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Confindustria: il Pil italiano è tornato al ’97. Ecco cosa serve per ripartire

L’analisi del Centro studi di viale dell’Astronomia evidenzia tutti i numeri della “tempesta perfetta” che si è abbattuta tra marzo e aprile nel nostro Paese. Ecco la strada per recuperare il tempo perso con le altre big europee

Un Prodotto interno lordo italiano che a fine 2020 segnerà un -10% (e sarà quindi leggermente più negativo di quanto delineato lo scorso maggio) e che riporta l’Italia indietro di 23 anni. È questo uno dei dati più significativi della “tempesta perfetta” portata dall’emergenza coronavirus in Italia e “raccontata” dall’ultimo rapporto del Centro studi di Confindustria.

Secondo il rapporto, il recupero del Pil (previsto un +4,8% nel 2021) dovrebbe proseguire in modo graduale dal primo trimestre del 2021, a condizione che la diffusione del Covid-19 sia contenuta in maniera efficace. Un impulso importante alla ripresa, nel corso del prossimo anno, potrebbe essere rappresentato dagli effetti positivi derivanti dalle misure di sostegno all’economia già approvate a livello europeo (non incluse nello scenario previsivo del CSC, così come la prossima manovra di bilancio). Con il Recovery Plan affluirebbero gradualmente per essere investite in Italia risorse aggiuntive, a partire dal 2021. Queste si affiancherebbero agli interventi di politica economica varati nei paesi colpiti dall’emergenza Covid-19, con un effetto positivo sulla congiuntura internazionale. Tuttavia, si precisa da Viale dell’Astronomia, il rimbalzo del Pil italiano nel 2021 compenserà solo parzialmente il crollo di quest’anno: nel quarto trimestre del prossimo anno il livello del reddito sarà ancora inferiore di oltre il 3% rispetto a fine 2019. E molto lontano dai massimi di inizio 2008, di circa otto punti percentuali.

Occupazione: 410 mila occupati in meno rispetto al 2019

I drammatici cali dei livelli di attività in Italia hanno avuto un pesante riflesso sull’input di lavoro impiegato, che in termini di monte ore lavorate è diminuito del 15,1% annuo nella media dei primi due trimestri del 2020: la maggior parte dell’aggiustamento è avvenuto tramite un calo di ore lavorate pro-capite (-13,5%), mentre il numero di persone occupate è sceso solo dell’1,5%. Questo è dovuto al ricorso imponente a strumenti di integrazione del reddito da lavoro, in primis la Cassa Integrazione Guadagni, che il Governo ha messo a disposizione in deroga. Il numero di persone occupate ha ricominciato a puntare verso l’alto contemporaneamente alla ripresa dell’attività (+170mila unità a luglio-agosto), ma nel resto dell’anno si prevede che questa tendenza non proseguirà, considerando un livello del Pil ancora depresso rispetto al pre-Covid-19. L’occupazione registrerà, quindi, un -1,8% in media nel 2020, pari a circa 410 mila persone occupate in meno rispetto al 2019. Nel 2021 questo calo dovrebbe attenuarsi a -230 mila unità.

Italia: cosa serve per ripartire

Secondo il Centro studi di Confindustria, per la ripartenza dell’Italia è cruciale che sia preservata una condizione di stabilità sui mercati finanziari, specie quelli dei titoli sovrani. Negli ultimi mesi, infatti, i rendimenti sovrani italiani sono tornati ai minimi storici, dopo la fiammata all’inizio dell’epidemia. Sono stati frenati dal deciso e tempestivo intervento della Bce, che con il Quantitative Easing di emergenza ha comprato più titoli italiani di quanto avrebbe dovuto in base alle quote dei singoli Paesi membri dell’Eurozona. Nello scenario CSC, in base all’ipotesi che la BCE resti iper-espansiva a lungo, si assume un rendimento del BTP decennale fermo ai livelli correnti. Ciò favorirebbe il credito all’economia italiana, evitando impatti sul settore bancario. E aiuterebbe i conti pubblici italiani, che si giovano di una minore spesa per interessi.

C’è però da rimuovere un freno. Dall’inizio degli anni Novanta a oggi, dopo ogni crisi negli ultimi 30 anni, l’Italia si è adagiata su ritmi di crescita man mano più modesti ed è l’unica grande economia in Europa a mostrare un profilo in tendenziale diminuzione: nei 30 anni tra 1991 e 2021 (stime della Commissione europea per il 2020-2021) il Pil italiano ha accumulato una distanza di 29 punti percentuali dalla Germania, 37 dalla Francia, 54 dalla Spagna. In termini di Pil pro-capite, con la crisi da Covid-19 l’Italia è tornata ai livelli di fine anni Ottanta.

Per risollevare l’economia italiana dopo decenni di bassa crescita sarebbe quindi necessario portare la dinamica del Pil almeno all’1,5%, il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti la crisi globale. A tal fine servirà un incremento medio della produttività del lavoro di quasi un punto percentuale all’anno. Per ottenere un risultato di questo tipo serve intervenire in modo organico e con determinazione, a partire da una visione chiara dei nodi del mancato sviluppo italiano. Serve, secondo il Centro studi di Confindustria, un cambio di paradigma rispetto agli ultimi decenni, per accrescere strutturalmente il potenziale di crescita dell’economia italiana. Occorre rimuovere i colli di bottiglia che bloccano il Paese da molti anni intervenendo proprio laddove la crescita della produttività è bloccata.

Innanzitutto, rivedendo le modalità con cui vengono tradotte in norme le decisioni pubbliche. Un processo che produce una frammentazione di norme, con regole spesso confuse e difficilmente implementabili da parte di imprese, cittadini e pubbliche amministrazioni. Un processo, inoltre, nel quale è spesso assente una seria valutazione ex-ante delle conseguenze attese della produzione normativa per imprese e cittadini. Occorre innalzare la qualità dei servizi pubblici e far sì che questi siano offerti in tempi certi e brevi. Coniugare più efficienza con la tutela dei diritti dei cittadini e della concorrenza non solo è possibile, ma è necessario. Gli output della Pubblica amministrazione rappresentano un input produttivo per tutti i settori economici, in Italia come nelle altre economie, e non è immaginabile un innalzamento della produttività del lavoro nell’economia italiana senza servizi pubblici all’avanguardia. Infine, occorre invertire la tendenza negativa degli investimenti pubblici, i quali da un lato influenzano la crescita come componente di domanda, e dall’altro, una volta realizzati, sono determinanti per la costruzione di capitale fisico, umano e di conoscenza in grado di aumentare la produttività. Occorre puntare sia su infrastrutture tradizionali, sia su più ricerca, digitalizzazione, formazione di capitale umano e sostenibilità ambientale per colmare i divari territoriali.

Aiuti europei per l’Italia: un’opportunità unica

Un’opportunità unica per programmare un futuro in cui la dinamica del PIL sia più elevata è offerta dagli strumenti introdotti a livello europeo per contrastare l’impatto economico dell’emergenza sanitaria. Oltre alla novità dello Sure e alla linea di credito del Mes, trasformata rispetto al recente passato e che è indispensabile attivare per investire subito nella salute pubblica, con il Next-Generation EU la risposta è diventata consistente e senza precedenti. L’accordo raggiunto su Next-Generation EU (NG-EU), che Confindustria auspica si concretizzi presto, ha soprattutto un forte valore politico perché per la prima volta i governi dei Paesi membri dell’Unione hanno, nei fatti, dato vita a un sistema di trasferimenti di risorse verso gli Stati che hanno subito maggiormente gli effetti della crisi. Questi strumenti, al contrario del Quadro Finanziario Pluriennale, sono dedicati a fronteggiare uno shock temporaneo. Per l’Italia, l’utilizzo degli strumenti europei, soprattutto il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, costituisce un bivio cruciale: se si riusciranno a utilizzare in modo appropriato le risorse e a potenziarne l’effetto portando avanti riforme troppo a lungo rimaste ferme, allora si sarà imboccata la strada giusta per risalire la china. Altrimenti, l’Italia rimarrà un Paese in declino, che non sarà in grado di ripagare il suo enorme debito pubblico.

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