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Internet? Vale 1.600 miliardi e crea occupazione

La web economy e i falsi miti. Non è vero che la Rete toglie il lavoro: ogni due posti persi se ne creano cinque. Il dato, registrato da McKinsey e presentato all’e-G8, non è l’unico controcorrente…

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Internet non distrugge i posti di lavoro, ma li crea; la web economy non produce ricchezza solo per i colossi del web: la maggior parte dei profitti, circa il 75%, riguarda i settori dell’economia più tradizionale con le imprese che, puntando sulla Rete, hanno raddoppiato la loro crescita. Sono solo due delle conclusioni raggiunte nel corso dello studio McKinsey sulla web economy presentato nella prima giornata del Forum e-G8. Uno studio che registra il contributo alla crescita di un Paese dato dalla Rete che, solo nel 2009, ha prodotto 1.672 miliardi nel mondo, 1.376 miliardi di dollari (o il 3,4% del Pil) in 13 Paesi, quelli del G8 più Brasile, Cina, India, Corea del Sud, Svezia.Un’altra sorpresa? A registrare la performance migliore con la web economy non sono gli Stati Uniti, che possono contare su colossi come Google e Facebook, ma è la Svezia. Secondo lo studio di McKinsey (anticipato in anteprima dal Corriere della Sera) nel paese scandinavo l’economia digitale nel 2009 ha contribuito per il 6,3% del Pil contro il 3,8% degli Stati uniti, il 3,2% della Germania e l’1,7% dell’Italia. E proprio il nostro Paese non brilla nel settore della web economy: nelle 13 economia analizzate chiudiamo all’11° posto, davanti solo a Brasile e Russia (vedi grafico a sinistra). Ma come si spiega il risultato della Svezia? “Il governo ha saputo spingere internet portandolo nelle scuole, insegnando l’economia digitale alle aziende con meno di dieci dipendenti, costruendo una broadband capillare”, spiega al Corriere il direttore McKinsey, Guido Frisiani che non sottovaluta, inoltre, “anche i servizi di e-governement”. Tornando ai miti da sfatare, la ricerca presentata all’e-G8 dimostra che per ogni posto di lavoro perso, Internet ne crea 2,5. Un esempio? Magari l’Emi subirà la crisi della musica tradizionale, ma questa crisi va controbilanciata con i nuovi posti di lavoro che si possono creare in altre società dello stesso settore (come Apple ad esempio). “Non è un passaggio privo di ripercussioni sociali – ammette Frisiani – ma il saldo è positivo”.

Via al primo e-G8, “Internet vettore di libertà, ma servono regole”