Uber, Flixbus & c: contro la on demand economy non ci sono solo le lobby

Investimenti in calo, modelli di business ancora fragili e nessuna fidelizzazione dei clienti: il futuro di questi servizi a richiesta è a rischio. Anche se il volto umano potrebbe salvarli...

Tra i guai legali di Uber e la norma anti Flixbus, in Italia abbiamo visto la rivolta delle lobby contro la nuova frontiera della on demand economy. Alcuni servizi, però, viaggiano a gonfie vele come quelli per il food delivery, mentre c’è chi come Airbnb ormai è considerato un interlocutore istituzionale cui chiedere – a torto o a ragione – di diventare sostituto d’imposta.

ON DEMAND ECONOMY IN CRISI?

Guardando, però, ai conti di queste aziende, in particolare ai buchi di Uber, non pochi osservatori sottolineano i pericoli dell’esplosione della bolla della on demand economy, con riflessi pesanti per tutti quelli lavoratori che utilizzano i lavoretti (gig economy) per arrotondare. Proprio come avvenne all’inizio degli anni 2000 con la fine dell’entusiasmo per le dotcom, così bisogna fare molta attenzione al destino di Foodora & C.

Quali sono i motivi di questa debolezza? Innanzitutto a livello di investimento di venture capitalist: il grosso dei finanziamenti finora se lo sono pappati Uber e i suoi colleghi del trasporto (Lyft in Usa e Ola in India), Airbnb nel turismo e Instacart, per la consegna della spesa a domicilio. Ai piccoli sono rimaste poche briciole, in veloce diminuzione da quando nella seconda parte del 2015 i finanziamenti si sono circa dimezzati al settore on demand. Con effetti pesanti per tante aziende che sono state costrette a chiudere (Sidecar, Zirx, SpoonRocket, Shuddle, Kitchit, Kitchensurfing, Washio, Karkoo).

Forse si tratta di selezione naturale dei modelli meno efficienti, ma c’è molto altro dietro, a partire dal rischio sempre più evidente di investire in settori non regolamentati dove la risposta legislativa può incidere pesantemente sul business. Un business che è, però, per sua natura liquido e instabile, perché non prevede alcuna fidelizzazione della clientela né nelle aziende (conta solo il prezzo dei servizi tra Uber e Lyft, tanto per fare un esempio) né nell’utilizzo. Posso chiamare tre volte a casa Foodora durante un mese particolarmente freddo e poi abbandonarlo per tutta l’estate.

UN FUTURO UMANO PER LA ON DEMAND ECONOMY

Il futuro porta quindi verso fusioni sempre più necessarie – a scapito della concorrenza – e nell’automazione (aspetti legali permettendo), che forse renderà questi servizi sostenibili, ma escluderà dal settore migliaia di lavoratori occasionali. Un libro, The Good Jobs Strategy di Zeynep Ton, sostiene però che l’unica strada per fare affari sia investire sulle persone, assumendole a tempo indeterminato. Con risorse umane fidelizzate, i consumatori guarderebbero questi servizi con occhi diversi. Il futuro della on demand economy è tutto umano?

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