Non solo cappotto

La praticità vince sulla formalità nei capispalla maschili del prossimo inverno. Che rivisitano i modelli iconici del casual wear, dal bomber al parka, in versione più urbana e meno sportiva. Tra i protagonisti della stagione, ecco il nipote elegante del vecchio montgomery

Gli stilisti ci provano sempre, è il loro mestiere. Tutti gli inverni propongono cappotti formali e strutturati da portare, più o meno lunghi, sopra gli abiti: d’altra parte a una collezione completa non può mancare il coat elegante. Ma l’attualità, come la semplice osservazione delle strade cittadine, racconta qualcosa di diverso, cioè che il dress code è oggi molto meno rigido di un tempo e il brillante amministratore delegato non si giudica dal taglio del Crombie (il classico coat al ginocchio) o dalla qualità di cachemire del Chesterfield (il cappotto lungo mono o doppio-petto). Infatti è ormai entrato nell’uso il piumino sopra l’abito, magari sagomato e asciutto come quello di Conte of Florence, ed eventualmente il parka rivisitato in versione urbana se fa molto freddo, anche per andare in giacca e cravatta a un consiglio di amministrazione o a una lezione accademica come il beniamino delle it girl di Manhattan, impersonato da Penn Badgley nel serial Gossip Girl. Tanto più se il traffico cittadino e la spending review fanno preferire la moto alla berlina, almeno nella fascia d’età 20-50 anni. Ma soprattutto il tempo libero, più o meno sportivo, è riscaldato da capi informali che fino a qualche anno fa si chiamavano casual wear e oggi non giungono mai a caso, anzi vengono proposti in varianti sempre più stylish. Lo dimostrano i protagonisti del grande e piccolo schermo come l’australiano Chris Hemsworth, che una volta smessa la corazza di Thor, il supereroe dei film della Marvel basati sul famoso fumetto, calza le sneakers e infila un pratico e caldo giaccone doppio-petto, il peacot o giacca da marinaio proposto in questa stagione anche da Herno, per concedersi con la compagna e la prole un pomeriggio di shopping. Sulla stessa scelta si orienta Bradley Cooper, l’attore che il magazine People ha definito «the sexiest man of the wold alive», così come Eddie Redmayne, la giovane star dei teatri inglesi che al grande pubblico è noto come Marius del film musicale Les Miserables, adottando però lo short coat con una compostezza British che manca ai colleghi d’Oltreoceano.

LA RISCOPERTA DELLA GIACCA MILITARE

Anche i primi dati di vendita delle grandi città come Londra e New York, dove il freddo si fa sentire prima che in Italia, e di conseguenza gli acquisti invernali iniziano prima, premiano per la stagione entrante i bomber e i giubbini di pelle, mentre i blog di tendenza sembrano scoprire oggi, o almeno riscoprire, la funzionalità e il fattore protettivo del parka o della giacca militare. In realtà si tratta di capi con una storia molto lunga, che nella maggior parte dei casi parte dal periodo bellico quando si rese necessario fornire agli ufficiali di trincea, alla marina e all’aeronautica militare, capi protettivi ma confortevoli nei movimenti. Il parka che Rock Hudson indossa nel film Base Artica Zebra (1968), per esempio, e che oggi viene riletto in diverse declinazioni più o meno “active” da brand come Tommy Hilfiger e Diesel, è parente stretto dell’anorak inuit e fu realizzato durante la Seconda Guerra Mondiale come capo antivento dotato di cappuccio e imbottitura in pile, ma venne poi perfezionato per la guerra di Corea (1950-53) quando, togliendo l’imbottitura, diventò una specie di impermeabile adatto al clima monsonico. Dopo il conflitto il movimento giovanile inglese Mod, abbreviazione di Modernist, sfruttò l’eccedenza di abbigliamento militare disponibile a poco prezzo e il parka tornò sotto i riflettori, in coppia con la Lambretta, per affermarsi definitivamente alla fine degli anni ’70 quando gli Who lo scelsero, corredato di toppe e spillette, per la copertina del loro album Quadrophenia. Caratterizzato dalla doppia chiusura con cerniera e bottoni e spezzato dalla coulisse in vita, il parka arricchisce ancora oggi le collezioni di moda maschili con le caratteristiche antivento che lo hanno contraddistinto fin dall’inizio e arricchito da imbottiture staccabili in vari materiali per adattarsi a vari climi.

DAL GUARDAROBA DEI PILOTI

Dal guardaroba dei piloti militari anni ’50 deriva invece il bomber, il giubbotto con il collo e il fondo in maglia corredato da tasca sulla manica adottato nei Seventies anche dagli skinhead e dai buttafuori delle discoteche, per diventare poi una sorta di divisa del personale di sicurezza come i rangers. Alleggerito nei pesi, ingentilito nelle forme e schiarito nei colori, il blouson è il cugino elegante del bomber: in cotone, con collo rialzato e polsini in maglia, maniche a raglan e tasche con aletta, è diventato un’icona grazie al mito spericolato di Steve McQueen, inseparabile dal suo Baracuta (dal nome del brand di Manchester che lo produceva) non solo in sella a una moto, come nella famosa copertina di Life del 1963, ma anche sul set. Senza contare che tra i fan del blouson figurano diversi presidenti americani tra i quali John Fitzgerald Kennedy, Bill Clinton e George W. Bush, ma anche molti postini, pompieri, fattorini e parcheggiatori. La praticità del giubbetto ha infatti un fascino trasversale che ha conquistato anche i Clash nel loro concerto a Times Square nel 1981, e tutt’ora, anche senza i clamori delle platee, popola il quotidiano maschile a tutte le latitudini. Il più aristocratico dei giacconi informali è però il Barbour, il selvatico capospalla verde in tela cerata e colletto in velluto a coste che, nato per i cacciatori e i pescatori delle Highlands, ha ottenuto dalla regina Elisabetta nel 1982 il Royal Warrant (il diritto dato ai fornitori ufficiali della Corona di usare lo stemma reale sui loro prodotti), e nel 1987 anche il principe del Galles ha concesso il proprio sigillo. Gli armadi della tenuta di Balmoral infatti, dove i reali inglesi si dedicano alle attività all’aria aperta senza troppo badare all’eleganza, contengono Barbour di tutte le età e di tutte le misure, compreso quello rattoppato di Charles e forse anche quello appartenuto a Lady Diana.

DAI DESERT AI BEATLE BOOTS

Non c’è paragone con le performance richieste ai soldati in Africa durante la seconda guerra mondiale, ma anche per i meno faticosi spostamenti dall’auto all’ufficio dei contemporanei maschi urbani la preferenza cade spesso su scarpe robuste e leggere come le Clarks, dette anche desert boots. Gli scarponcini in camoscio allacciati bassi con suola di gomma o para sono tra le scarpe più confortevoli che esistano, perché create da un’azienda già nota per le sua calzate adattabili al piede. Quando anche l’Esquire, magazine americano storico dello stile maschile, le ammise nel guardaroba del preppy negli anni ’50, le Clarks divennero assai popolari, con punte di notorietà che toccarono il massimo tra i ‘70 e i ‘90, per resistere anche oggi con piccole varianti rispetto alle originali. Sul medesimo schema costruttivo Napapijri le irrobustisce come scarponcini, alzando l’allacciatura fino ad abbracciare tutta la caviglia, mentre Nero Giardini fonde la morbidezza del camoscio con la flessibilità della sneaker, proponendo modelli ideali per un outwear casual ma non trascurato. Più pesanti sono invece i chukka boots, gli scarponcini stringati in pelle con carrarmato che molti inseriscono nelle loro collezioni. Un’alternativa sobria agli anfibi adolescenziali. Tornano infine i dress boots, con le fibbie laterali, e i beatle boots, gli stivaletti in pelle nera con elastici laterali e punta sfilata. Se ne sono visti diversi in passerella, anche sotto abiti da gentleman.

MONTGOMERY PROTAGONISTA

Il grande ritorno di questa stagione spetta però al montgomery, visto sulle spalle di diversi fashion editor e wannabe in attesa ai cancelli delle sfilate maschili, tenutesi tra Milano, Londra e Parigi, ma anche in passerella. Legato all’immagine del generale Bernard Montgomery, che figura nel manifesto pubblicitario anni ’50 della ditta Gloverall, il cappotto di lana pesante idrorepellente, originaria di una città belga (Duffel) vicina ad Anversa (da cui l’altro nome duffle coat), era inizialmente in dotazione alla marina inglese e infatti compare nel classico film di guerra navale Mare crudele (1953). La caratteristica allacciatura ad alamari, olivette in legno di corno infilabili nei lacci ad anello, è stata inventata perché facilmente utilizzabile anche con le mani intorpidite dal freddo e pare derivi da un sistema rudimentale rimediato dai pastori belgi con ciò che avevano a disposizione. Come nel caso del parka, anche il montgomery entrò nell’uso civile perché dopo la guerra era disponibile in quantitativi eccedenti e rappresentava un’alternativa economica e molto calda ai logori cappotti di cammello; questo aspetto gli conferì un’accezione democratica, da “uomo della strada”, come voleva sottolineare lo scrittore e regista francese Jean Cocteau quando lo indossava nei caffè letterari. Il gusto attuale tuttavia esige un livello di stile che non aveva nemmeno il montgomery di David Bowie ne L’uomo che cadde sulla terra, come sembra aver capito molto bene il brand Manuel Ritz. Ma anche Tommy Hilfiger e Burberry Prorsum, che ne hanno inseriti diversi, più asciutti e accessoriati degli originali e molto glamour, nella collezione Autunno/Inverno 2013-2014. Le innovazioni riguardano i tessuti, più raffinati e compatti della primitiva lana belga, i colori, dal verde sottobosco al blu navy fino a tutte le sfumature di nero e marrone, e la vestibilità decisamente più sagomata nelle diverse taglie. Durante il secondo conflitto mondiale invece il montgomery era in dotazione della truppa in un certo quantitativo e in una sorta di one size che più o meno doveva andare bene a chiunque ne avesse bisogno. Insomma era una specie di sacco informe con cappuccio e alamari. L’oversize d’altra parte non è proprio contemplato dalla tendenza attuale: il trait d’union tra i giacconi presentati dagli stilisti è il fit su misura. Le lunghezze si accorciano come nei Sixties tra i giubbotti di Paul Smith e di Hermès, le ampiezze si riducono nei piumini di Louis Vuitton. Le cinture disegnano la figura nelle giacche imbottite di Belstaff e nei topcoat di Corneliani e Dior, maison che insiste su questo dettaglio anche sopra il classico suit. Variazioni sul tema parka da Iceberg, cappotti ibridati da cerniere e cappucci sportivi da Emporio Armani. Ma per chi vive in climi temperati e non ha bisogno di capi particolarmente pesanti la soluzione ideale è il nobile cardigan di lana, visto anche nelle vetrine dei marchi più young. Il riferimento numero uno è sempre il jaquard di Missoni, che ne ha fatto un trademark negli anni ’80, magari con l’aggiunta (all’evenienza) di un piumino senza maniche. Se fossero esistiti i piumini nella sua epoca, anche George Brummel avrebbe approvato.

QUANDO LE TASCHE NON BASTANO

Zip, fibbie, scomparti. La borsa maschile deve essere pratica e ricca di spazi separati per chiavi, portafogli, telefonino, ipad, agenda, documenti e quant’altro: agli uomini non piace frugare in una tracolla informe, come capita spesso alle donne, e quindi rinunciano volentieri al design lineare e pulito a favore di una maggiore funzionalità. I manuali tradizionali di bon ton non prevedono in città appendici portaoggetti per il vero gentiluomo, eccetto la cartella a mano o la doctor bag per i medici, ma le giovani generazioni hanno ormai sdoganato lo zaino, fedele compagno dei tempi scolastici, anche per le professioni creative o meno formali. Intercettata la tendenza, molti brand se ne sono impadroniti presentando modelli eleganti nei materiali e contenuti nelle forme, come quelli di Berluti e Serapian, che spesso si vedono anche sulla schiena di business men in giacca e cravatta. Se poi la giornata prevede diversi impegni e varie occasioni, magari con cambio di scarpe o di accessori senza passare per casa, la ventiquattr’ore è d’obbligo. Quando dopo il lavoro è prevista la partenza diretta per il week end, infine, è inevitabile la sacca. Praticissima e leggera, ma decisamente sportiva, quella impermeabile di K-way.

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