La Francia ci ruba le aziende: ecco come salvare il talento

Sono già 150 le imprese che hanno aperto sedi Oltralpe per sfruttare gli sgravi fiscali su ricerca e sviluppo

Magneti Marelli, Jalatte, Emmegi, Saati: nomi più o meno noti accomunati da un’unica passione… per la Francia. Sono solo alcune delle 150 aziende italiane che hanno scelto di delocalizzare o aprire nuove sedi poco al di là delle Alpi (per la maggior parte nella regione Provenza-Alpi-Costa azzurra) grazie alla politica economica di Parigi.

Incubatori e sgravi fiscali pesantissimi su ricerca, sviluppo e innovazione: ecco la molla che spinge le imprese italiane alla fuga. Solo Stati Uniti e Germania hanno “perso” di più: rispettivamente 5.500 e 3.641 lavoratori rispetto ai 2.500 italiani che hanno passato Ventimiglia.

AIUTI REALI. La spinta è concreta: 323.500 euro per chi sposta la ricerca sul terreno dell’egalitè, libertè, fraternitè. Ma merito anche dell’Agenzia francese per gli investimenti italiani, come racconta Repubblica.

Cinque persone dell’ambasciata contattano qualunque azienda dichiari di volersi espandere all’estero. E così la Francia sta diventando il polo più ambito da ricercatori, scienziati, ingegneri: posti di lavoro ad alto contenuto tecnologico che ne creano secondo la percezione statistica altri cinque ciascuno.

Come fa? Ignorando i limiti del patto di stabilità Ue e sforando il tetto del deficit (gli sgravi 2013 sono costati 5,8 miliardi di deficit). Una scelta che impoverisce ulteriormente chi rispetta i limiti dell’austerity come l’Italia. Il governo prova a rispondere all’attacco con 500 milioni di euro stanziati nella legge di Stabilità. Basteranno a trattenere anche una sola azienda?

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