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Che cosa manca alle top 10 aziende italiane per essere davvero al top

Mediobanca stila la classifica delle regine del fatturato tra luci e ombre: dimensioni ridotte, poca esportazione e addirittura perdita del 3% nella redditività. Cresce l’occupazione, ma soprattutto all’estero. Pesa la perdita di Exor, Italcementi e Pirelli

Le 10 aziende italiane al top, non sono poi così al top. A stilare la classifica delle regine del fatturato è l’annuario R&S di Mediobanca, ma pesa nel ranking la fuga di Exor in Olanda e le acquisizioni estere di Pirelli e Italcementi, mentre ci si prepara a salutare anche Luxottica al termine del processo di integrazione con Essilor.

LE 10 AZIENDE ITALIANE AL TOP, MA POI NON COSI’ TANTO

I dieci big italiani nel quinquennio 2012/16 secondo R&S sono così Fca Italy, Leonardo, Saipem, Luxottica, Prysmian, Parmalat, Fincantieri, Prada, Buzzi Unicem e Cofide. Nel complesso, il loro fatturato 2016 è di 84 miliardi, in crescita dell’1,6% in dodici mesi. E qui cominciano le note dolenti. Le dimensioni, come di consueto, sono la prima questione aperta: le prime dieci aziende tedesche hanno dieci volte i ricavi delle colleghe tricolori (767 miliardi), le top 10 francesi 327 e nel Regno Unito 180 miliardi. E il gap si è allargato proprio negli ultimi anni: se l’Italia è cresciuta del 5,1% dal 2012, la Germania ha segnato +11,9%.

Tra gli altri limiti delle top italiane ci sono le esportazioni, in quota nettamente minore al resto dell’Europa. Il fatturato generato dalle esportazioni è infatti pari al 76,8%, meno dell’85,8% francese e dell’83,2% tedesco. La quota di personale all’estero è invece pari al 65,7%, dietro la Francia con il 70,7% ma davanti alla Germania con il 59,1%. Se non altro, è cresciuta l’occupazione (+7,2% sul 2012), anche se soprattutto all’estero (+11,2%) rispetto agli investimenti in patria delle altre nazioni.

Le big italiane sono inoltre maglia nera nei conti. Se gli inglesi fanno segnare un ebit margin del 18,4%, davanti a Francia (12,4%), Germania (8,8%), l’Italia è ferma al 3,2%. Stessi numeri per la redditività netta (Roe): 23,8% per le britanniche, addirittura -3% per le italiane. Sul podio dei margini si collocano Luxottica (15,1% l’ebit margin), Prada (13,9%) e Buzzi Unicem (12,8%). MA su 400 miliardi di utili delle prime 40 imprese Ue, ben 200 sono finiti in Germania, 103 in Gran Bretagna e 96 in Francia. E nel Belpaese: appena 4 miliardi in cinque anni, lo 0,9% del fatturato.

APPENA 4 MILIARDI DI RICAVI IN 5 ANNI

Resta la dipendenza dal sistema bancario per finanziare i bisogni, anche se sono in aumento le obbligazioni. I big italiani sono inoltre più liquidi, con un’incidenza della liquidità sull’indebitamento del 41,7%, che si paragona con il 36,6% dei peer francesi, il 23,6% dei britannici e il 13,4% dei tedeschi. I big italiani inoltre registrano il più basso tasso di investimento (6,2%), i tedeschi quello più alto (12,5%), anche se sono i più capitalizzati (merito quasi esclusivo di Parmalat, Prada e Fca Italy).

Nell’eterna dicotomia tra pubblico e privato, il settore privato batte lo Stato per redditività industriale (crescita del 7% a fronte di una retromarcia del 6,7% da parte dei gruppi pubblici). La supremazia è mantenuta dal privato anche per quanto riguarda occupazione, investimenti e dimensione internazionale, mentre il pubblico si prende la rivincita in termini di solidità finanziaria e distribuzione di dividendi. L’Italia, dunque, veleggia bene con le medie aziende, ma forse sconta un deficit manageriale nella gestione delle attività industriali e finanziare.

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Luxottica sarà la prossima azienda italiana a uscire dalla top 10 in seguito all'integrazione con Essilor