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Lavoro

La connessione h24 non fa bene alla produttività

Dimentichiamo il “ricordati di santificare le feste”: nell’era dell’always on culture, il concetto di “festività” è diventato ormai obsoleto. Siamo già in emergenza e non ce ne accorgiamo?

Se Dio si cimentasse in una nuova Cosmogonia nel 2018, difficilmente potrebbe riposarsi il settimo giorno. Colpa degli accordi di settore, delle liberalizzazioni, delle vite più frenetiche, del consumismo spinto, ma le domeniche di una volta non ci sono più. E il Creatore ci rimarrebbe male, anche perché stiamo trasgredendo a un Suo ordine inequivocabile. Ma basta fare un giro in qualunque città italiana per rendersi conto che domenica è sempre domenica solo nel film di Camillo Mastrocinque, del 1958. Difficile capire cosa sia accaduto. Probabilmente se lo sarà chiesto anche l’Arcivescovo di Milano Angelo Scola. Nel marzo 2012, nel corso di una messa, pronunciò parole molto nette: «Pensiamo all’importanza della famiglia e pensiamo anche al senso del lavoro, alla fatica di questi tempi, all’importanza del riposo festivo. È giusto conservare questo, che è uno è spazio di comunione». La data non è casuale, dato che il governo del neo-primo ministro Mario Monti aveva appena licenziato il cosiddetto decreto Salva Italia, che all’articolo 31 andava a modificare l’articolo 3 comma 1, lettera d-bis della legge 223 del 2006, così eliminando – per gli esercizi commerciali – «il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio».

In poche parole, Monti allargò le maglie delle liberalizzazioni bersaniane e i commercianti ne approfittarono. In realtà ne approfittò chi poteva perché, per tenere un negozio aperto la domenica o a oltranza durante gli altri giorni, bisogna avere personale da far ruotare ed è su questo punto che insistono i sindacati. «Il commercio occupa 3,5 milioni di italiani, 3 milioni dei quali, però, lavorano in negozi al dettaglio, mentre la grande distribuzione organizzata assorbe solo 500 mila persone», riferiscono fonti Fisascat-Cisl a Business People. Per l’80% delle attività, che ha meno di 15 dipendenti, le liberalizzazioni sono rimaste un miraggio e quindi il decreto di Monti si sarebbe tradotto in un favore alla Gdo. Infatti, per le catene come Esselunga, Auchan (gruppo che comprende anche il marchio Simply), Conad e Coop non è un problema tenere aperto un supermercato anche di domenica. C’è però chi ha fatto un passo in più e ha previsto chiusure notturne per alcuni punti vendita e sperimentato l’apertura non stop in altri: Carrefour. «Abbiamo aperto un primo supermercato con la formula h24 a Milano, vicino a un ospedale, con l’idea di dare un servizio a quelle persone che lavorano di notte e che hanno difficoltà a fare la spesa negli orari canonici», spiega a Business People un portavoce della catena francese. I clienti potenziali, però, si scoprì, erano molti di più e infatti la formula h24 è stata estesa a 170/180 punti vendita. La scelta sembrerebbe aver pagato sotto diversi punti di vista. I sindacati restano contrari e sostengono che le liberalizzazioni siano state un tentativo fallimentare di fare uscire il Paese dalla crisi economica (Federdistribuzione parla di un calo dei consumi pari a 79,9 miliardi di euro tra il 2007 e il 2013), la quale però non era riconducibile ai negozi chiusi; al massimo, può esserci stato un trasferimento degli incassi dai piccoli punti alle grandi catene, le quali – riunite in Federdistribuzione – esibiscono dati su ricadute positive in termini occupazionali. Solo l’h24 di Carrefour avrebbe fornito un reddito supplementare a 440 persone, che si aggiungono ai 20 mila dipendenti del gruppo, il 97% dei quali con contratto a tempo indeterminato mentre, stando ai dati della federazione, le liberalizzazioni si sarebbero tradotti in 4.200 contratti supplementari a tempo determinato.

Però, la questione, come detto, non è solo economica né solo circoscrivibile alla Gdo ma, soprattutto, non comincia nel 2012. Una storia in particolare aiuta a fare chiarezza, quella di Barbara Grazioli, la donna che per prima denunciò gli effetti più perversi prodotti dalle liberalizzazioni nel commercio, andò in tribunale e vinse. A Business People, riassume così la sua vicenda: «Più che storia, ho creato giurisprudenza». Tutto cominciò quando l’azienda presso la quale lavorava come commessa, Loro Piana, varò una riorganizzazione strategica in virtù della quale ai dipendenti, al posto del vecchio contratto del tessile, veniva applicato quello degli operatori del commercio, che poteva prevedere il lavoro domenicale e nei festivi. «Successe che il 6 gennaio del 2003 non andai a lavorare e non presentai alcuna giustificazione. Per me era impensabile che un lavoratore non potesse stare a casa sua in un festivo infrasettimanale e la giustizia mi ha dato ragione: ho vinto in tutti e tre i gradi di giudizio», racconta. I giudici hanno riconosciuto che è il dipendente che deve decidere se lavorare in occasione di una festività e non può essergli imposto, nemmeno in presenza di un accordo sindacale. «C’è una distinzione importante da fare, però», aggiunge la commessa diventata sindacalista Filcams, «il mio caso riguarda le festività, non i festivi, cioè le domeniche, che ormai sono diventate un giorno lavorativo come un altro».

E qui si arriva al nocciolo della questione, cioè agli effetti sulla nostra vita. Come si fa a stare insieme se non c’è più un giorno comune consacrato alla famiglia e alla socialità? E il discorso si allarga. Infatti, a microfoni spenti, tanto i rappresentanti della Gdo quanto i sindacalisti degli operatori del commercio riconoscono che, attualmente, il problema delle aperture domenicali è meno rilevante di un altro: l’e-commerce. Se la Gdo sta alla piccola come il gatto al topo, il commercio online è un cane che spaventa tutti e due. Per l’e-commerce non c’è orario né festa o domenica che tenga. E così accade ciò che è descritto in un bel libro di Jonathan Crary, dal titolo 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno, il cui assunto centrale è che siamo stati trasformati in consumatori compulsivi h24. Il nostro sistema di produzione, insomma, ha raggiunto ritmi insensati. Il problema non è quindi quello di un supermercato che decide di non chiudere, ma il fatto che trovi una clientela al di là di metronotte e guardie mediche. Siamo sempre connessi in Rete e sempre meno connessi ai nostri bisogni. In qualche Paese, si è cercato di porvi rimedio. In Francia, per esempio, il governo ha vietato ai datori di lavoro di invadere la sfera privata dei propri dipendenti inviando mail nel tempo extra ufficio. «La legge francese del 2016 ha affermato un diritto alla disconnessione», spiega Andrea Bollani, docente di Diritto del lavoro comparato all’Università di Pavia, «anche se poi di questo diritto non viene data una definizione precisa, perché si rimanda alla contrattazione aziendale nelle imprese con più di 50 dipendenti di stabilire, tramite contratto collettivo, le modalità di esercizio di questo diritto». Anche l’Italia ha provato a seguire la via francese: «Nella legge 81 del 2017, c’è una norma ad hoc, l’articolo 19, che riguarda il cosiddetto lavoro agile, affidando a un accordo tra datore di lavoro e dipendente la definizione di un arco temporale in cui si abbia diritto alla disconnessione», aggiunge il professore. Si parla però solo di quello che una volta era il telelavoro, e non di lavoro subordinato più in generale. Nei Paesi anglofoni, è molto attuale il tema della always on culture. Una ricerca Axa, pubblicata lo scorso novembre, ha rivelato che l’82% dei britannici ha ammesso di soffrire di stress legato a questa reperibilità costante. Il 55% del campione ha dichiarato di continuare a leggere e rispondere alle email anche una volta a casa, mentre un 59% ha riconosciuto di rispondere a telefonate lavorative anche una volta lasciato l’ufficio. Le stesse conclusioni le ha raggiunte uno studio del 2010 dell’Istituto federale di Sanità tedesco sugli effetti del prolungamento de facto delle ore lavorative, disponibile sul sito della European Sunday Alliance, l’organizzazione che si batte perché la domenica torni a essere un giorno di riposo e non un altro dì di shopping. Ma c’è di più: secondo un articolo pubblicato sul numero di giugno dell’Accounting and Business Magazine, edizione irlandese, questa iperattività non fa bene neanche alla produttività. La conclusione è che le aziende dovrebbero intervenire con delle regole più rigide circa l’uso di social media e device da connessione più in generale, per proteggere il proprio staff e quindi se stesse.

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