamo mostrato a Unicredit l’idea di una banca neozelandese, per esempio, che ha inventato una scheda magnetica (da usare come Bancomat e carta di credito) dotata di uno schermo che fornisce il saldo e altre informazioni al suo possessore. Mentre nell’ultima edizione di Cannes si è vista una carta che grazie a un pin permette di prelevare denaro direttamente da un’altra scheda Bancomat. Il prodotto diventa uno strumento di comunicazione. Ed è per questo», conclude Rodriguez, «che noi dobbiamo diventare sempre di più consulenti anche di prodotto. L’agenzia tradizionale e ultra specializzata è destinata a morire, o nel migliore dei casi a recitare una parte sempre più piccola»

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