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Beethoven: un genio moderno

Un quarto di millennio, tanto ci separa dalla nascita del geniale compositore. Eppure la sua stella continua a… suonare. Burbero, fiero, indipendente, mai nessuno prima e dopo di lui rese la musica classica più pop

«Principe, ciò che siete, lo siete in occasione della nascita. Ciò che sono, lo sono per me. Principi ce n’è e ce ne saranno ancora migliaia. Di Beethoven ce n’è soltanto uno», così il compositore osò scrivere, nel 1806, al principe Carl Lichnowsky, suo mecenate. Potrà sembrare presuntuoso (di sicuro questo genio della musica non peccava di eccessiva modestia), ma a 250 anni dalla sua nascita bisogna ammettere che mai frase fu più azzeccata, visto che oggi la sua musica risulta la più suonata nel mondo. Non solo. Se Beethoven è passato alla storia per la potenza creativa e la libertà compositiva che l’hanno reso agli occhi dei successori l’iniziatore di un’età nuova, a lui si deve anche il merito di aver cambiato il modo di intendere la figura del compositore. Non più artigiano al servizio di un mecenate – aristocratico o di chiesa che fosse – ma artista che crea per necessità interiore, reso economicamente indipendente dai guadagni legati alla pubblicazione ed esecuzione delle sue opere (cosa che non riuscì invece a un altro grande come Mozart).

Mai nessuno, prima, avrebbe osato rifiutarsi di obbedire al proprio mecenate, come fece Beethoven, che piuttosto che esibirsi per alcuni ufficiali francesi come richiesto, preferì lasciare il proprio ospite rinunciando alla sua generosità per trasferirsi a Vienna. Geniale e consapevole delle proprie qualità, il compositore fu però anche un uomo molto tormentato, tetro e sospettoso, poco incline a rispettare l’etichetta e le buone maniere, soggetto a scatti d’ira improvvisi. Scapolo, pare vivesse in una confusione indescrivibile, anche perché difficilmente i servitori erano disposti a tollerare il suo comportamento molto a lungo. E se non è raro che un carattere difficile si accompagni a un ingegno fuori dal comune, a sua discolpa si può dire che, nonostante il grande successo riscosso dalle sue opere, non ebbe certo una vita facile.

Nato in una famiglia di musicisti, ma di umili origini, crebbe sotto il controllo di un padre duro e dedito all’alcool, che intuendone le doti cercò fin da subito di fare del figlio un bambino prodigio per trarne il maggior profitto possibile, soprattutto economico. Proprio l’alcolismo paterno lo costrinse presto a farsi carico del mantenimento della famiglia, accettando un impiego come organista al servizio dell’arcivescovo di Bonn, Maximilian Franz. E se la madre viene, invece, descritta come una donna dal carattere dolce, era anche soggetta a frequenti crisi depressive. Basta poi aggiungere i disturbi all’udito che lo colpirono già a partire dal 1798, a soli 28 anni, per comprendere le origini di un carattere tanto complesso e ombroso, che lo spinse sempre più verso l’isolamento e la depressione. Eppure, nessuna di queste difficoltà ne ostacolò la grandezza in campo musicale, anzi.

Eternamente diviso tra la fedeltà alle strutture compositive tradizionali e l’impulso di stravolgerle o quanto meno arricchirle di contenuto espressivo e nuove soluzioni formali, viene per questo considerato l’ultimo dei grandi del classicismo viennese, ma anche un anticipatore di alcuni aspetti del Romanticismo. Tra questi, il primato conferito all’arte come massima forma espressiva funzionale al bene di tutto il genere umano. In questo senso, considerava la musica superiore a pittura e letteratura, perché lasciava maggiore spazio all’immaginazione e permetteva al compositore di esprimere al massimo i propri sentimenti. Non a caso predilesse le forme strumentali a quelle vocali e, nelle sue continue rielaborazioni, riuscì a conferire alle sue opere un’espressività nuova, sfruttando l’incisività dei temi, contrasti drammatici e novità armoniche. La prova dell’universalità delle sue opere e del suo pensiero creativo la troviamo oggi nell’estrema attualità di composizioni tanto “datate”, nella loro universalità nonché nell’enorme influenza che Beethoven ha avuto in diversi modi sulla cultura pop. È impossibile trovare qualcuno che non abbia mai ascoltato una delle sue opere. Il solo Inno alla gioia, peraltro inno ufficiale dell’Ue, è onnipresente: dai libri per le scuole alle musiche delle pianole passando per le melodie di attesa dei centralini telefonici. Senza dimenticare le innumerevoli citazioni cinematografiche. Come non pensare allo storico film Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, dove Beethoven è l’autore preferito del protagonista, che proprio da lui prende ispirazione per dare un nome alla “cura Ludovico”? O alla rivisitazione in stile disco della Sinfonia n.5 a opera di Walter Carlo in La febbre del sabato sera? O, ancora, chi non ricorda il San Bernardo Beethoven protagonista di un film diretto nel 1992 da Brian Levant? E le influenze non si fermano al mondo del cinema visto che, per fare giusto un paio di esempi, gli Eurythmics hanno intitolato una loro canzone proprio Beethoven (I love listen to) e gli scienziati hanno dato il nome del compositore a un cratere del pianeta Mercurio. Insomma, a distanza di due secoli e mezzo Beethoven è ancora con noi e continua a conquistarci. Del resto, come resistere alla genialità di un autore che riuscì a ideare la Nona sinfonia pur essendo completamente sordo?