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Immigrazione, pro e contro: cosa abbiamo da guadagnare e cosa da perdere

Come sempre, in Italia, il dibattito su migranti e immigrati si sviluppa in base a posizioni ideologiche, costruzioni astratte che non tengono conto della realtà

Tema: Immigrazione, pro e contro. Forse l’unico modo di affrontare un argomento del genere è quello di andare dritti al sodo. Gli imponenti flussi migratori che da anni si registrano verso l’Europa, Italia in testa, aprono delle questioni di enorme portata che non sono comprensibili attraverso il dibattito guidato dalle logiche di bottega dei vari partiti.

Quale posizione assumere allora davanti a questo terremoto sociale e demografico in atto? Un governo, di qualsiasi colore e orientamento, ha il dovere di decidere non seguendo l’ideologia ma ragionando in base agli interessi, i bisogni e le necessità del Paese. In poche parole, meno chiacchiere e più calcoli.

I costi dell’immigrazione in Italia

Che fare, dunque? Per prima cosa si devono disporre le carte sul tavolo, capire quali sono i costi e quindi chiedersi se l’Italia possa sopportarli, e poi valutare i benefici e infine chiedersi se il saldo sia positivo e o negativo. La posizione finale dovrebbe essere il risultato di questa operazione.

Il conto economico

Aprire le porte agli immigrati ha un costo: sociale, politico ed economico. L’ultimo è quello più chiaro: già la semplice attività di pattugliamento e soccorso in mare ha un costo enorme per le finanze dello Stato. Poi ci sono le strutture d’accoglienza, il personale che le gestisce, quello sanitario che verifica che non insorgano epidemie, le forze dell’ordine, i pullman per i trasferimenti, gli assistenti sociali, i traduttori ecc…. E questo solo per quanto riguarda i migranti che arrivano dal mare. Quant’è? Nel 2016, l’Italia ha speso 3,7 miliardi di euro ma le proiezioni contenute nel Documento di Economia e finanza, presentato lo scorso aprile, dicono che, entro la fine di quest’anno, il governo avrà speso un miliardo in più dell’anno scorso.

L’impatto sul mercato del lavoro

Un altro costo sociale è quello relativo all’impatto di tante nuove e forti braccia disperate sul mercato del lavoro italiano: se cresce l’offerta di lavoro, senza che ne aumenti la domanda, vuol dire che chi lo offre, cioè il lavoratore, offre qualcosa che vale di meno perché facilmente sostituibile. Certo, in genere i settori in cui gli effetti di una forte immigrazione si sentono di più, sono anche quelli meno qualificati o specializzati. Perché pagare e contrattualizzare un lavoro italiano per fare certi mestieri quando ci sono degli stranieri che lo farebbero per la metà o addirittura per un terzo, e senza lamentarsi?

In realtà, andrebbe fatta una distinzione tra il lavoro regolamentato e quello non regolamentato. Nel secondo, il datore di lavoro non è libero di giocare con i salari come vuole, nel primo sì. Un certo agricoltore può scegliere se far raccogliere alle arance a un italiano che chiede 10 euro l’ora o a un senegalese che chiede 10 euro al giorno.

Se i nuovi arrivati, poi, non trovano lavoro, il quadro non migliora, perché a quel punto diventano un costo per la collettività, in termini di sussidi.

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Immigrazione: i vantaggi per l’Italia

Ma gli immigrati sono solo un costo? Certo che no. Il loro afflusso ha consentito di ridimensionare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, prodotto dalla combinazione tra l’allungamento della vita media e la diminuzione del tasso di natalità. Questo cosa vuol dire? Che sono gli immigrati che consentono a molti pensionati italiani di godersi la propria pensione. Diversamente da quanto si crede comunemente, la pensione percepita non è il frutto dei contribuiti versati, non dai propri. Quelli sono serviti, invece, a pagare le pensioni di coloro che avevano smesso di lavorare. E così, allo stesso modo, oggi le loro pensioni sono pagate da altri lavoratori. Ma se la popolazione italiana invecchia, vuol dire che un crescente carico pensionistico grava sulle spalle di sempre meno persone. Gli stranieri arrivati in Italia, almeno quelli regolarmente assunti e inseriti nel sistema economico, hanno aiutato i loro colleghi italiani a farsi carico delle pensioni dei loro (degli italiani) genitori e nonni.

I lavoratori stranieri “pagano” le pensioni a 700 mila italiani

Uno studio elaborato dalla Fondazione Leone Moressa e diffuso lo scorso ottobre, rivela che il contributo dei 2,4 milioni di stranieri (sui 5 milioni complessivi) stabilitisi in Italia vale il 9% del nostro Pil, cioè 131 miliardi. Il loro lavoro serve a pagare le pensioni di circa 700 mila italiani. Inoltre, essendo i lavoratori stranieri più giovani – in media hanno 33 anni, gli italiani 45 – non pesano se non per un 2% sulla spesa pubblica.

Quando l’immigrazione è “qualificata”

C’è un altro aspetto da considerare: esattamente come gli italiani che scappano all’estero portano con sé la loro formazione, che ha un valore importante perché è il frutto dell’investimento fatto dallo stato per garantire un’istruzione ai suoi cittadini, allo stesso modo i nuovi italiani portano con sé una dote. Saper intercettare gli immigrati più qualificati, quelli capaci di contribuire di più allo sviluppo del Paese, sarebbe una strategia vincente. La Germania, per esempio, lo starebbe facendo. Nel 2015, il Sole 24 Ore si è chiesto come mai Berlino fosse molto più ben disposta nei confronti dei siriani. Una delle risposte è che questi si integrano più facilmente ma soprattutto sono più scolarizzati.

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