Se la «rivoluzione» digitale diventa un pericolo per le aziende italiane

A sostenerlo è Assintel, associazione che rappresenta le società IT italiane: il nuovo piano triennale dell'informatica "pubblica" favorisce la concorrenza sleale da parte dello Stato e delle multinazionali

L’agenda digitale è un pericolo per le aziende italiane. Altro che aiuto per il Paese. A denunciare i limiti del nuovo piano triennale per l’informatica pubblica, valore 6 miliardi di euro, è Assintel, l’associazione delle (circa 130 mila) aziende informatiche italiane, in audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni. Il problema? L’agenda digitale così com’è formulata al momento favorisce la concorrenza sleale da parte dello Stato e delle multinazionali.

L’AGENDA DIGITALE? UN PERICOLO PER LE AZIENDE ITALIANE

«Il sacrosanto input del risparmio nella PA ha causato effetti retroattivi distorsivi che hanno via via inquinato il mercato delle tariffe ICT e danneggiato i piccoli player», si legge nel testo presentato alla commissione. «La corsa al ribasso nei bandi di gara ha infatti favorito la sola partecipazione di pochi, grandi big dell’ICT, che possono permettersi di lavorare sottocosto, i quali danno poi i lavori in subappalto alle piccole imprese». Conseguenza: le aziende devono peggiorare la qualità dei servizi offerti e le condizioni di lavoro del personale.

Come aggiustare la situazione fatta salva la centralizzazione della spesa prevista nel nuovo piano? Serve una «rimodulazione dei parametri economici di partecipazione alle gare, in modo da dare uguali opportunità anche alle piccole imprese singole o aggregate», sostiene Assintel. «Su questo punto si veda anche la battaglia legale sull’identità digitale (Spid)», con la PA che farebbe concorrenza sleale erogando servizi informatici tramite le proprie società in-house (anche se viene smentita l’offerta di servizi commerciali da parte di questi soggett)i. «È come se utilizzassero i soldi dei contribuenti, tra i quali le aziende private ICT, per fare concorrenza sleale alle stesse aziende, inquinando di fatto le dinamiche del libero mercato».

Tra gli altri problemi la creazione di poli di conservazione dei dati – già offerti da società private, i tempi di aggiudicazione delle gare (due anni) e la gestione generale del sistema: «La spesa ICT nella PA tende a valorizzare la gestione dell’esistente e non l’innovazione», conclude Assintel.

© Riproduzione riservata