La banca senza la banca

Pagamenti via smartphone, servizi di digital wealth management, firma elettronica e tanto altro ancora: l’affermazione del fintech – un mercato da 12 miliardi di dollari nel 2015 – sta rivoluzionando il ruolo degli istituti finanziari. Che avranno sempre meno sportelli, ma dovranno essere più vicini a clienti e imprese per sopravvivere

Oggi siamo tutti arrabbiati con le banche. Ma domani saremo tutti banchieri. E vedremo chi saprà fare meglio. Perché, dopo una lunga stagione di malversazioni e crack finanziari, che hanno spolpato azionisti e obbligazionisti e messo a dura prova l’economia dei Paesi avanzati, la rivoluzione tecnologica digitale si appresta a cambiare volto al mondo del credito. Siamo all’alba della banca diffusa e aperta, dove tutti i nodi della filiera finanziaria, clienti privati e imprese, non sono gerarchizzati, ma diventano protagonisti. È quel futuro preconizzato da Bill Gates nel “lontano” 1994, quando dichiarò che il mondo ha bisogno di servizi bancari e non di banche. Oggi basta uno smartphone per spedire e ricevere pagamenti, via sms, app o portafogli virtuali. È sufficiente collegarsi online per far impostare a un robot il proprio portafoglio investimenti e iscriversi a una piattaforma di crowdfunding per diventare azionisti di una start up o sostenere un nuovo progetto imprenditoriale. Tutto rigorosamente archiviato nella Nuvola e certificato da firma elettronica avanzata, controlli vocali e identificazione biometrica. In altre parole il core business del credito è low cost e a portata di tutti. Solo l’anno scorso gli investimenti in iniziative di fintech, l’industria che sposa finanza e tecnologia, hanno raggiunto quota 12 miliardi di dollari. E i primi tre mesi del 2016 parlano di più di cinque miliardi. La posta in gioco è quella montagna di pagamenti da 1.700 miliardi di dollari, che rappresentano ancora oggi il 40% dei ricavi totali del sistema bancario. Secondo l’agenzia di consulenza McKinsey, da qui al 2025 gli istituti di credito rischiano di perdere nel retail dal 10 al 40% del fatturato a causa della concorrenza delle fintech.

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12 miliardiSpese in iniziative di fintech nel 2015

1.700 miliardiPagamenti attraverso sistemi bancari

600 miliardiValore dei pagamenti mobili nel mondo

3 miliardiMercato dei finanziamenti alternativi al credito bancario

-10/40%Perdita di fatturato delle banche dovuta al fintech entro il 2025

422 milioniCarte di credito circolanti negli Usa

350 mila Utenti del servizi Jiffy di Sia per il trasferimento di denaro peer to peer

NUOVI STANDARDTutti in fila quindi, incluse le stesse banche, nel tentativo di definire nuovi standard per lo scambio di denaro, dove a prevalere sarà la disintermediazione e una società bancaria “liquida”. Questo non è un gioco a somma zero, dove un canale sostituisce l’altro, bensì è una trasformazione che porterà valore aggiunto per imprese e privati. Pensiamo alla tecnologia che sta dietro ai bitcoin, la moneta virtuale inventata da Satoshi Nakamoto troppo spesso al centro di truffe e scandali, e cioè la blockchain: funge da registro contabile negli scambi di denaro in criptovaluta peer to peer. Se riuscirà a imporsi come grande quaderno dove archiviare ogni transazione, non ci sarà più bisogno di enti centrali che certificano e regolano i mercati. E così ogni servizio a cittadini e imprese, dai mutui ai prestiti al pagamento delle bollette fino al trading, potrebbe funzionare in modo rapido, flessibile, sicuro e a bassissimi costi. Il contante è destinato presto o tardi a occupare un posto nelle teche dei musei di archeologia. Nei Paesi avanzati le monete di plastica sono già diventate il principale mezzo di pagamento. Negli Usa ci sono in circolazione 422 milioni di carte di credito attive per 700 miliardi di dollari di spesa l’anno. E i Paesi emergenti hanno abbracciato, prima di tutti, la moneta elettronica. Pensiamo alla app Peach in Kenya o a Wari in Senegal, che sono portafogli digitali attivati con il telefonino, strumenti indispensabili soprattutto per quei soggetti che non dispongono di un conto in banca. Già oggi i pagamenti mobili transano più di 600 miliardi di dollari l’anno: in futuro, infine, ci saranno più servizi bancari e meno banche, proprio come preconizzava Bill Gates. L’e-commerce ha fatto da apripista, abituandoci a saldare i conti con carte prepagate, di debito e di credito. Ma la vera scommessa è rappresentata dai pagamenti in negozio, al supermercato, all’idraulico. Anche se resta da capire quali saranno gli standard tecnologici alla base dei pagamenti del futuro (sms, Nfc, piattaforme online), quale sarà il sistema di certificazione dominante (controllo dell’iride, vocale o firma elettronica), e il cloud dove archiviare le transazioni, il dado della moneta virtuale è ormai tratto. E non si tornerà indietro. Ai nastri di partenza nella nuova corsa all’oro ci sono davvero tutti. Dai big dell’It, come Google, Apple, Samsung (e presto anche Facebook), agli operatori tradizionali (banche, Visa, Mastercard ecc.) fino a migliaia di start up innovative. La diffusione di Pos contactless, sia negli Usa che in Europa, permette già di utilizzare il proprio cellulare come una carta di credito, semplicemente avvicinando lo smartphone al terminale.

AIUTO TRA PARI L’altro grande capitolo è l’invio di denaro peer to peer tramite applicazioni. Il successo in America – 10 miliardi di dollari di transazioni nel 2015 – della start up Venmo (gruppo Paypal) si basa sul fatto che con una sola app possiamo scambiarci denaro o pagare il conto al ristorante in modo rapido ed economico, anche se abbiamo dimenticato il portafoglio a casa. Pure in Italia il settore è in fermento. Nel nostro Paese stanno prendendo il largo le start up Satispay e 2 Pay, il servizio Jiffy di Sia – utilizzato da Ubi, Mps, Intesa Sanpaolo, CheBanca! e che ha già superato i 350 mila utenti – Tinaba del gruppo Sator e Hype di Banca Sella, che ha appena siglato un accordo con Ingenico per portare il servizio in 80 mila negozi italiani. E i nuovi servizi peer to peer potrebbero anche mandare in pensione i bonifici tradizionali, che sono più costosi e più lenti, impiegando almeno un giorno per essere accreditati. Per le aziende, le app di pagamento mobili stanno diventando una grande opportunità. Non a caso nella grande corsa a questo ricco mercato, il grande vincitore si chiama Starbucks. Mentre i big dell’It faticano a imporre i propri portafogli elettronici, la catena di caffetteria ha sbancato il settore raggiungendo il 20% degli incassi con la moneta elettronica. E ce l’ha fatta grazie al marketing vecchio stile: chi paga con la app Starbucks salta la coda e riceve sconti e promozioni.La stretta del credito, solo in Italia, è costata 11 miliardi di euro in quattro anni. Questa è la stima di Confartigianato, secondo cui i prestiti alle piccole imprese si sono ridotti di un quinto. Le cattive acque in cui navigano le banche hanno chiuso i rubinetti del credito, aprendosi solo ai soggetti più liquidi e meno rischiosi. Ora la rivoluzione digitale promette di cambiare le cose. Perché la banca diffusa potrà venire in soccorso delle aziende attraverso finanziamenti tra privati.La grande novità si chiama equity crowdfunding, ovvero la possibilità da parte di privati di acquistare azioni di piccole imprese non quotate e partecipare allo sviluppo di singoli progetti. Diversamente dalle piattaforme di finanziamento collettivo in crowfunding, la sua versione equity (quindi azionario) è strettamente sorvegliata dai regolatori per evidenti ragioni di rischiosità. Oggi è un mercato riservato agli investitori più solidi, ma conta già quattro miliardi di dollari l’anno in erogazioni. Sul fronte dei prestiti, il fintech ne pensa una al giorno. Solo in Europa il mercato dei finanziamenti alternativi (dal microcredito al lending peer to peer) vale tre miliardi di euro ed è concentrato per il 73% in Uk. Le società di lending peer to peer l’anno scorso hanno generato un flusso di finanziamento per circa 2 miliardi di dollari.

CAMBIARE IDENTITÀ(Doris Messina, responsabile fintech di Banca Sella)

GUADAGNARE CON I ROBOTAnche il risparmio gestito è all’alba di una rivoluzione. Il settore, sui cui pesano gli alti costi della rete e dei promotori, sembra volere abbracciare la consulenza dei robot advisor. In sostanza di tratta di piattaforme gestite da software intuitivi che profilano il cliente sulla base del rischio, costruiti intorno a un obiettivo preciso (pensione, reddito integrativo o futuro dei figli) e così compongono un portafoglio investimenti. In Italia hanno aperto la strada pionieri come Money Farm e Advise Only, ma poi sono arrivate la Online Sim (gruppo Ersel), che ha appena lanciato Robo Box, Banca Sella, CheBanca!, Giotto Sim, Ib Quant di Invest Banca. In America è già un’industria che vale 300 miliardi di dollari e che potrebbe valere, secondo una stima fatta di A. T. Kearney, 2 mila miliardi nel giro di pochi anni. Anche in questo caso non si tratta di un mercato di sottrazione, bensì di espansione. I robottini del risparmio gestito si adattano bene alle esigenze dei piccoli risparmiatori che non risultano appetibili ai private banker o alle grandi reti, e spesso acquistano prodotti che non capiscono fino in fondo. Nasce, quindi, un nuovo mercato. Per capire che la faccenda non è un film di fantascienza, basti vedere come BlackRock, il big dell’asset management con quasi 5 mila miliardi di masse gestite, ha staccato un assegno da 600 milioni per acquisire FutureAdvisor, una nuova società degli algoritmi finanziari, mentre Vanguard e Charles Schwab li hanno sviluppati in casa. Ma poi ci sono società indipendenti come Wealthfront e Betterment. Mentre i broker e consulenti tradizionali chiedono un minimo dell’1% come commissione annuale, per questi servizi, in genere, si paga un abbonamento annuale, a prescindere dalla somma che si investe, oppure un’advisory fee che va dallo 0,5% allo 0,7% in base alla consistenza di portafoglio.

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