Dal fast food al food tech

Il settore vale complessivamente 169 miliardi di euro, 30 solo in Europa, eppure la nostra Penisola attrae appena l’1% dei capitali. Questo è un treno che il made in Italy non può permettersi di perdere

Il made in Italy del food potrebbe esaurirsi in un tris d’as­si alquanto scontato: pizza, pasta e gelato. Così ci conosce il mondo e così rischiamo di farci ricordare (o dimenticare) se non accelereremo con l’innovazione. La creatività e l’estro non sono più sufficienti per sventolare il tricolore nelle ta­vole d’Oltreconfine, ci vuole un cambio di passo. Il treno da prendere è quello della tecnologia. Le opportunità più interes­santi provengono, infatti, dal settore dell’agri-food tech, dove una pletora di start up punta a proiettare l’intera filiera verso un futuro solido e redditizio. Stando alle stime fornite da Valoral Advisors, nel recente report 2018 Global Food & Agriculture Investment Outlook, dal 2005 a oggi sono stati investiti oltre 73 miliardi di dol­lari. Un trend in crescita ovunque, soprattutto in Europa, dove i dati forniti da Five Seasons Ventures e Dealroom.co conferma­no investimenti per 6,5 miliardi di euro dal 2013 a cui si aggiunge un miliardo speso quest’anno. Numeri che fanno sorridere molti, ma non la Penisola. Le nostre start up hanno attirato appena l’1% dei capitali, bruscolini in confronto alla Germania (ben il 45%), la Gran Bretagna (26%) o la Francia (8%). Le cose vanno un po’ me­glio se si guarda al numero di round, dove il nostro Paese sale a quota 9%, dietro a Gran Bretagna (20%), Francia (17%), Germania e Spagna al 12%. Insomma, la vivacità non manca, ma come sem­pre non siano noi i protagonisti.

A vivere un momento d’oro nell’articolato mondo delle nuo­ve aziende dell’agri-food tech è il comparto del delivery, delle consegne a domicilio. Un fenomeno globale. Sto­rie di successo si registrano ovunque, ma a sorpresa è l’Asia ad avere i numeri più abbaglianti con protagonisti del calibro di Miss Fresh, la start up cinese che solo nell’ultimo round finanziario ha racimolato ben 450 milioni di dollari di investimenti con capitali da Goldman Sachs e Tencent Holdings. La società che attualmen­te consegna prodotti freschi in 20 città del Paese, ha dichiarato di voler raggiungere 100 località e 100 milioni di famiglie. Ma la regi­na degli unicorni è Ele.me, l’azienda fondata da Mark Zhang nel 2008, che dopo aver attratto 6 miliardi di capitali è stata acquisita nell’aprile dell’anno scorso dal Gruppo Alibaba per 9,5 miliardi di dollari. La prossima start up che potrebbe fare il botto è l’indiana Swiggy che proprio poco prima dell’ultimo Natale ha visto entra­re nelle sue casse 1 milione di dollari di nuovi investimenti. Nomi che conviene tenere d’occhio perché non è escluso che finisca­no per diventare casi di successo internazionali come lo sono sta­ti Just Eat, Deliveroo o Uber Eats. Lo spazio d’azione non è, infatti, ancora saturo. Lo dimostra il fatto che 3,1 miliardi di euro investi­ti in Europa dal 2013 sono andati proprio ad aziende di consegna a domicilio, ingrossando i ranghi del comparto con nuovi player come Delivery Hero, HelloFresh e Takeaway.com.

Non è da meno la nuova agricoltura, quella 4.0. Qui le te­ste di serie sono poche, ma non mancano i big. Tra que­sti c’è la start up Indigo Agriculture, fiorita nel terreno fertile di Cambridge (Massachusetts), specializzata nella produ­zione di sementi naturalmente resistenti con il supporto di tec­nologie di machine learning e data analytics. L’obiettivo della so­cietà, capitanata dall’imprenditore seriale David Perry, è quello di permettere ai contadini di realizzare piantagioni di cotone, gra­noturco, soia e riso con piante in grado di resistere meglio alle in­temperie e ai parassiti in modo del tutto naturale, grazie a specia­li trattamenti a base di microbi. Dopo l’ultimo investimento di 250 milioni di dollari da parte dei venture capital, ora l’azienda vie­ne valutata 1,4 miliardi del conio dello Zio Sam. Visto che entro il 2050 la produzione mondiale di cibo dovrà essere aumentata del 70% per poter sfamare una popolazione che si aggirerà introno ai 10 miliardi di creature, in molti si stanno rimboccando le maniche per contribuire alla causa. Tra questi c’è la start up israeliana Tara­nis, specializzata in agricoltura di precisione grazie all’utilizzo di sofisticati algoritmi messi a punto con la raccolta e l’analisi di un enorme numero di dati. Lo scorso novembre l’azienda ha porta­to a casa un round da 20 milioni di dollari. Sono invece oltre 100 i milioni incassati fin qui da Farmes Edge. L’azienda candese spe­cializzata in sistemi di elaborazione dati per applicazioni di pre­cision farming ha da poco siglato un importante accordo con il gruppo Cnh Industrial, che consentirà ai clienti di New Holland e Case IH di utilizzare il sofisticato sistema FarmCommand. Questa sorta di agronomo nel cloud analizza, valuta e suggerisce le migliori soluzioni per pianificare i raccolti.

All’agricoltura 4.0 ci crede anche il nostro Paese, ma come al solito sono i numeri a penalizzarci. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Smart AgriFood (Politecnico di Milano e Università degli Studi di Brescia), sono appena 25,3 milioni di euro i fondi andati ai progetti delle start up nazionali. Il 58% delle start up italiane (98 quelle censite dall’Osservatorio nel settore AgriFood) ha ricevuto almeno un finanziamento in forma di private equity. Il 67% del finanziamento complessivo è stato raccolto da neo-imprese operanti nell’e-commerce. La Lombardia, che insieme all’Emilia Romagna è la regione con la più consistente presenza di start up Smart AgriFood (33% e 17% rispettivamente), registra il primato anche sul versante finanziamenti: le sue imprese hanno infatti ottenuto il 53% del totale degli investimenti. «L’innovazione digitale nell’agroalimentare può garantire competitività a uno dei settori chiave per l’economia italiana, che contribuisce per oltre l’11% del pil e per il 9% sull’export», afferma Filippo Renga, condirettore dell’Osservatorio Smart AgriFood. «Lo Smart AgriFood da un lato può ridurre i costi di realizzazione di prodotti di alta qualità, dall’altro far crescere i ricavi grazie a una maggiore riconoscibilità o garanzia, per esempio con sistemi di anticontraffazione o di riduzione dei prodotti non conformi esportati. L’innovazione digitale consente anche di intervenire a supporto dell’intera filiera, garantendo sostenibilità a tutti gli attori del settore, inclusa la produzione in campo». In Italia l’agricoltura 4.0 ha un mercato di circa 100 milioni di euro, il 2,5% di quello globale. Poco, soprattutto se si considera che solo l’1% della superficie coltivabile viene gestito con metodi innovativi. Eppure agli imprenditori italiani il settore piace. Secondo una recente indagine condotta dalla società di consulenza Simbiosity, il 10% delle start up e scale up italiane opera nell’agri-food tech. Quindi le idee non mancano, ma i fondi sono ancora troppo pochi. Una mano la potrebbero dare nuove iniziative come l’arrivo di Five Seasons Ventures (società fondata da Ivan Farneti e Niccolò Manzoni), il fondo specializzato in investimenti proprio in questo campo con un capitale di partenza di 60 milioni di euro. Iniziativa analoga è quella di FoodForward, il primo acceleratore corporate per il food tech partito lo scorso maggio a Milano. Ma ci sono anche progetti più verticali sul territorio, come l’incubatore Lumsa Digital Hub aperto a Palermo dall’ateneo cattolico, pensato per supportare progetti legati al food, all’agroalimentare e al turismo.

In effetti, storie di successo nel panorama nazionale dell’agri-food tech non mancano. È il caso, ad esempio, di Gnammo, nato nell’incubatore I3P del Politecnico di Torino e diventato in poco tempo il più grande portale italiano di social eating con oltre 240 mila utenti registrati e 19 mila eventi creati nella penisola. Dall’università piemontese viene anche Foodchain S.p.A., società pioniera nel settore blockchain, impegnata a trasformare l’agricoltura e l’industria alimentare in linea con l’Industry 4.0. Questa tecnologia consente la memorizzazione ogni tipo di informazione garantendone la sicurezza, la provenienza e la non modificabilità. Grazie alla creazione di una rete, ogni attore può aggiungere le proprie informazioni certificate con l’ausilio dispositivi smart o supporti fisici come NFC e codici QR. Tra le iniziative che meritano una menzione c’è sicuramente anche la scale up Xnext che fa parte di Endeavor Italia dal 2017. La società milanese punta a rendere più puliti e sicuri i cibi di tutti i giorni (ma anche farmaci e viaggi) grazie a un innovativo sistema di scansione a raggi X, capace di identificare in tempo reale contaminanti come pezzi di guanti di lattice, noccioli, insetti, ecc. Si tratta di un’innovazione di grande impatto, perché al momento non esistono macchinari con simili prestazioni. Tra i progetti agri-food tech recentemente presentati sulla piattaforma Mamacrowd, capace di ottenere un finanziamento di 120 mila euro c’è anche Elaisian, una speciale soluzione hardware e software messa a punto per la coltura di precisione dell’olio d’oliva. Questo sistema consente di ridurre i costi del 20-30%, di incrementare la produzione fino al 20% e di ridurre sensibilmente consumi d’acqua e emissioni di CO2. Promettente è anche il progetto DNAPhone, che ha raccolto in sole 20 ore 191 mila euro in crowdfunding, per rivoluzionare il controllo della qualità nella filiera agroalimentare con una piattaforma di diagnostica portatile e in cloud. È la dimostrazione che le buone idee possono fare la differenza, sempre. Fondamentale, però, è non disperdere i talenti e aiutarli a crescere, aspetti critici per la nostra Italia, anche se ormai scontati per i nostri imprenditori.

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