Le imprese familiari crescono più delle altre

Secondo l’ottavo Osservatorio sulle aziende italiane a conduzione familiare, queste società vantano un ritmo di crescita più elevato, un’apertura alle acquisizioni e joint venture straniere e la più elevata percentuale di leader donna

Le aziende che fanno la differenza sul mercato, italiano e straniero, sono quelle a conduzione familiare. A sfatare il luogo comune sulla lentezza delle società familiari è l’ottavo Osservatorio Aub (AIdAF, UniCredit, Bocconi) sulle aziende familiari italiane, curato da Guido Corbetta e Fabio Quarato della Cattedra AIdAF-EY di Strategia delle aziende familiari in memoria di Alberto Falck. Dai risultati emerge infatti che le aziende familiari vantano un ritmo di crescita più elevato e la ragione sarebbe da rintracciarsi nella loro maggiore propensione verso acquisizioni e joint venture straniere. Per quanto riguarda la crescita, l’Osservatorio spiega che, fatto 100 i ricavi del 2007, nel 2015 le imprese familiari medio-grandi sono arrivate a 145,2, contro i 131,8 delle altre. Le cifre sono analoghe se si considerano le realtà imprenditoriali con fatturati compresi tra i 20 milioni di euro e i 50 milioni di euro: 145,8 per le familiari e 142,6 per le non familiari.

APERTURA ALLE ACQUISIZIONI. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le società a conduzione familiare sono più propense a siglare acquisizioni cross border: fatto 100 il totale delle acquisizioni di una impresa, quelle familiari concludono il 45% delle acquisizioni all’estero, contro il 27% registrato per le altre tipologie di aziende, che siglano ben il 73% delle acquisizioni solo in Italia. «Le imprese familiari hanno fatto la storia dell’economia italiana e milanese e costituiscono ancora oggi un esempio importante di capacità di adattamento, innovazione ed apertura internazionale», spiega Alberto Meomartini, vice presidente della Camera di commercio di Milano. «In questo contesto si distingue in particolare Milano, con imprese familiari di dimensioni maggiori, più longeve e propense agli investimenti esteri rispetto alla media italiana. Un territorio rivolto anche al futuro, in cui le imprese familiari continuano a nascere e pesano di più quelle molto giovani».

I MANAGER STRANIERI. Non vengono nemmeno disdegnati i manager stranieri: se si confrontano le prime 100 aziende familiari quotate di Italia, Francia, Germania e Spagna, il numero dei manager italiani stranieri è in linea con Francia e Spagna. La Germania farebbe invece eccezione per via della sua peculiare gestione, definita “duale”. Alta anche l’attenzione per la diversity: la percentuale dei leader donna è pari al 9,1% ed è la più alta d’Europa. «Abbiamo individuato tre modelli di successo, a stadi diversi del ciclo di vita di un’azienda», spiega Guido Corbetta. «Per le imprese familiari di prima generazione è essenziale la leadership familiare del fondatore che può anche essere non più giovane. Tale modello funziona indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda. In un momento successivo, l’azienda deve scegliere se puntare sulla crescita o diventare un campione di redditività, mantenendo però dimensioni limitate. Nel caso delle piccole dimensioni risultano premianti il mantenimento di una leadership familiare e un Cda chiuso ai non familiari. Le aziende più grandi di maggiore successo sono, invece, caratterizzate dall’assenza del fondatore, sostituito da un leader più giovane, un consiglio di amministrazione aperto e una leadership che può aprirsi ai non familiari».

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