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Sostenibilità

Mito onlus: musica per il sociale

Le sette note come strumento di riscatto per luoghi e persone. È l’idea alla base dell’associazione guidata dalla presidente Margherita del Favero

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Superare barriere e abbattere muri attraverso la musica classica. In un tempo in cui pop e rap sono in vetta a tutte le classifiche di Spotify, l’associazione per Mito Onlus scommette ancora sulla musica “colta”. È dal 2016 che un gruppo di volontari – oggi saliti a circa 200 – ha fondato questa organizzazione per affiancare il Festival internazionale Mito SettembreMusica. Di che cosa si tratta? Prima a Torino e, dal 2007, anche a Milano, settembre diventa il mese perfetto per diffondere in città musica di alto livello. Grazie a prezzi popolari, gli appuntamenti del Festival invadono teatri, auditorium, chiese, cortili e piazze, trasformando le città in un’immensa platea diffusa. Nelle ultime edizioni, salvo quelle segnate dal Covid, si sono contati più di 100 eventi sia a Torino che a Milano, con una media di tre al giorno.

È in questo contesto che l’associazione per Mito nasce cinque anni fa e si sviluppa fino a oggi. Perché infatti – hanno pensato i volontari – relegare al solo mese di settembre questi appuntamenti? Perché non portare la musica classica nelle piazze durante tutto l’anno? Sono questi gli interrogativi grazie a cui è cresciuta l’associazione, che oggi (divenuta Ente del Terzo Settore) si occupa anche di molto altro. «Fin dall’inizio, grazie alla disponibilità, all’impegno e alla presenza costante di soci e volontari, abbiamo sostenuto una parte dei costi dei concerti del Festival Mito SettembreMusica tenuti in zone decentrate della città, facendoci carico dell’acquisto di biglietti per i concerti dedicati ai bambini e offrendoli ai minori in situazioni di difficoltà ed alle loro famiglie», spiega Margherita del Favero, presidente di associazione per Mito. Ma, come detto, l’impegno non si ferma qui, tanto che il gruppo ha deciso di ampliare la sua presenza nel territorio regionale, in particolare nella Città metropolitana di Milano. Con il progetto ClassicAperta «organizziamo una gamma articolata di iniziative, utilizzando la musica classica come strumento per attivare la scoperta di luoghi poco noti e soprattutto come possibilità offrire un valido mezzo di coesione nelle comunità delle zone decentrate della città», continua del Favero. «Le nostre attività hanno un deciso orientamento sociale, rivolto in particolar modo alla periferia milanese, scelta nata dalla constatazione che i concerti tenuti nei luoghi meno noti, anche in contesti molto trascurati se non di degrado, ottenevano spesso un riscontro di pubblico più attento e numeroso di quelli organizzati in teatri del centro della città».

Da qui la decisione di rivolgersi «ai quartieri e alle fasce di popolazione meno favorite, nella consapevolezza che la bellezza di un concerto genera rispetto, l’estetica non è fine a se stessa e la musica classica è uno strumento efficace e potente affinché i partecipanti possano approfondire la conoscenza reciproca e creare una reale comunità». Con l’Associazione per Mito la musica diventa quindi uno strumento sociale in grado di offrire una possibilità di riscatto per luoghi e persone. Gli esempi, negli ultimi anni, non mancano. «La nostra mission è sempre stata portare la musica classica dove solitamente non è presente», ribadisce la direttrice artistica dell’Associazione Matilde Sansalone. «Tra tutti gli eventi che abbiamo organizzato ce ne sono alcuni particolarmente significativi. Per due anni consecutivi abbiamo ambientato due opere nelle case popolari, coinvolgendo i residenti che apparivano come comparse. Abbiamo portato un pianoforte e abbiamo adattato il luogo per mostrare come la musica possa avere mille sfaccettature. È un valore aggiunto comprendere che la musica colta può essere vissuta anche in contesti informali». Indimenticabile poi l’esperienza della musica nelle carceri. «Con Orchestra in Opera abbiamo coinvolto i detenuti del carcere di Opera, creando un’orchestra fatta da loro. È stato un momento di formazione, oltre che di riscatto. Alcuni hanno colto l’occasione per imparare a suonare uno strumento e, grazie a questa possibilità, hanno sperimentato che loro non sono solo detenuti o delinquenti, ma che la loro identità è fatta anche di altro. Mi viene in mente una frase di Pirandello: “Sarebbe un’atroce ingiustizia restare agganciati e sospesi a uno solo dei nostri atti, come se la nostra esistenza fosse tutta lì”. Ecco, per i detenuti è così: mentre suonano vivono altro, diventano musicisti». Ci sono anche soluzioni originali trovate dall’Associazione per «far scendere» la musica «dal suo piedistallo», aggiunge Sansalone. «Tra queste abbiamo fatto dialogare un rapper e un violinista, con ottimi risultati. Il pubblico, magari abituato a sentire determinate cose, si è sorpreso di quanto possa essere fruibile e gradevole il rap». E ancora. Un mix tra musica e teatro ha fatto sì che si potesse organizzare un concerto con musicisti che, allo stesso tempo, erano anche mimi. Suoni che accompagnavano gesti teatrali. Oppure, insieme al Ristorante solidale Ruben di Milano, è nata una collaborazione con finalità sociali. Gestito dalla Fondazione Ernesto Pellegrini, il ristorante offre infatti sostegno a chi si trova in situazioni temporanee di emergenza e di fragilità economiche e sociali. È in quel contesto che un semplice pianoforte può lasciare a bocca aperta persone che si portano dietro ferite e drammi personali.

Infine, il grande mondo delle scuole. Con un’attenzione particolare per le prime classi delle elementari, alcuni maestri coinvolgono i bambini nell’ascolto e nell’apprendimento delle prime nozioni musicali, per permettere loro la fruizione di un linguaggio comune. Gli insegnanti che chiedono di portare il progetto in classe sono sempre di più, segno di un metodo che funziona. Tutti questi sono esempi che hanno un unico filo conduttore: «La musica pervade tutto», sottolinea Sansalone. «È un’arte a volte sottovalutata e poco studiata anche perché in Italia non è diffusa nelle scuole, seppur stiamo cercando di sensibilizzare soprattutto i più piccoli. Oggi, nel tessuto della vita quotidiana, la musica colta si è persa. Se si guarda all’estero, ad esempio, tutti i bambini sanno leggere un pentagramma; da noi non è così». Ma allora se la diffusione di questo linguaggio non passa attraverso i libri deve necessariamente trovare altre strade. «La nostra è sperimentazione a tutti gli effetti. Ma constatiamo quanto sia concreto ciò che facciamo: frequentare la musica rende felici le persone. La nostra sfida, per concludere, si può riassumere in un semplice concetto: cercare continuamente uno sguardo nuovo, inusuale e trasversale», conclude Sansalone.