Reinventare il futuro: intervista a Federica Marchionni, Ceo di GFA

L’industria della moda è chiamata a rinnovare i propri modelli di business perché la crescita sia a beneficio di tutti, anche del Pianeta. La strada tracciata dalla Global Fashion Agenda, non profit leader globale nella sostenibilità, guidata dalla manager italiana ex Ferrari, D&G, Land’s End e Seeco

La moda ha raggiunto il punto di non ritorno. L’intero settore a livello globale è stato in grado di generare emissioni di carbonio pari a quelle di Francia, Germania e Regno Unito messi insieme e, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, il tessile è tra le principali industrie per consumo di risorse dietro ad alimentare, immobiliare e trasporti. Numeri resi noti dal recente rapporto realizzato dalla non profit Global Fashion Agenda e ribaditi in occasione del suo Copenaghen Fashion Summit+, il principale appuntamento in Reinventare il futuro materia di sostenibilità della moda. È necessario invertire la tendenza o sarà impossibile centrare gli obiettivi di dimezzamento delle emissioni da qui al 2030. Il lavoro della Global Fashion Agenda è proprio questo: lavorare dietro le quinte, affiancare le aziende del settore per accelerare la transizione verso una moda più ecocompatibile.A capo di questa realtà globale c’è Federica Marchionni, una self made manager che ha fatto dell’ambizione la sua vera forza, arrivando a ricoprire ruoli di vertice in azienda di primaria importanza: è stata vicepresidente in Ferrari, presidente di Dolce & Gabbana Usa e prima italiana a dirigere una società quotata a Wall Street, la Land’s End, società americana di abbigliamento da 1,5 miliardi di dollari di fatturato. Un’ascesa sfolgorante, che ha registrato anche battute d’arresto – raccontate nella sua autobiografia Una testa piena di sogni (Roi Edizioni) – e che ora l’ha portata a giocare un ruolo di primo piano nella transizione sostenibile della moda.

Cosa l’ha spinta a sposare il progetto della Global Fashion Agenda?È stata una scelta maturata al termine di un percorso costruito nel tempo. Direi che è una sfida arrivata al punto giusto e al momento giusto. Dopo aver visto quanto stava accadendo in Italia e in Cina a causa della pandemia (Marchionni nel 2020 si trovava a Pechino, come International Ceo dell’e-commerce di alta gamma Secoo, ndr) dentro di me è maturata la voglia di fare qualcosa che andasse al di là del produrre un bene o un servizio. Volevo agire il cambiamento e restituire qualcosa di quanto avevo ricevuto durante la mia carriera.

Nel 2015 lei entra in Land’s End alla quale imprime una svolta in chiave sostenibile. Una strategia che allora non era così diffusa.Nella mia vita ho sempre cercato un approccio il più sostenibile possibile con i colleghi, i consumatori o i proprietari delle società. Ad esempio, il mio primo progetto in Lands’ End ho deciso di lanciarlo nella Giornata mondiale della Terra. Si chiamava #Landsfriendly, un’iniziativa dedicata appunto alla sostenibilità che prevedeva l’impegno di ridurre l’emissione di carbonio e la volontà di creare un impatto positivo. In azioni concrete consisteva in un accordo con la National Forest Foundation americana per piantare un milione di alberi e la riduzione dei cataloghi stampati, che all’epoca rappresentavano il canale principale per spingere le vendite. In quegli anni, la sostenibilità non era ancora una priorità, sicuramente non era entrata nella mente dei consumatori, anche se c’erano aziende e organizzazioni all’avanguardia. Volendo portare innovazione, ho fatto molta fatica e sarebbe stato più conveniente – anche personalmente – accettare progetti e programmi che non prevedono un immediato ritorno. Oggi, però, ricevo numerosi riconoscimenti perché si sono resi conto che la direzione intrapresa era giusta e ne vado orgogliosa. Il cambiamento fa un po’ paura, ma per me la vera leadership è avere il coraggio di prendere direzioni giuste, che magari non vengono apprezzate subito, ma lo saranno in futuro.

La pandemia ha dato una svolta al settore della moda?Sicuramente ha contribuito ad accelerare molti processi, come per l’e-commerce. Solo in questi ultimi mesi è stato realmente compreso che vendere online è imprescindibile per un’azienda moderna. Dal punto di vista del significato, ha fatto scattare un maggiore senso di responsabilità. La moda ha compreso che era arrivato il momento di reinventarsi. Spero veramente che questo cambiamento possa avvenire.

Il cambiamento richiede un percorso non indifferente. A che punto è l’industria del fashion?Non tutto il settore è allo stesso punto, ci sono aziende che si stavano già muovendo positivamente su questo fronte. C’è ancora moltissimo che si può e si deve fare! Per alcuni aspetti la realizzazione è più veloce, per altri è richiesto un processo più complesso e lungo, come per la ricerca e lo sviluppo di fibre più sostenibili. È necessario, però, credere in questi progetti. Magari su dieci se ne svilupperanno solo cinque, ma quei cinque possono cambiare l’intera industria. Riguardo le emissioni, diversi marchi fanno già un buon lavoro a livello corporate e retail, ma non hanno ancora il controllo dei prodotti su tutta la catena del valore ed è lì, non “a valle”, che si concentra il 70% delle emissioni dell’industria. Il concetto di circular economy nella moda è solo agli albori.

Ritiene, quindi, possibile adottare un’economia circolare anche nel fashion? Sembra difficile pensare che, soprattutto a livelli medio-alti ed esclusivi del settore, si possa pensare a un riutilizzo dei capi e dei materiali…È in questa direzione che dobbiamo lavorare. Per certi versi il concetto di sostenibilità nell’alto di gamma è più sviluppato, perché il prodotto di qualità permette un riutilizzo continuo e duraturo. Il punto è arrivare a far sì che il consumatore accetti di cederlo per aiutare l’intero ecosistema. La sharing e la circular economy rappresentano grandi opportunità per la moda, ma devono cambiare i modelli di business. Anche in questo modo può esserci profitto, e le aziende lo hanno capito, ma ci vuole tempo.

In occasione del vostro Copenaghen Fashion Summit+ avete contrapposto il concetto di prosperità a quello di crescita.Non è la crescita economica che vogliamo mettere in discussione. Vogliamo, però, che questa sia a beneficio di tutti, a partire dal Pianeta e dai suoi abitanti. Non possiamo più permetterci di creare nuove emissioni senza pensare alle conseguenze. Come Global Fashion Agenda mettiamo in discussione alcune strategie orientate alla crescita, vedi la pratica degli sconti e promozioni, che creano ritmi di consumo e produzione eccessivi. C’è bisogno che qualcuno abbia il coraggio di sollevare la questione. La domanda che facciamo è: vogliamo prosperare o solo crescere? Si possono realizzare entrambi gli aspetti adottando però un nuovo business model.

A livello pratico, cosa si potrebbe fare?Il più grande impatto arriverebbe dall’utilizzo di energia rinnovabile lungo l’intera catena produttiva ed è in questa direzione che stiamo lavorando. Un altro aspetto è legato alla tecnologia. Oggi abbiamo a disposizione gli algoritmi, usiamoli per conoscere la domanda reale di un prodotto ed evitare un’over production. Perché va bene adottare un’economia circolare, ma iniziamo a immettere meno prodotto. Per fortuna, una cosa è migliorata nel tempo: l’invenduto non viene più incenerito, cosa che in precedenza produceva ulteriori emissioni.

A chi spetta il passo decisivo? Si dice che senza la sensibilità di chi compra, dei consumatori, forse le aziende non avrebbero puntato tanto sulla sostenibilità.I veri pionieri – e noi lavoriamo con tanti di loro – sono quelli che hanno compreso in anticipo le necessità e costruiscono l’agenda. L’approccio sostenibile è partito da chi ha saputo leggere la sensibilità di una nicchia di persone, che poi si è diffusa. Non dimentichiamoci, però, il ruolo degli investitori, forse ancora più importante dei consumatori. Perché oggi per chi investe un’azienda sostenibile ha un certo valore, quella non sostenibile un altro.

* Intervista pubblicata su Business People di marzo 2022

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